L'AGIBILITA' POLITICA DEL CAVALIERE
Gustavo Zagrebelsky
"Su Belusconi no al compromesso,
la legge è uguale per tutti"
Per il costituzionalista la decadenza è una presa d'atto "Rispettare i voti Pdl? Siamo in una democrazia, ma anche in uno Stato di diritto. Un condannato è meno uguale di chi non lo è stato"
di LIANA MILELLA
la Repubblica del 27.8.2013
Gustavo Zagrebelsky ROMA -
I no - "chiari
e tondi" - si sarebbero dovuti dire nella fin troppo lunga stagione delle
leggi ad personam. Adesso, purtroppo, "rischia di essere tardi". A farne le
spese saranno le istituzioni. È pessimista, il professor Gustavo Zagrebelsky,
sull'affaire Berlusconi. Giudica "umiliante" che, per un leader di partito, si
discuta di carcere, di domiciliari, di rieducazione sociale. E a chi sbandiera
la tesi della sua agibilità politica, Zagrebelsky contrappone la necessità, da
tanti avvertita, che "la politica sia protetta dall'illegalità".
Per questo il Senato dovrebbe "prendere atto"
della condanna del Cavaliere e rispettare la legge Severino. Il ricorso alla
Consulta "è possibile" ma, ironizza il professore, cosa potrebbe negare un
Parlamento che ha consentito di far passare la tesi di Ruby nipote di Mubarak?
Infine la grazia: Zagrebelsky ne ragiona con la freddezza di chi ci vede "un
nuovo elemento divisivo" che potrebbe solo "intaccare" la figura del capo dello
Stato.
Da un mese il dibattito politico è paralizzato. Berlusconi e il
Pdl, perfino con il ministro dell'Interno Alfano, chiedono una cosa sola:
cancellare quella condanna. Quanto è anomala e pericolosa la situazione che si
vive in Italia?
"Una cosa è da dire, innanzitutto: era tutto
prevedibile. Per anni si è creduto di tenere sotto controllo un conflitto che,
alla fine, si dimostra non componibile con un compromesso. Non è componibile,
perché sono in gioco non interessi politici tra cui può esserci mediazione, ma
principi ultimi che o si rispettano o si violano. Nel momento in cui è stata
pronunciata una sentenza irrevocabile di condanna, è venuto il momento del redde
rationem: o la forza della legge o certe aspettative della politica.
Per anni si è andati avanti con stratagemmi più
o meno scaltri: rinvii, leggine personali mascherate da generali, impedimenti e
furbizie varie, tollerate colpevolmente a tutti i livelli, politici e
istituzionali, nella vana speranza che il conflitto si potesse controllare
politicamente e che, alla fine, si spegnesse da sé. Se una lezione è da trarre,
a futura memoria, è che i piccoli cedimenti iniziali sono destinati ad aprire la
strada ad altri, e che, cedimento su cedimento, si forma una massa che non si
riesce più a fermare. Il rigore istituzionale implica il dovere e la forza di
dire dei "no" chiari e tondi, soprattutto all'inizio, quando è più facile".
Il neologismo "agibilità politica" può diventare una categoria
per giustificare un trattamento speciale per Berlusconi? O la legge non sarebbe
più, a quel punto, "uguale per tutti"?
"Effettivamente, che il capo d'un partito che
raccoglie molti voti e che ha governato per molti anni sia in carcere o, più
facilmente, "ai domiciliari" o, peggio, lo si debba rieducare con opere di bene
"ai servizi sociali", è una prospettiva umiliante: non (solo) per lui, ma
(soprattutto) per tutti noi. S'invoca il diritto dei tanti elettori che l'hanno
votato di poter sperare ancora nell'attività politica del loro leader. Ciò è
comprensibile, ma non può essere senza limiti. Ritorniamo al rapporto
legge-politica. Siamo in una democrazia, ma anche in uno Stato di diritto.
La "agibilità politica" che la democrazia
richiede a favore di tutti non cede forse di fronte all'esigenza dello Stato di
diritto che la politica non sia o non cada nelle mani di chi è stato
riconosciuto colpevole di gravi reati contro la cosa pubblica? La politica, più
diogni altra attività sociale, non deve essere protetta dall'illegalità? Dal
punto di vista dell'agibilità politica, un condannato per gravi reati è "meno
uguale" di chi non lo è stato. L'art. 48, terzo comma, della Costituzione
prevede infatti la più classica delle limitazioni alla "agibilità politica",
cioè l'ineleggibilità per effetto di una sentenza penale irrevocabile o nei casi
di indegnità morale indicati dalla legge".
Questo suo ultimo argomento, però, pare a molti, formalistico:
Berlusconi, per i suoi sostenitori, non è uno come tanti altri, è un unicum e
quindi merita una particolare considerazione.
"Sì, si dice così. L'uguaglianza di fronte alla
legge varrebbe per gli uomini comuni, come siamo tutti noi. Lui, però, è un
megantropo. Applicargli la legge comune sarebbe come chiudere ipocritamente gli
occhi di fronte alla realtà. Ma, dicendo così, si finisce per denunciare una
stortura ancor più grave: l'aver lasciato crescere nella democrazia un corpo
estraneo: un'aggregazione di potere economico, comunicativo e politico in una
sola persona, dove il potere acquisito in un campo serve ad alimentare il potere
negli altri campi. Questo è un disequilibrio assai grave, che denominiamo
impropriamente "conflitto d'interessi", mentre dovremmo chiamarlo accumulo
d'interessi (e dipotere)".
Il Parlamento ha varato la legge contro la corruzione e, al suo
interno, il decreto sull'incandidabilità dei condannati fino a due anni. Anche
il Pdl ha detto sì. Berlusconi rientra nei casi previsti dalla legge. Lei vede
una via d'uscita dalla sua decadenza dal Senato e dalla sua impossibilità a
ricandidarsi?
"Il Senato, pacificamente, è chiamato a prendere
atto della sentenza e delle sue conseguenze e, per questo, ci sarà un voto.
Trattandosi d'una presa d'atto, l'esito dovrebbe essere scontato, non potendo
implicare una valutazione nel merito della sentenza di condanna. Però, nessuno
può sapere che cosa accadrà. Se ci fosse un rifiuto, si aprirebbe un conflitto
costituzionale di grande portata. Di nuovo: politica contro giustizia. Siamo
sempre lì".
Il Senato - la giunta per le immunità prima, l'aula in seconda
battuta - possono rivolgersi alla Consulta?
"Certo che "possono"! Chi potrebbe
impedirglielo? Se, però, "potere" significa "essere lecito", per rispondere
dovrei entrare in argomenti strettamente giuridici. Preferisco non rispondere.
Troppe sono le cose dette dai giuristi e troppo diverse tra loro. Crediamo forse
che le forze politiche si orienteranno secondo l'argomento migliore, quando una
maggioranza ha votato senza battere ciglio che una ragazza di nome Ruby è nipote
d'un presidente egiziano? La realtà è che, in queste questioni, ciò che conta
non è la forza degli argomenti, ma la forza dei numeri. Agli argomenti dei
giuristi ci si appiglia solo come a pretesti. Sarebbe bene che, per
l'onorabilità nostra e della nostra disciplina, in questa circostanza ci si
astenesse dal fornire, per l'appunto, pretesti. In attesa ditempi migliori per
il diritto".
La grazia. Napolitano si è espresso in proposito. Berlusconi deve
chiederla ed essa non coprirebbe comunque le pene accessorie. Ma nella
situazione penale di Berlusconi - un'altra condanna in primo grado e altri
processi in corso - una grazia è possibile? Soprattutto: è eticamente
accettabile?
"Quando, nel 2006, la Corte costituzionale ha
definito i caratteri del potere di grazia, l'ha sottratto al Governo, poiché il
Governo esprime per sua natura orientamenti di parte, mentre la grazia deve
prescinderne. Per questo, è stata assegnata al potere esclusivo del Presidente
della Repubblica, rappresentante dell'unità nazionale. Ora, a parte le altre
questioni, cui lei accenna nella domanda, le pare che in questo caso la grazia
sarebbe un atto di unità? Non fomenterebbe, invece, profonde reazioni - come
si dice - divisive, che intaccherebbero la figura stessa del Capo dello
Stato?".
Una situazione come quella di questi giorni e la prospettiva
della crisi di governo farà saltare la scommessa di una nuova legge elettorale.
Rischiamo di tornare alle urne con ilPorcellum oppure lei vede vie d'uscita?
"Una proposta meritevole d'attenzione c'è:
sistema proporzionale con premio di maggioranza dato a chi prevale con una certa
percentuale di voti oppure, in mancanza, assegnato con ballottaggio. Le idee non
mancano. Ciò che manca è una convergenza d'interessi su una proposta. Se c'è una
materia su cui, più che su ogni altra, si giocano gli interessi immediati delle
forze politiche, e le ragioni di principio, cioè le visioni di giustizia, sono
recessive, è proprio la materia elettorale. Gli interessi non si sommano ma si
elidono. Per questo, c'è poco da essere ottimisti.
Un'occasione s'è persa quando la Corte
costituzionale ha bloccato un referendum per il ritorno alla legge precedente,
imperfetta ma certo migliore dell'attuale. Perciò, è assai probabile che si
ritorni a votare con la legge attuale, da
tutti deprecata per il suo marcato carattere oligarchico, per la possibile
abnormità del premio di maggioranza e per l'incoerenza degli esiti, tra Camera e
Senato: tre ragioni d'incostituzionalità. Ora, che si possa essere chiamati a
votare con una legge che la Corte costituzionale, di passaggio in una sentenza
di qualche anno fa, ha bollato come incostituzionale, è una delle non ultime
ragioni della malattia che sfianca la democrazia nel nostro Paese".