Il ragazzo che ha smentito Harvard salvando il mondo dall’austerità
di Federico Rampini,
Repubblica,
29 aprile 2013
È apparso come star nel popolare talkshow di satira politica The Colbert Report.
Se l’è meritata davvero questa fama Thomas Herndon, che prepara la sua tesi di
Ph.D. alla University of Massachussetts di Amherst.
Il premio Nobel dell’economia Paul Krugman gli dà atto di avere «confutato lo
studio accademico più autorevole degli ultimi anni». Scoprendovi degli errori
banali, imbarazzanti per gli autori. Le vittime di Herndon sono due tra gli
economisti più stimati del mondo: Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff. Loro due
insegnano in una super-università, Harvard, ben più prestigiosa di quella dove
studia il 28enne dottorando che li ha messi al tappeto. Rogoff, che è stato
economista anche al Fondo monetario internazionale e alla Federal Reserve,
insieme con la sua collega Reinhart pubblicò “Growth in a Time of Debt”, una
ricerca conclusa proprio quando stava scoppiando la crisi della Grecia. In quel
testo vi era la “prova scientifica”, secondo gli autori, che se il debito
pubblico di una nazione raggiunge la soglia del 90% del Pil, diventa un ostacolo
insuperabile alla crescita.
Quella cifra “magica” venne adottata come un dogma, istantaneamente ripresa da
organizzazioni internazionali e governi: da Angela Merkel alla Commissione
europea, fino al partito repubblicano negli Stati Uniti. Lo stesso Krugman
ricorda che «ebbe un ruolo cruciale nella svolta delle politiche economiche, con
l’abbandono delle manovre anti- recessive sostituite prontamente con politiche
di austerity ». La tesi di Krugman è che c’erano già poderose correnti
ideologiche in azione per interrompere le manovre anti-recessive, e tuttavia
quello studio divenne un regalo insperato, una pietra miliare, il fondamento
teorico per l’austerity.
Herndon, che si definisce «né conservatore né progressista», non è stato mosso
da un’agenda politica. «Non ero partito — racconta — con l’intenzione di
demolire lo studio di Reinhart-Rogoff, davvero non ero a caccia di errori. I
miei professori di Amherst mi avevano assegnato un compito molto comune: prendi
una ricerca fatta da altri economisti, e prova a dimostrare che sei capace di
replicarne il risultato». È così, esercitandosi a rifare lo stesso percorso di
Reinhart-Rogoff, che il 28enne si è imbattuto nella sua scoperta. «Provavo e
riprovavo a fare i loro stessi calcoli, ma i risultati non erano quelli. I conti
non tornavano ». Per vederci chiaro lui si rivolse agli stessi autori. Che
reagirono con grande fair-play e trasparenza.
Forse sottovalutando il pericolo? Di certo non snobbarono il giovane dottorando
di una università meno prestigiosa.
«Su mia richiesta — racconta lui — mi hanno messo a disposizione tutte le loro
fonti originarie da cui avevano attinto i dati sulla crescita. Mi hanno dato
accesso anche alle varie versioni dei loro calcoli». Mal gliene incolse. Perché
il preciso e scrupoloso Herndon scoprì l’errore. Anzi due categorie di errori,
grossolani e dalle conseguenze disastrose. La coppia di grandi economisti aveva
banalmente commesso una svista di “allineamento” nelle colonne delle cifre da
addizionare usando il software Excel della Microsoft. Sicché alcuni calcoli
erano sbagliati. In più — questo forse è lo sbaglio più imperdonabile —
Reinhart-Rogoff avevano omesso di includere tra le nazioni esaminate ben tre
casi (Canada, Australia, Nuova Zelanda) in cui la crescita economica non è stata
affatto penalizzata da un elevato debito pubblico.
La rivelazione di Herndon ha avuto un impatto enorme. I due imputati,
Reinhart-Rogoff, hanno dovuto ammettere l’errore. Lo hanno fatto con una
imbarazzata column sul New York Times, cercando al tempo stesso di prendere le
distanze dalle politiche di austerity applicate usando la loro ricerca. E come
rivela il Wall Street Journal, «all’ultima riunione del G20 è stato depennato
dal comunicato finale ogni riferimento al rapporto debito/Pil, per effetto di
questa scoperta».
L’anchorman satirico Stephen Colbert conclude: «E ora chi glielo dice agli
europei? Sono così contenti dell’austerity, che ogni tanto per festeggiarla
scendono in piazza e accendono dei fuochi…». La lezione di umiltà vale anche per
gli avversari del rigore. I grandi nomi del pensiero neokeynesiano, da Krugman a
Joseph Stiglitz, non avevano mai accettato il dogma di Reinhart-Rogoff. Ma le
loro contestazioni volavano alto, troppo alto. Nessuno si era imbarcato nella
fatica di fare il lavoro “operaio” del 28enne Herndon: prendersi tutti i numeri,
uno per uno, e rifare le addizioni.