La chiesa che vorrei don Gallo in cammino con papa Francesco
di don Andrea Gallo
“il Fatto Quotidiano” del 17 maggio 2013
Questo libro stava per essere dato alle stampe quando l’11 febbraio è giunto strepitoso l’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI. Un evento straordinario che ha scosso tutti. Non si verificava da secoli. Nella serata burrascosa di quel lunedì, un fulmine ha improvvisamente illuminato la cupola di San Pietro. Semplice coincidenza o immagine premonitrice? Il mondo intero si è interrogato con stupore, incredulità, smarrimento. Tutti mi chiedevano: “Quali motivazioni hanno spinto il papa a una così sorprendente decisione?”. Titubante rispondevo: “Papa Ratzinger ha posto al centro il bene della Chiesa, con coraggio e assumendosi le proprie responsabilità. È stato il quarto papa del post- Concilio”. Ora è arrivato papa Francesco a farci sperare di nuovo in una Chiesa dei poveri. Un sollievo dopo tanta pena. Sapranno i cattolici accogliere l’invito inequivocabile e sofferto a un
rinnovamento radicale per ritornare a essere Lumen gentium, “luce delle genti”, un popolo di Dio in cammino per annunciare il Vangelo di liberazione per tutti, con il sostegno dello Spirito del Cristo risorto e vivo? Con l’elezione di Francesco tutto è possibile. I primi segnali sono di rottura con il passato e con un’idea di Chiesa arroccata e chiusa in se stessa. Le questioni che il nuovo papa dovrà affrontare sono tante e gravi.
Le domande che ci attendono
Si riuscirà a dirottare la prua della nave di Pietro da una cristianità in dispersione e pesantemente attraversata dal male verso la comunione e la comunità dei discepoli, risalendo alle genuine fonti evangeliche? Nessuno può nascondere la situazione drammatica: la nostra amata Chiesa è fredda e scostante e in questi ultimi anni ha perso credibilità rispetto a questioni fondamentali. Come ha affrontato lo scandalo degli abusi sessuali? Non sarebbe il momento di cambiare le modalità con cui vengono nominati i vescovi, prevedendo un maggiore coinvolgimento dei fedeli? Non si potrebbe mettere in discussione il celibato obbligatorio dei preti? Perché non considerare l’ordinazione femminile? Sulla questione di genere la Chiesa è “maldestra e ambigua”. Perché tanta difficoltà nel dire sì alla donna? Perché non riconsiderare la posizione assunta dalla Chiesa sugli anticoncezionali? E il testamento biologico? Mi chiedo nelle mie povere preghiere: non sarà grave aver trascurato i documenti del Concilio Vaticano II (1965)? Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI: è lecito chiedersi perché, trascorsi quasi cinquant’anni, il Concilio di Giovanni XXIII sia ancora tutto da tradurre. Solo quando abbandonerà il suo statuto imperiale la Chiesa avrà da dire qualcosa agli uomini e alle donne del Terzo millennio. Auspico che il nuovo Pietro riproponga le quattro parole chiave di quella primavera della Chiesa. Si avvertono segnali incoraggianti. La prima parola chiave è “partecipazione attiva”. Che vuol dire riconoscimento della soggettualità di tutto il popolo di Dio, dei suoi carismi e dei servizi che è chiamato a rendere. La seconda parola è sinodalità. Che investe l’interezza del popolo di Dio e non solamente un piccolo segmento di vescovi. La Chiesa diventi un cantiere aperto, si apra a un mutato rapporto primato- episcopato, episcopato-presbiterato, chierici-laici. La terza è ascolto. Ascolto dei precetti da assimilare, da proclamare, da studiare e approfondire con la testimonianza. Infine la quarta: il dialogo. Penso soprattutto al dialogo Chiesa-mondo, ma non solo. C’è bisogno di dialogo intraecclesiale, di dialogo culturale ed ecumenico.
Solidale al fianco dei bisogni
La Chiesa che mi permetto di auspicare è una comunità in ascolto della parola di Dio e delle sue stesse membra, e capace di un annuncio e una profezia sempre nuovi. Sogno una Chiesa non separata dagli altri, che non sia sempre pronta a condannare, ma sia solidale, compagna, a fianco dei bisogni delle donne e degli uomini. L’ufficio divino della Quaresima apre con Isaia (58, 6-10): “Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo [...]. Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce”. Un consiglio per il motto papale: “Povertà, giustizia, pace”.
Le lobby del Vaticano
La crisi all’interno del Vaticano è tuttora drammatica. Ci sono fazioni, lobby, gruppi di potere, cardinali in lotta... Quando nel 2011 mi arrivò la notizia che il patriarca di Venezia, Angelo Scola, sarebbe diventato arcivescovo di Milano, mi chiesi perché mandassero un patriarca di settant’anni nella diocesi più grande del mondo. Dietro quella nomina c’era un calcolo preciso: le cause di beatificazione devono iniziare nelle diocesi di appartenenza del servo di Dio, e Scola era il cardinale giusto per avviare la pratica a favore di don Giussani. Né Martini né Tettamanzi si sarebbero mai sognati di beatificarlo. Dopo qualche mese che era a Milano, Scola ha aperto la causa di beatificazione. Sarà una coincidenza? Ecco la conferma di quanto sia forte la lobby di Comunione e liberazione dentro la Chiesa e quanto Ratzinger ne fosse influenzato. Le lobby in Vaticano hanno indebolito e in parte costretto alle dimissioni papa Benedetto XVI: una di queste è l’Opus Dei, poi ci sono i Legionari di Cristo (il loro fondatore, monsignor Maciel, si è macchiato di colpe gravissime, provate, e Ratzinger sapeva tutto), Comunione e liberazione, gli Araldi di Cristo, Sant’Egidio, che è alle dirette dipendenze della segreteria di Stato. C’è poi una lobby omosessuale molto forte: un gruppo di vescovi che nasconde la propria omosessualità e la sublima non nella castità, bensì nella ricerca del potere; cercano di allungare la catena che li unisce creando altri vescovi omosessuali.