di Maria Mantello
da MicroMega online del 24.9.2013
Papa Bergoglio dice di volere una Chiesa dove la dottrina non sia
«da imporre con insistenza», una Chiesa
che procede «misericordiando», composta di «ministri misericordiosi» capaci di
«farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava,
pulisce, solleva il suo prossimo». Una chiesa più attenta, più aperta verso
omosessuali, donne che hanno abortito, separati e divorziati, ecc.
Il tutto però, senza scostarsi dall’ortodossia cattolica: «il
parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa»,
riporta ancora l’ormai notissima intervista rilasciata dal papa a Civiltà
Cattolica, dove Bergoglio torna anche su sue precedenti affermazioni: «Durante
il volo di ritorno da Rio de Janeiro ho detto che, se una persona omosessuale è
di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla.
Dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo [...] l’ingerenza
spirituale nella vita personale non è possibile. [...] Bisogna sempre
considerare la persona. [...] Bisogna accompagnare con misericordia. Quando
questo accade, lo Spirito Santo ispira il sacerdote a dire la cosa più giusta».
E continua: «Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle
un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è
risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è
sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa
il confessore? [...] chi predica deve riconoscere il cuore della sua comunità
per cercare dove è vivo e ardente il desiderio di Dio ».
Dove è la rivoluzione? Tutto resta nella triade: caduta,
pentimento, perdono. Tanta misericordia se ti penti, ma la dottrina resta
dottrina e il catechismo il suo manuale.
Quindi, al di là del tono bonario, della simpatia comunicativa
che innegabilmente il nuovo papa ispira, l’orizzonte del pensare e dell’agire è
sempre il Dio cattolico e la Chiesa mater e magistra, che adesso - ammette
sempre papa Francesco - deve «trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche
l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di
perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve
essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono
le conseguenze morali».
Rimettere Dio al centro è la rivoluzione di Bergoglio.
Evangelizzare, convertire, recuperare alla chiesa, rimettendo Dio ben fermo
sull’orizzonte, perché la morale cattolica sia considerata normale, naturale.
Il conclave che lo ha eletto sembra aver affidato al nuovo papa,
non solo il compito di far dimenticare gli scandali che dalla curia sono
arrivati fin dentro le stanze papali (e forse potrebbe essere anche per questo
che Bergoglio non vi risieda), ma soprattutto di riconquistare alla dottrina
cattolica una società sempre più laicizzata e secolarizzata nei fatti.
Bergoglio, il papa che viene dalla fine del mondo per riportare
Dio nel mondo e che dovrebbe evocare Wojtyla per capacità di gestione mediatica,
ma Giovanni XXIII per i toni dimessi, e di suo personale aggiunga il savoir
faire del
gesuita.
Un mixer di accortezza e ingenuità, che egli stesso si riconosce
quando dice di sé a Civiltà Cattolica: «Sì, posso forse dire che sono un po’
furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po’ ingenuo». Del resto, è
proprio lui a dichiarare di aver innestato Ignazio di Loyola su Giovanni XXIII,
fondendo in se stesso il Non
coerceri a maximo, sed contineri a minimo divinum est del
fondatore dei gesuiti, con la massima del “papa buono”: Omnia
videre, multa dissimulare, pauca corrigere.
La massima di Ignazio, specifica papa Francesco, significa «fare
le cose piccole di ogni giorno con un cuore grande e aperto a Dio e agli altri.
È valorizzare le cose piccole all’interno di grandi orizzonti, quelli del Regno
di Dio»; e aggiunge: «Questa massima offre i parametri per assumere una
posizione corretta per il discernimento, per sentire le cose di Dio a partire
dal suo “punto di vista”. Per sant’Ignazio i grandi princìpi devono essere
incarnati nelle circostanze di luogo, di tempo e di persone. A suo modo Giovanni
XXIII si mise in questa posizione di governo quando ripeté la massima Omnia
videre, multa dissimulare, pauca corrigere,
perché, pur vedendo omnia,
la dimensione massima, riteneva di agire su pauca,
su una dimensione minima. Si possono avere grandi progetti e realizzarli agendo
su poche minime cose. O si possono usare mezzi deboli che risultano più efficaci
di quelli forti».
Il regno di Dio resta comunque il fine da perseguire incidendo
capillarmente nel quotidiano in un rapporto mezzi fini ben calcolato, studiato.
E al momento l’effetto mediatico sembra assicurato in una sorta
di fascinazione collettiva, che sta prendendo anche tanti laici, che sembrano
basiti dai “misericordiamo” di papa Bergoglio.
Come se l’attenzione all’altro, la misericordia verso l’altro,
fosse appalto cattolico e di questo papa in particolare.
Allora, forse vale appena ricordare che misericordia non è
commiserazione dell’altro rispetto al quale ci si pone su un piedistallo di
superiorità con un pacchetto di sacralizzata precettistica morale che resta a
priori quello giusto.
Allora, forse vale appena ricordare che esiste anche una
misericordia tutta laica, organica alla mentalità e all’etica laica che non
chiede all’altro nulla in cambio, perché fa dell’autonomia morale il valore del
rispetto di se stessi e dell’altro nutrendosi del principio di non imporre
all’altro più di quanto l’altro possa reciprocamente imporci. E su questa strada
si è affermata la libertà e la giustizia, ovvero l’uguaglianza nei diritti umani
che pongono al centro l’individuo la cui dignità è nella libertà di
autodeterminarsi essendo il proprietario della sua vita.
Misericordia significa avvertire il sentimento dell’altro ed
esserne compartecipi. Una compassione che ci porta anche ad assumere la
prospettiva dell’altro. Uno specchiarsi nell’altro nella comune compassione che
non chiede all’altro pegno da pagare. Questo specchiare noi stessi nel
sentimento dell’altro è condivisione solidale – empatica, prima ancora che
cognitiva –, compassione che muove al soccorso, ma che impegna alla solidarietà
nel rimuovere le condizioni del suo (del nostro) dolore. Su questa compassione,
“virtù non usuraia” (per usare la definizione di Foscolo) si è aperta la breccia
per i diritti civili.
Tutto questo lo dovrebbero tener presente soprattutto i laici che
oggi sembrano impegnati in grandi osanna per papa Francesco, e magari lasciano
correre se questi (“misericordiando”?) benedice i pro-life in marcia su Roma in
buona compagnia dei cattolicisti di Militia Christi e Forza Nuova; oppure
benedice i ginecologi cattolici perché continuino a boicottare interruzioni
volontarie di gravidanza, anticoncezionali, fecondazione assistita.
Ecco allora, la vera rivoluzione ci sarebbe se il papa fosse
contaminato dalla compassione-misericordia laica.
Magari facendo seguire all’affermazione bella: “chi sono io per
giudicare un omosessuale”, l’azione coraggiosa di cancellare i canoni del
catechismo che definiscono l’omosessualità «oggettivo disordine morale», (canone
2357) e vorrebbero gli omosessuali casti ed espianti, prostrati nel vivere nel
«sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in
conseguenza della loro condizione» (canone 2358). Sarebbe irriverente chiedere
se anche la violenza omofoba rientra nella croce da sopportare? E ancora sarebbe
troppo democratico esigere dallo Stato repubblicano una legge civile che, non
solo consideri l’omofobia aggravante, ma intervenga anche nella rimozione dei
pregiudizi omofobi e consideri pericolo per la civile convivenza democratica chi
li alimenta?
È fin troppo facile un misericordia che apre le braccia a chi si
pente! Così si riconferma il proprio potere definitorio di bene e male in
eterno. Un vizio che ritorna e che porta ad accreditare la Chiesa come grande
agenzia morale.
Dice Bergoglio: «La visione della dottrina della Chiesa come un
monolite da difendere senza sfumature è errata».
Benissimo! Allora, se per sfumature si intende l’attenzione
all’individuo storico-biologico concreto, ci aspetteremmo – ad esempio – anche
la decadenza della condanna degli anticoncezionali con conseguente rimozione dei
canoni del catechismo che recitano: «É intrinsecamente cattiva ogni azione che,
o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo
delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo e come mezzo, di
impedire la procreazione» (canone 2370). E che quindi in un reale riconoscimento
della libertà di coscienza (che è altro dall’anima cristiano-cattolica) si
rimuova anche il canone che chiama lo Stato a far divenire il precetto legge:
«Lo Stato è responsabile del benessere dei cittadini. È legittimo che, a questo
titolo, prenda iniziative al fine di orientare l'incremento della popolazione.
Può farlo con un'informazione obiettiva e rispettosa, mai però con imposizioni
autoritarie e cogenti. Non può legittimamente sostituirsi all'iniziativa degli
sposi, primi responsabili della procreazione e dell'educazione dei propri figli.
In questo campo non è autorizzato a intervenire con mezzi contrari alla legge
morale. (canone 2372).
Sappiamo bene quanto questo punto sia stato il trampolino di
lancio per l’occupazione della pubblica agorà, anche per avere scuole cattoliche
finanziate per giunta dallo Stato!
Papa Bergoglio ha anche detto sempre nell’intervista a Civiltà
cattolica: «Del resto, in ogni epoca l’uomo cerca di comprendere ed esprimere
meglio se stesso. E dunque l’uomo col tempo cambia il modo di percepire se
stesso: una cosa è l’uomo che si esprime scolpendo la Nike di Samotracia,
un’altra quella del Caravaggio, un’altra quella di Chagall e ancora un’altra
quella di Dalí». Un’apertura straordinaria alla storicizzazione, alla
secolarizzazione, alla laicità! Peccato però che la chiusa della sua frase
contraddica tutto questo: «Anche le forme di espressione della verità possono
essere multiformi, e questo anzi è necessario per la trasmissione del messaggio
evangelico nel suo significato immutabile». Ancora e sempre la dottrina resta
dottrina in cui tutto si metabolizza nell’eternità del vangelo.
Ecco allora che le “sfumature” dileguano, ma restano i
significati di fuoco del testo sacro di cui una Chiesa mater e magistra resta
custode e interprete, cercando nuove strade comunicative, ma ben salda oltre che
nella dottrina nel non rinunciare agli astorici privilegi economici e politici
che in particolare l’Italia del Concordato e ben oltre il Concordato non le fa
certo mancare.
Ecco questa rinuncia ai privilegi: dall’Imu, all’8 per mille,
all’insegnamento confessionale nella scuola statale e tanto altro ancora,
sarebbe davvero una rivoluzione.
Servirebbe ovviamente tanto coraggio, un “coraggio che non è
parola di passaggio” (parafrasando lo stesso Bergoglio); ma forse, prima che
questo accada, bisognerà davvero aspettare che un cammello passi per la cruna di
un ago.
(24 settembre 2013)