DOPO IL BIG BANG
di Marco Revelli
il Manifesto di sabato 3 agosto 2013
Quello che tutti
sapevano, ora - da giovedì 1 agosto alle 19,38 - è giudizio definitivo e
irrevocabile: per vent'anni la politica di questo Paese è stata influenzata e a
lungo guidata da un fuorilegge. Da un evasore fiscale seriale che ha continuato
a frodare lo Stato (che era chiamato a rappresentare) anche quando ne era Capo
del Governo e leader del principale partito, titolare di un potere conquistato e
mantenuto grazie alle proprie smisurate risorse e alla impotenza di
un'opposizione di Sua Maestà culturalmente subalterna e politicamente
connivente.
Berlusconi cade nel punto esatto da cui aveva incominciato: sull'incrocio tra
affarismo e politica. Tra potenza economica costruita sul filo dell'illegalità e
potere politico da essa alimentato con metodi "non ortodossi". Per questo la
sentenza della Cassazione illumina l'intero ventennio che ci sta alle spalle,
con una rilevanza sul giudizio politico che non può essere attenuata da nessuna
ragione di opportunità o di prudenza.
Con buona pace di chi, Pd in testa, ripete l'inaccettabile tormentone che invita
a tener separate le questioni giudiziarie da quelle politiche (come se la
Politica potesse prescindere dalla
Giustizia, e le valutazioni tattiche dal giudizio storico).
Quali che siano le immediate risposte degli estenuati protagonisti dell'attuale
establishment politico (le furie impotenti del centrodestra, gli imbarazzi
imbarazzanti del centrosinistra, i sussurri e le grida degli uni e degli altri),
è certo che un'epoca si è chiusa, definitivamente. Un tabù è stato infranto
(l'impunità dell'"unto dal signore"). Un principio di legalità è stato affermato
(la Legge non si arresta al portone
del Palazzo).
Un potente è caduto, un po' come accadde settant'anni fa, più o meno negli
stessi giorni, quando un altro ventennio si chiuse, e il suo protagonista si
trovò i carabinieri alle porte e un'ambulanza per riservargli un'uscita discreta
verso gli "arresti domiciliari" sul Gran Sasso. Può darsi che il Cavaliere (oggi
No Cav, per incompatibilità del titolo con la condizione di pregiudicato)
resista ancora in qualche estrema ridotta. Che possa ancora fare del male (e
molto). Ma il suo ciclo è finito.
Quali siano le conseguenze di tutto ciò, è al momento difficile calcolare. Sul
piano immediato, certo è che oggi più di ieri appare del tutto inconcepibile
l'idea che questa maggioranza (di cui lo stesso Berlusconi è il principale
azionista e nella quale il suo partito personale ha un peso decisivo) possa
anche solo pensare di metter mano alla Costituzione. Non ne ha né la
legittimazione politica (resta minoritaria in valori assoluti nel Paese), né la
dignità morale. Nella profondità abissale della crisi italiana la
Carta Costituzionale è l'unico punto
fermo cui riferirsi. Minarne l'integrità sarebbe un delitto. Mai come ora, dopo
lo scempio di questo ventennio, si tratta di applicarla nella pienezza dei suoi
valori, non certo di cambiarla.
Allo stesso modo, appare davvero aberrante parlare, con questa maggioranza e con
questo Parlamento, dopo questa sentenza e le reazioni che l'hanno seguita, di
"riforma della giustizia". Ed è difficile comprendere le ragioni per cui il Capo
dello Stato abbia evocato questo tema, dando l'impressione di offrire in qualche
modo la Magistraturacome vittima
sacrificale all'ira funesta del centrodestra nelle stesse ore in cui il loro
Capo, nel suo sconquassato messaggio televisivo, l'attaccava frontalmente. A
meno che lassù, sul colle più alto, si ritenga che tutto possa essere
sacrificato all'unico dio della stabilità di governo, secondo una logica che
solo apparentemente può essere considerata prudente, ma che nella sostanza
sarebbe pericolosissima (ancorché in linea con le peggiori oligarchie globali in
guerra con il costituzionalismo democratico).
Sul più lungo periodo è probabile che il big bang che sta devastando il
centrodestra travolga, per contagio, anche quel che resta del centrosinistra,
con qualche milione di elettori di destra alla ricerca di una casa, e
altrettanti di sinistra alla ricerca di una ragione. Questo l'effetto velenoso
del pasticciaccio brutto di piazza del Quirinale, e del progetto delle "grandi
intese" destinato a cancellare anche quei pochi anticorpi morali che erano
sopravvissuti a sinistra all'infezione berlusconiana. Ancora una volta ci tocca
assistere, come settant'anni or sono, al fallimento di un'intera classe
dirigente. E come allora, le uniche speranze possibili (lo sappiamo quanto
esili, o comunque poco visibili) sono affidate all'emergere di una classe
politica "altra", non logorata né contaminata, culturalmente e politicamente
libera dai vizi di un ventennio di vergogna.