Le lobby di Dio e dei suoi discepoli
di Carlotta Zavattiero
i“il Fatto Quotidiano” del 26 ottobre 2013
Legionari di Cristo, Focolari, Opus Dei, CL, Sant’Egidio, Cammino neocatecumenale, Rinnovamento dello Spirito Santo: le sette lobby del Vaticano raccontate nel nuovo libro di Carlotta Zavattiero. Pubblichiamo uno stralcio relativo alla Comunità di Sant’Egidio e alla “monarchia assoluta” del fondatore ed ex ministro, Andrea Riccardi.
Nel 2003 l’immagine buonista della Comunità di Sant’Egidio è stata intaccata dalla testimonianza di G.F., insegnante di liceo a Roma, che ha raccontato quanto ha visto e vissuto in venticinque anni di affiliazione interna, durata fino al Natale del 2000. Nel 1987, all’età di trentuno anni, G.F. ha sposato una ragazza della Comunità. Poi il matrimonio è andato in crisi ed è sfociato in una separazione. L’uomo ha quindi presentato presso il Tribunale diocesano di Roma la richiesta di riconoscimento di nullità, allegando un memoriale per documentare che le pressioni erano la norma a Sant’Egidio. La sua ex moglie era totalmente assorbita dalla Comunità: “Entrambi i genitori furono contrariati al vedere che la figlia era spesso fuori, non tornava a pranzo e a cena e non passava neppure il Natale in famiglia. Ci furono molte discussioni finché lei, sostenuta dalla Comunità, andò via di casa, ospite prima di un’amica della Comunità e poi di un’altra. Non diceva ai suoi genitori dove abitava e raramente si faceva sentire per telefono. La madre la implorava, ma lei si diceva orgogliosa di aver lasciato la sua famiglia per dedicarsi anima e corpo al servizio della Comunità”.
Non si tratta di un caso isolato, ma – secondo G.F. – di “una delle tante storie dei membri della Comunità di Sant’Egidio. Tutti pendono dalle labbra del fondatore. Ogni suo discorso viene registrato e spedito alle varie comunità sparse per l’Italia e nel mondo. Da lì si traggono gli argomenti chiave delle omelie poi pronunciate dai sacerdoti aderenti alla Comunità durante le liturgie di quartiere o dai responsabili locali nelle preghiere serali”. Durante le riunioni dei gruppi i discorsi del fondatore diventano “la parola” alla luce della quale i partecipanti confessano davanti agli altri quanto vi è di oscuro e sbagliato nella propria vita personale. Simili interventi in pubblico assumono il valore e il significato di una confessione sacramentale: “Una preghiera pubblica durante la messa domenicale suggella il pentimento e il desiderio di riscatto”. Nel memoriale depositato in tribunale il professore romano spiega nel dettaglio cosa significa applicare nella vita quotidiana le virtù raccomandate dal fondatore: umiltà, obbedienza, disponibilità, fedeltà, generosità. L’umiltà presuppone che ci si senta sempre “figli della Comunità, bambini bisognosi delle cure di una madre, mai adulti indipendenti né orgogliosi, poiché ogni azione e parola che viene fatta o detta è per il bene di ciascuno e di tutti”.
Si richiede “obbedienza alla Comunità e a chi la rappresenta ai massimi livelli, perché è obbedienza al Vangelo, a Dio e a chi parla in suo nome e lo annuncia, cioè i capi e i fratelli maggiori”. Ciascuno deve essere pronto in ogni momento “a rispondere alle esigenze della Comunità, senza quell’esitazione che è sintomo di sfiducia”. Occorre dimostrare fedeltà nel servizio, negli appuntamenti liturgici e assembleari, e generosità nel donare tempo, mezzi, denaro e nell’accogliere gli altri nella propria vita, nonché nelle case. Il professore denuncia l’ingerenza della Comunità nella sua vita sentimentale: “Una volta confidai al mio padre spirituale che mi ero innamorato di una ragazza di diciotto anni. Mi disse che non era adatta a me perché troppo giovane, mentre sarebbe stato meglio che mi fidanzassi con un’altra, di ventitré anni, che aveva rivelato alla sua madre spirituale un interesse nei miei confronti. A me non piaceva e lasciai cadere la proposta, ma dovetti rinunciare anche alla ragazza di cui ero innamorato. Conobbi poi colei che sarebbe divenuta mia moglie: frequentavamo lo stesso gruppo e svolgevamo lo stesso servizio. Fu lei a invitarmi a cena e a farmi capire che le interessavo. Seppi poi che aveva parlato di me alla nostra comune madre spirituale, Valeria Martano, dalla quale era stata incoraggiata a prendere l’iniziativa. Per un breve periodo, quindi, provai a stare assieme a lei, ma presto la lasciai perché non mi piaceva. Questo rifiuto scatenò contro di me la reazione della nostra madre spirituale, che mi rimproverò di aver illuso quella sorella e di averla lasciata senza chiedere preventivamente il suo consenso. E anche in Comunità la cosa ebbe strascichi: fui rimproverato in assemblea e criticato in tutto ciò che facevo come assistente degli anziani. I miei amici mi evitavano. […] Qualche tempo dopo mi fidanzai con la ragazza che era stata prescelta per me”.