Divorzio, nuove nozze e penitenza nella Chiesa primitiva
di David Gabrielli
“Confronti” del gennaio 2014
Uno studio magistrale – finora sempre avversato e, per quanto possibile, oscurato dalle gerarchie vaticane e dai vertici della Conferenza episcopale italiana – potrebbe scuotere l’impianto storico- teologico in base al quale la dottrina ufficiale vigente nella Chiesa cattolica romana vieta alle persone divorziate e risposate (civilmente) di accostarsi alla comunione eucaristica. E, dunque, potrebbe aprirsi uno scenario inedito nella preparazione e, infine, nello svolgimento delle prossime due Assemblee del Sinodo dei vescovi (l’una «straordinaria» in ottobre 2014, l’altra «generale» nel2015) dedicate alla famiglia. Infatti, tra i molti sotto-temi dell’incontro, tutti legati, in senso stretto o ampio, a famiglia e sessualità, uno particolarmente emergente e incombente è appunto quello dello status ecclesiale delle persone divorziate e risposate che oggi, nel mondo, sono decine di milioni. Una delle motivazioni decisive che papi, Curia e vescovi – questi, salvo rarissime eccezioni, sempre eco del punto di vista romano – apportano per ribadire il no alla comunione alle persone divorziate e risposate è che la Tradizione (o tradizione con la «t» minuscola?) ha sempre confermato quanto proclamato da Gesù: «L’uomo non divida ciò che Dio ha unito»; per questa ragione chi, violando il patto coniugale, che prevede fedeltà e indissolubilità, rompe il matrimonio, e si sposa (civilmente) con un altro partner, commette un peccato che inesorabilmente gli preclude di accostarsi all’Eucaristia. Insomma, sostengono, chi spezza il sacramento del matrimonio, benedetto dalla Chiesa, e ne celebra un altro, in sede civile, e vive more uxorio nella nuova situazione, compie un peccato che la Chiesa non può mai perdonare.
Avendo presente questo sfondo, le tesi alle quali, dopo una documentatissima e rigorosa analisi, perviene Giovanni Cereti (sacerdote genovese, teologo, ecumenista, insegnante in varie Facoltà teologiche) mettono in questione radicale il cuore stesso dell’impianto teoretico ufficiale imposto dalle gerarchie ecclesiastiche alle coscienze. Esaminando il più importante Concilio ecumenico, e primo della serie, quello di Nicea del 325, lo studioso, infatti, sottolinea che quella solennissima Assemblea, al canone 8, imponeva in modo perentorio ai cathari – i puri, i seguaci del rigorista Novaziano – di accettare di essere in comunione con i digami. L’interpretazione consueta di questa parola greca (resa con bigami in latino) è stata vedovi risposati; ma il nostro teologo, sviscerando un’ampia panoramica storica afferma che essa significava divorziati risposati. In altri termini, Nicea proclamava che la Chiesa ha, da Cristo, il potere di assolvere da ogni peccato, anche l’adulterio, oltre l’apostasia e l’omicidio. Certamente, responsabilità dei coniugi è quella di vivere con coraggio e dedizione il loro amore, fino alla morte: questo è l’ideale che la Chiesa deve sempre ribadire. Ma, ove, anche per colpa, quel vincolo venga spezzato, e un coniuge si unisca (civilmente) in un nuovo matrimonio, che deve fare la Chiesa? Dirgli che, se persisterà nel suo stato di peccato, non c’è misericordia, oppure imporgli/le una severa penitenza ma, infine, accoglierlo – pur vivendo nella nuova unione – all’Eucaristia?
Può darsi che la stima e l’amicizia che ho verso don Giovanni (il quale pubblicò la prima edizione del suo libro nel 1977 con il Centro editoriale dehoniano, e lo pubblicò di nuovo, con lo stesso editore, nel 1998 – ma le autorità ecclesiastiche brigarono perché il libro fosse ritirato; ed ora lo ripubblica con Aracne) mi facciano velo nel valutare criticamente la sua opera. Essa, comunque, mi appare come una pietra miliare sulla questione dell’Eucaristia alle persone divorziate e risposate: e nessuno, tanto meno chi parteciperà ai prossimi due Sinodi, potrebbe affrontare la questione senza fare i conti con questa opera di Cereti. Un’opera che, dimostrando che la più antica e pura tradizione della Chiesa accoglieva all’Eucaristia le persone divorziate e risposate, demolisce le motivazioni «novaziane» sempre proclamate dai papi Wojtyla e Ratzinger. È dunque un sogno sperare che papa Francesco nomini don Giovanni esperto all’Assemblea sinodale del prossimo ottobre?
Giovanni Cereti,«Divorzio, nuove nozze e penitenza nella Chiesa primitiva» Terza edizione a cura di Francesco Zanchini di
Castiglionchio Aracne editrice, Roma 2013 438 pagine, 26 euro