Assalto alla Costituzione
di Stefano Rodotà,
Repubblica,
3 maggio 2013
Come, e da chi, sarà governato questo paese nella fase che si è appena aperta?
La prima risposta è tutta politica e deve partire dalla constatazione che
Berlusconi è il vincitore della partita sulle macerie del Pd. E, in quanto tale,
non sarà solo il lord protettore di questo governo, ma il depositario di un
potere di vita e di morte. La seconda riguarda il modo stesso in cui il governo
si è costituito e si è presentato: un governo "per sottrazione", non tanto per
l'esclusione di pezzi del vecchio personale politico (in realtà, una vera
"rottamazione" riguardante il solo Pd), quanto piuttosto per il silenzio su una
serie di questioni evidentemente ritenute "divisive" (l'orrenda parola che
connota sinistramente il nuovo lessico politico). La terza risposta è
istituzionale ed è affidata all'invenzione di una Convenzione che dovrebbe,
nelle parole del presidente del Consiglio, farci uscire dalla Seconda e
traghettarci nella Terza Repubblica. La quarta, ma in verità la prima, è quella
sociale, che riassume le urgenze dell'economia e il dramma delle persone.
Partiamo, allora, proprio da quest'ultimo tema. Sono stati descritti, in questi
anni, alcuni caratteri che veniva assumendo la società italiana, caratterizzata
da una serie di fratture profonde, non riferibili soltanto alla sfiducia
crescente verso politica e istituzioni, ma soprattutto alla progressiva
lacerazione del tessuto sociale. Ma queste rilevazioni oggettive non sono mai
state prese seriamente in considerazione. Poiché l'unica bussola è stata quella
dell'economia, e il mercato è vissuto come un'invincibile legge naturale, tutto
il resto è stato ritenuto "sacrificabile". E infatti la parola "sacrifici" è
stata correntemente usata con allarmante leggerezza, senza essere capaci di
rendersi conto che così veniva messa a rischio la coesione sociale e s'inoculava
il virus della violenza. Quella inammissibile dell'aggressione armata, ma pure
quella terribile del "tempo dei suicidi", accompagnate dall'aumento dei reati
documentato da commercianti e imprenditori come effetto del disagio che spinge
all'illegalità chi vede in ciò una via obbligata per la sopravvivenza. E'
giusto, allora, invocare misura nel linguaggio, invito che tuttavia dovrebbe
essere rivolto a tutti coloro che nel corso degli anni si sono fatti seminatori
di discordia e imprenditori della paura. Ma è doveroso un riconoscimento a chi
incanala la protesta sociale nelle forme della legalità. Penso alla Fiom, tante
volte aggredita, che ha scelto la via giudiziaria per affermare i diritti dei
lavoratori.
Siamo ormai di fronte ai drammi dell'esistenza, e la capacità di governo dei
processi sociali si misurerà proprio in questa dimensione, che non può essere
dominata dalla prepotenza dell'economia. Se la politica vuole ritrovare il filo
costituzionale perduto, deve pur ricordare che la Costituzione parla di
"esistenza libera e dignitosa" collegata alla retribuzione, sì che né il lavoro
può essere considerato una merce, né l'azione pubblica può essere pensata solo
come rimedio per le situazioni di povertà, pur essendo evidente che interventi
in quest'ultima direzione siano urgenti. La discussione generale sul reddito di
cittadinanza non può essere elusa in una prospettiva che guarda a un nuovo
welfare, così come il mondo del lavoro non può essere lasciato privo di una
legge sulla rappresentanza sindacale.
Legalità e Costituzione ci portano al non detto del programma di governo, al suo
essere prigioniero della logica della sottrazione. Non una parola del presidente
del Consiglio sui diritti civili, terreno sul quale in tutto il mondo si
discute, si sperimenta, si innova, si legifera. I prossimi anni saranno quelli
di un isolamento civile del nostro paese? Eppure, davanti a Governo e Parlamento
stanno questioni ineludibili. La legge sulla procreazione assistita, la più
ideologica e sgangherata tra i tanti mostri legislativi partoriti dalle
maggioranze di destra, è stata fatta a pezzi dalla Corte costituzionale e dalla
Corte europea dei diritti dell'uomo: coerenza vorrebbe che si abbandoni la
logica proibizionista, che ha prodotto un turismo procreativo che discrimina le
donne in base alle loro risorse finanziarie, e si approdi ad una legge
essenziale, rispettosa del diritto all'autodeterminazione e di quello alla
salute, come la Corte costituzionale ha detto chiaramente. Il presidente della
Corte ha recentemente ricordato una sentenza della Consulta che ha riconosciuto
alle coppie di persone dello stesso sesso il diritto fondamentale a veder
riconosciuta la loro situazione, rinviando correttamente al Parlamento la
definizione delle modalità del riconoscimento. Può il Parlamento lasciare senza
garanzie un diritto fondamentale delle persone? Possono gli eletti del Pd
dimenticare che questo era un aspetto assai sbandierato del loro programma e
compariva tra gli 8 punti di Bersani? Si potrebbe continuare, ma bastano questi
esempi per mostrare che cosa si sacrifichi sull'altare delle larghe intese.
Conosco la vecchia obiezione. I diritti sono un lusso in tempi di crisi, Bertolt
Brecht fa dire a Mackie Messer, nell'Opera da tre soldi, "prima la pancia, poi
vien la morale". Ma la dignità delle persone, il rispetto dovuto a ciascuno sono
ormai un elemento costitutivo delle società democratiche. Possiamo dimenticarlo,
sia pure per un momento? Peraltro, la cancellazione della dimensione dei diritti
contraddice la dichiarata attenzione per l'Unione europea, dove ormai la Carta
dei diritti fondamentali ha lo stesso valore giuridico dei trattati e afferma
chiaramente l'indivisibilità dei diritti.
Le convenienze purtroppo spingono in questa direzione, e tuttavia questo erode
la legittimità del governo e la credibilità del Pd, cosa che dovrebbe
preoccupare assai, e spingere ad azioni concrete, quei parlamentari che hanno
manifestato critiche e preoccupazioni. E che dovrebbero essere memori, di nuovo,
degli 8 punti di Bersani, dove comparivano la legge sui conflitti d'interesse e
sull'incandidabilità, sul falso in bilancio e sulla prescrizione dei reati.
Tutti temi che, malinconicamente, sembrano archiviati.
Qui nasce un ulteriore, significativo problema politico. I gruppi di opposizione
hanno responsabilmente parlato della loro volontà di valutare nel merito, senza
pregiudizi, i singoli provvedimenti del governo. E tuttavia il ruolo
dell'opposizione non può ridursi al gioco di rimessa. Utilizzando anche le norme
regolamentari che assegnano spazi garantiti per la discussione delle loro
proposte, i gruppi d'opposizione presenteranno certamente proposte proprie, tra
le quali con ragionevole probabilità compariranno alcune almeno tra quelle
ricordate. Saranno valutate dalla maggioranza di governo con lo stesso spirito
costruttivo manifestato dalle opposizioni? O questa si trincererà dietro un
rifiuto pregiudiziale, vedendo in quelle proposte l'intenzione di mettere in
difficoltà il governo?
Ma il punto più inquietante della linea istituzionale enunciata dal presidente
del Consiglio risiede nella proposta di istituire una Convenzione per le
riforme. Preoccupa il collegamento tra riforma elettorale e modifiche
costituzionali, che contraddice la proclamata urgenza del cambiamento della
legge elettorale e rischia, in caso di crisi, di farci tornare a votare con il
porcellum (legge che contiene un clamoroso vizio d'incostituzionalità).
Preoccupa la spensieratezza con la quale si parla di mutamento della forma di
governo. Preoccupa lo spostamento in una sede extraparlamentare di un lavoro che
- cambiando il titolo V della Costituzione, l'articolo 81, le norme sul processo
penale - le Camere hanno dimostrato di poter fare, con il rischio di avviare un
improprio processo costituente "suscettibile di travolgere l'insieme della
Costituzione" (parole di Valerio Onida nella relazione dei "saggi"). Inquieta la
pretesa di Berlusconi di vedersi attribuire la presidenza di questa Convenzione,
dopo essere stato l'artefice di una riforma costituzionale clamorosamente
bocciata nel 2006 da sedici milioni di cittadini.
Rispetto a questa linea si manifesteranno certamente le opinioni critiche in
quel mondo della sinistra che, in questi anni, ha cominciato a ricostruire una
vera linea di politica costituzionale, consapevole dei problemi della democrazia
rappresentativa, ma convinta che la via d'uscita non sia quella
dell'accentramento dei poteri e della cancellazione dei diritti. Molte forze
vitali sono già in campo, e non mancheranno di far sentire la loro voce.