La Chiesa a braccia chiuse
di Marco Politi
“il Fatto Quotidiano” del 15 gennaio 2013
Da oggi – prepariamoci – nessun amico di un morto potrà parlare in chiesa ai funerali. Amici e parenti saranno invitati a commemorare il defunto, uscendo dal tempio e fermandosi sul sagrato. Così vogliono “nuove disposizioni” della gerarchia ecclesiastica. Naturalmente non è vero. Dalle Alpi al Mediterraneo il sacerdote passerà sempre il microfono a chiunque voglia portare un ricordo. Ma è con questa bugia che domenica è stato impedito di parlare a Emma Bonino nella Chiesa degli Artisti. Dice Renzo Arbore: “Mi hanno insegnato che se si mente a qualcuno, soprattutto in chiesa, si va all’inferno”. Lo racconta a Repubblica, svelando il meschino retroscena del breve discorso della Bonino sul sagrato dopo i funerali di Mariangela Melato. Le migliaia di romani venuti domenica a salutare l’artista in piazza del Popolo a Roma, avevano pensato che la vicepresidente
del Senato volesse farsi sentire meglio dalla folla. Invece era stata silenziata nel tempio. Indegna di parlare, perché radicale. Ma poiché nessuna autorità ecclesiastica aveva il coraggio di dirlo, ecco la bugia. “Nuove disposizioni” , aveva sussurrato il celebrante ad Arbore prima del rito, impedivano che “altri” parlassero in chiesa durante il servizio funebre.
Una pietosa finzione. Un’altra occasione persa per mostrare una Chiesa dalle braccia aperte: specie nel momento drammatico della morte. È inutile che in Vaticano si prendano dall’America consulenti per la “strategia mediatica”, se poi ciclicamente viene esibito il volto duro della Gerarchia. E pensare che i funerali (insieme ai matrimoni) sono i rari momenti in cui tanti non praticanti , tanti “lontani”, tanti agnostici e atei e seguaci di altre religioni tornano a mettere piede in una chiesa cattolica. Non dovrebbe, forse, essere un momento privilegiato per annunciare la “buona novella” ? Ciclicamente l’autorità ecclesiastica – quasi fosse un raptus – corre a mostrarsi senza pietà. Ricordiamo ancora il gelido comunicato del Vicariato di Roma: “In merito alla richiesta di esequie ecclesiastiche per il defunto Dott. Piergiorgio Welby, il vicariato di Roma precisa di non aver potuto concedere tali esequie, perché...”. 22 dicembre 2006. Un linguaggio aziendale, burocratico, incurante della vigilia del Natale, incurante del dolore della cattolicissima madre che per tutto il tempo delle esequie – celebrate poi laicamente in piazza – terrà la mano incollata alla bara. L’accusa lanciata a Welby era di avere “pubblicamente affermato la volontà di porre fine alla propria vita”. Il cattolico Antonio Guidi, l’ex ministro disabile del primo governo Berlusconi, esplose : “Questa Chiesa cattolica, che ha aperto le sue porte per i funerali a tiranni, faccendieri, corrotti, nega la sua accoglienza a chi ha tanto sofferto”. E intanto (avrebbe potuto aggiungere) garantisce un posto in cripta nella veneranda basilica di Sant’Apollinare al boss della Magliana Renatino de Pedis. Anche i funerali di Lucio Dalla furono una fiera dell’ipocrisia: “Vai in chiesa e ti concedono i funerali – commentò Lucia Annunziata – basta che non dici di essere gay”. Di qua il frate Bernardo Boschi che durante il rito si rivolge affettuosamente al compagno di Dalla, citando la crudele dipartita “… vero Marco?”. Di là il provicario generale della diocesi di Bologna, mons. Gabriele Cavina, pronto a citare senza misericordia Marco Alemanno come “collaboratore” del cantante e a proclamare al momento della comunione : “Chi desidera accostarsi all’eucarestia e si trova in peccato mortale, prima ricorra al sacramento della confessione e faccia penitenza”. Perché – si sa – i sodomiti costituiscono un’offesa agli occhi di Dio.
C’è una Chiesa, che dimentica sempre la parabola del Servo senza pietà, di cui parla l’evangelista Matteo. C’era un padrone, racconta, che stava per vendere un servo debitore, che non gli restituiva diecimila talenti (centomila euro, potremmo dire). Di fronte alle suppliche strazianti del servo, gli condonò tutto. Ma lo stesso servo, appena salvato, gettò in prigione un poveraccio che gli doveva cento denari. Finì, dice il Vangelo, che il buon padrone mise il servo malvagio in mano agli aguzzini.
C’è un peccato che Cristo non perdona mai: la durezza di cuore.