“Il femminicidio va fermato: media responsabili”
intervista a Michela Murgia a cura di SiT
“il Fatto Quotidiano” del 15 maggio 2013
Si intrecciano in questi giorni sui quotidiani notizie di violenza: alcune urbane, sociali e alcune, come sempre più spesso accade, contro le donne. Ne abbiamo parlato con la scrittrice Michela Murgia, autrice con Loredana Lipperini, di L’ho uccisa perché l’amavo. Falso (Laterza).
C’è un escalation di femminicidi?
I dati Istat parlano chiaramente di una crescita del fenomeno. C’è una diminuzione complessiva degli omicidi, ma un aumento dei femminicidi. Che non sono semplici omicidi di persone di sesso femminile. Sono omicidi di donne per ragioni di possesso. Tra l’altro non è così facile avere numeri certi, perché in Italia non esiste un osservatorio: probabile che le cifre siano superiori.
Da cosa dipende l’aumento?
In momenti di recessione economica, l’emancipazione femminile regredisce. Quando l’uomo perde le sicurezze economiche, tende a consolidare quelle relazionali e patisce di più la prospettiva dell’abbandono. L’altra ragione è strutturale: quando metti in discussione il dominio di un genere sull’altro, chi perde potere reagisce con violenza.
I media spesso usano espressioni quasi giustificazioniste, come “delitto passionale” o “raptus di gelosia”.
Se fai un titolo: Uccide la moglie: “Non mi lasciava mai parlare”, stai già costruendo una
narrazione. In cui il protagonista è lui e la sua ragione domina su quella della morta che non può più parlare. Credo sia sbagliato decidere che, quando si tratta di queste morti delle donne, tutte le letture siano possibili. Ma succede anche sul sito del Fatto, dove sono stati pubblicati più interventi di due blogger a cui è stato permesso di dire che l’uccisione di donne da parte di uomini che ne
rivendicano il possesso non è un fenomeno specifico: così si rinuncia a cercarne le cause. Penso che fare del giornalismo responsabile voglia dire dare le notizie ragionando però sulle cause.
I blog sono tradizionalmente un luogo di libera espressione. A quei due opinionisti sono stati affiancati altri di segno opposto. E soprattutto lo è la linea de ilfattoquo tidiano.it , dove tra l’altro è stata aperta una sezione “Donne di Fatto” che certo non si occupa di make-up e moda.
Se all’interno di un dibattito maschilismo e femminismo hanno uguale dignità non si sta certo tutelando la parte debole, che è quella che muore. È come dire che in un dibattito sul razzismo, razzismo e antirazzismo sono considerate opinioni ugualmente legittime.
Da quando c’è stato il primo episodio di sfregiamento con l’acido muriatico, ne sono seguiti diversi: è giusto dare rilevanza alla notizia o sarebbe meglio non farlo per evitare l’effetto emulazione?
Sicuramente sull’acido c’è stato un effetto emulazione: non è mai stato un uso occidentale. Però la modalità non fa tutta questa differenza. Lo sfregiamento è una variante della rivendicazione del possesso dell’oggetto. Sfregiare la bellezza, la cosa che gli uomini considerano più “propria” perché suscita il desiderio, equivale dal punto di vista simbolico a sopprimere una persona.
Popper sottolineava il ruolo negativo della televisione come veicolo di una violenza non sempre proposta come “cattiva”. È sempre vero?
Sì: in Italia si confonde il conflitto con la violenza. Se si discute si può alzare la voce, ma non tirare pugni e non insultare: basta guardare i talk-show.. E poi ci sono tipi di violenza più sotterranea, da cui è più difficile difendersi. Ho visto un cartellone che pubblicizzava auto di lusso usate. A fianco c’era una donna giovanissima e bellissima. Lo slogan era: “Sai di non essere il primo, ma cosa t’importa?”. Questo manifesto ti dice che auto e donna sono intercambiabili, che in quell’oggetto c’è un valore. Se l’ha già usato qualcuno vale di meno, ma se la carrozzeria è intatta non è importante. Ma se invece non lo fosse, cosa accadrebbe?
La violenza urbana, come l’episodio di Milano-Niguarda, provoca un disagio che condiziona i cittadini nella fruizione delle città.
Questo dipende dalla scomparsa dei rapporti di prossimità. Se uno può uccidere tre persone a picconate per strada per 62 minuti senza che nessuno chiami la polizia, vuol dire che nessuno ritiene che il pericolo degli altri lo riguardi. Non è l’aumento della polizia che ci può salvare, ma l’aumento di attenzione sociale.