Ave Maria laica
di Vito Mancuso
“la Repubblica” del 2 settembre 2013
Dopo l’Inchiesta su Gesù con Mauro Pesce (2006) e sul Cristianesimo con Remo Cacitti (2008), Corrado Augias giunge al tema delicatissimo di Maria, l’umile donna diventata con il tempo Madonna, cioè Mea Domina, Mia Signora, termine di origine aulica che prima di entrare nel lessico religioso ricorreva nella poesia cortese della Scuola siciliana e del Dolce Stil Novo. La guida cui Augias si affida per districarsi nel labirinto di testi sacri, dogmi, apparizioni e devozioni mariane è Marco Vannini, noto studioso di mistica e autore di numerosi saggi che sfidano la concezione tradizionale della religione.
Ho parlato di labirinto perché in effetti questa è la condizione della lussureggiante costruzione teologica e devozionale cresciuta nei secoli sulla base dei pochi passi evangelici concernenti la madre di Gesù. In singolare contrasto con la sobrietà biblica, la tradizione cattolica ha infatti elaborato la massima «de Maria numquam satis», «su Maria mai abbastanza», generando così più di 30 celebrazioni mariane all’anno, 4 dogmi, le 150 avemarie del Rosario (di recente diventate 200 con l’aggiunta di nuovi “Misteri”), le 50 Litanie lauretane e una serie sterminata di altre devozioni, chiese, ordini religiosi, antifone, musiche, immagini, santuari.
Leggendo il libro (che esce poco prima dell’arrivo a Roma, il 13 ottobre prossimo, della statua della Madonna di Fatima, una delle più celebri Madonne accanto a quelle di Loreto, Lourdes, Czestochowa, Guadalupe, Medjugorje) pensavo spesso al padre domenicano Yves Congar (1904-1995), benché nel libro non sia nominato. Teologo stimatissimo, creato cardinale da Giovanni Paolo II per la preziosità del suo pensiero, Congar annotava nel diario tenuto durante il Vaticano II e pubblicato postumo nel 2002: «Mi rendo conto del dramma che accompagna tutta la mia vita: la necessità di lottare, in nome del Vangelo e della fede apostolica, contro lo sviluppo, la proliferazione mediterranea e irlandese, di una mariologia che non procede dalla Rivelazione ma ha l’appoggio dei testi pontifici » (22.9.61). Eccoci al punto critico: la vera fonte della proliferazione mariologica non è la Rivelazione, ma un singolare connubio tra potere pontificio e devozione popolare. Maria è sì «una madre d’amore voluta dal popolo» come scrive Augias, ma tale volontà popolare è stata sistematicamente utilizzata dal potere ecclesiastico per rafforzare se stesso: tra mariologia ed ecclesiologia il legame è d’acciaio.
Congar proseguiva: «Questa mariologia accrescitiva è un cancro» (13.3.64), «un vero cancro nel tessuto della Chiesa» (21.11.63). Il protestante Karl Barth aveva definito la mariologia «un’escrescenza, una formazione malata del pensiero teologico», il cattolico Congar indurisce l’immagine. Come spiegare il paradosso? Il fatto è che quanto più crescono il desiderio di onestà intellettuale, la fedeltà al dettato evangelico, la volontà di reale promozione della donna all’interno della Chiesa, tanto più decresce l’afflato mariologico con la sua tendenza baroccheggiante. E ovviamente viceversa. Prova ne sia che nel protestantesimo, dove la dottrina su Maria è contenuta nei limiti indicati dal Vangelo, il ruolo della donna nella Chiesa è del tutto equivalente a quello del maschio (è di questi giorni la notizia che alla presidenza della Chiesa luterana degli Stati Uniti è giunta una donna), e viceversa nel mondo cattolico i più devoti a Maria sono anche i più contrari al diaconato e al sacerdozio femminile, basti pensare a Giovanni Paolo II.
Ma non era solo Congar, anche il giovane Ratzinger, allora teologo dell’università di Tubinga, scriveva nell’Introduzione al Cristianesimo del 1967: «La dottrina affermante la divinità di Gesù non verrebbe minimamente inficiata quand’anche Gesù fosse nato da un normale matrimonio umano», parole da cui appare che il dogma della Verginità di Maria non è per nulla necessario al nucleo della fede cristiana, e ovviamente meno ancora lo sono i dogmi recenti dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione. È l’opinione anche di teologi del livello di Rahner e di Küng. Eppure sembra non ci sia nulla da fare: Ratzinger cambiò presto idea giungendo a fare della Verginità di Maria «un elemento fondamentale della nostra fede» e anche papa Francesco farà arrivare a Roma la statua della Madonna di Fatima consacrando il mondo al Cuore immacolato di Maria come già fecero Pio XII nel 1942, Paolo VI nel 1964, Giovanni Paolo II nel 1984, con i risultati, per quanto attiene al mondo, che ognuno può valutare da sé.
Tornando al libro in oggetto, la sua forza consiste nella ricchezza della documentazione e nella piacevolezza con cui viene offerta: i testi biblici vengono scandagliati con competenza filologica, si analizza lo sviluppo del culto mariano, i quattro dogmi, le preghiere tradizionali, i nessi con il culto mediterraneo della Grande Madre e con le altre religioni, la lettura femminista, le altre Marie dei Vangeli e in particolare la Maddalena, le apparizioni e in particolare quella di Lourdes del 1858 con le guarigioni miracolose attestate ancora oggi e quella di Fatima del 1917 con i famigerati tre segreti. Vi sono anche due dotti capitoli finali su Maria nell’arte, nella poesia, nella musica, nel cinema.
Il libro è solido dal punto di vista dei testi. Vengono citati Sant’Agostino in latino, l’esegesi dei testi del Vaticano II, si ricorda persino la setta di un certo Valesio sconosciuto ai principali dizionari teologici, anche se poi gli autori scrivono che nelle Scritture «nessun riferimento si fa mai alla sua miracolosa maternità verginale», dimenticando Matteo 1,18 secondo cui Maria «si trovò incinta per opera dello Spirito Santo» e Luca 1,35 che ribadisce il messaggio.
Ma il risultato dell’inchiesta alla fine qual è? La demolizione della dottrina tradizionale. Avversata da Augias fin dall’inizio, da Vannini è sì difesa («la devozione a Maria è segno di maturità spirituale») ma in modo inaccettabile per il cattolicesimo. Per esso infatti vi è una connessione inscindibile tra fatto storico-biologico e significato spirituale, mentre a Vannini interessa unicamente il secondo, per lui la verginità e maternità di Maria sono «non una storia esteriore ma una realtà interiore», e Maria è «l’anima che ha rinunciato all’amore di sé». Con ciò egli si colloca volutamente, come recita il titolo del suo ultimo saggio, oltre il Cristianesimo. Ne viene il paradosso di un libro sulla più cattolica delle dottrine scritto da un non credente e da un “oltrecristiano”! Ma questo, lungi dall’essere un difetto, è stata la condizione che ha concesso loro obiettività nel presentare lucidamente lo sterminato materiale sulla «fanciulla che divenne mito» e di offrire uno strumento utile e soprattutto onesto per ritornare alla verità evangelica su Maria.