SVILUPPO SOSTENIBILE: CRITICA AL MODELLO STANDARD
di Leonardo Boff
ADISTA n° 8 del 3.3.2012
I documenti ufficiali delle Nazioni Unite così come l’attuale bozza di documento in vista di Rio+20 dedicano grande spazio al modello di sviluppo sostenibile, chiamato ad essere economicamente praticabile, socialmente giusto e ambientalmente corretto. È il cosiddetto Triple Botton Line (la linea dei tre pilastri) creato nel 1990 dal britannico John Elkington, fondatore dell’ong SustainAbility. Ma questo modello non resiste a una critica seria.
Economicamente praticabile
Nel linguaggio politico dei governi e delle imprese, sviluppo equivale al prodotto interno lordo (Pil). Guai all’impresa e al Paese che non abbiano indici positivi di crescita annuale! Entrerebbero in crisi o in recessione, con conseguente riduzione del consumo e perdita di posti di lavoro: nel mondo degli affari, si tratta di guadagnare denaro con il minore investimento, con la maggiore competitività e con il minor tempo possibili.
Quando parliamo qui di sviluppo, non parliamo di qualunque sviluppo, ma di quello che esiste realmente, quello industrialista/capitalista/consumista. Quello antropocentrico, contraddittorio ed errato. Mi spiego.
È antropocentrico perché è centrato solamente sull’essere umano, come se non esistesse una comunità di vita (flora e fauna e organismi vivi) che necessità anch’essa della biosfera e richiede ugualmente sostenibilità.
È contraddittorio, poiché sviluppo e sostenibilità obbediscono a logiche contrapposte. Lo sviluppo realmente esistente è lineare e crescente, sfrutta la natura e privilegia l’accumulazione privata. Si tratta dell’economia politica di taglio capitalista. La categoria della sostenibilità, al contrario, proviene dalle scienze della vita e dall’ecologia, la cui logica è circolare e includente. Rappresenta la tendenza degli ecosistemi all’equilibrio dinamico, all’interdipendenza e alla cooperazione di tutti con tutti. Come si deduce, sono logiche antagoniste: una privilegia l’individuo, l’altra la collettività; una promuove la competizione, l’altra la cooperazione; una l’evoluzione del più forte, l’altra l’evoluzione di tutti gli esseri interconnessi.
È sbagliato, perché considera la povertà come la causa della degradazione ecologica. Pertanto, quanto meno povertà, più sviluppo sostenibile e meno degradazione, il che è un errore. Analizzando criticamente le cause reali della povertà e della devastazione della natura, infatti, si vedrà che queste dipendono, non esclusivamente ma principalmente, dal tipo di sviluppo praticato. È questo che produce devastazione, perché dilapida la natura, impone bassi salari e di conseguenza crea povertà.
Tale sviluppo sostenibile è un inganno del sistema imperante: assume i termini dell’ecologia (sostenibilità) per svuotarli. Assume l’ideale dell’economia (crescita) mascherando la povertà che esso stesso produce.
Socialmente giusto
Se c’è una cosa che l’attuale sviluppo industriale/capitalista non può dire di sé è quella di essere socialmente giusto. Se lo fosse, non vi sarebbero un miliardo e 400 milioni di affamati nel mondo né sarebbe immersa nella povertà la maggior parte delle nazioni. Soffermiamoci solamente sul caso del Brasile. L’Atlante Sociale del Brasile del 2010 (IPEA) riferisce che 5.000 famiglie controllano il 46% del Pil. Il governo destina annualmente 125.000 milioni di reais al sistema finanziario e solamente 40.000 milioni di reais ai programmi sociali a favore delle grandi maggioranze povere. E tutto ciò smaschera la falsa retorica di uno sviluppo socialmente giusto, che è impossibile all’interno dell’attuale paradigma economico.
Ambientalmente corretto
L’attuale tipo di sviluppo viene portato avanti combattendo una guerra inarrestabile contro Gaia, strappandole tutto ciò che gli è utile come oggetto di lucro, specialmente a favore di quelle minoranze che controllano il processo. Secondo l’indice “Pianeta vivo” delle Nazioni Unite (2010), in meno di quarant’anni la biodiversità globale ha sofferto un calo del 30 per cento. Solo dal 1998 si è registrato un aumento del 35% delle emissioni di gas a effetto serra. Anziché parlare dei limiti della crescita, faremmo meglio a parlare dei limiti dell’aggressione alla Terra.
In conclusione, il modello di sviluppo che si vorrebbe sostenibile è pura retorica. In esso si realizzano dei progressi nella produzione con basse emissioni di carbonio, nell'utilizzo di energie alternative, nel rilancio delle regioni degradate e in una migliore gestione dei rifiuti. Ma che sia chiaro: tutto ciò avviene nella misura in cui non si tocchino i profitti né si limiti la competizione. L'utilizzo dell'espressione “sviluppo sostenibile” ha un significato politico importante: se vogliamo una sostenibilità reale, diventa necessario il cambiamento di paradigma economico. Nel modello attuale, la sostenibilità è o locale o inesistente.