Un messia armato o nonviolento?
Un «nuovo tassello» alla comprensione di Gesù

Claudia Fanti

ADISTA n° 29 del 31 agosto 2013

 

DOC-2547. BOLSENA(VT)-ADISTA. Il titolo è di quelli destinati a seminare sconcerto: Il Messia armato: Yešū’ bar Yōseph (Gesù, il figlio di Giuseppe), con l’immagine in copertina del Cristo guerrigliero di Alfredo Rostgaard. Ma il libro di Pier Francesco Zarcone, edito da Massari Editore (2013, pp. 285, euro 18, e-mail: erre.emme@enjoy), piccola casa editrice con sede a Bolsena (a cui si deve, tra l’altro, la pubblicazione di libri di grande rilevanza come quelli di Roger Lenaers e di John Shelby Spong) è, come evidenzia don Ferdinando Sudati nella Prefazione, tutt’altro che una provocazione gratuita, e non solo per la grande mole di informazioni e di aggiornamenti che offre su Gesù e sul cristianesimo. Se un cattolico, posto dinanzi alla scelta tra due icone di Gesù, quella del guerrigliero di Rostgaard, con l’aureola e il fucile in spalla, e quella del sacro cuore, opterebbe sicuramente per questa seconda (magari, sottolinea Sudati, sentendo perfino «ripugnanza per l’altra»), l’immagine del sacro cuore di Gesù, «per quanto a noi più familiare e carica di buoni sentimenti, forse non è meno fuorviante di quella del Gesù con moschetto ad armacollo. Prese in se stesse sono entrambe false o, se vogliamo, tutte e due vere a patto che si integrino». E se ha ragione l’autore (cristiano ortodosso, dottore in Diritto Canonico e storico del movimento operaio di provenienza anarchica) ad affermare che «l’icona più adeguata» di Gesù «non è stata ancora dipinta», la ricerca di Zarcone aggiunge comunque un nuovo tassello, e senza «scopi sensazionalistici», alla comprensione del messaggio di Gesù, aiutando, scrive ancora Sudati, a «capire meglio certi suoi discorsi e cosa può aver determinato, a torto o a ragione, la sua condanna capitale». Una ricerca, appunto, il cui asse portante è dato dall’ipotesi di un Gesù non totalmente estraneo alle armi, «quantomeno - spiega Sudati - nel senso che non ha obbligato qualcuno dei suoi seguaci, che le portava alla cintola o sotto il mantello, a disfarsene».

E che il gruppo che circondava Gesù non fosse pienamente pacifista pare confermarlo esplicitamente lo stesso Vangelo di Marco, laddove racconta che «uno di quelli che erano con Gesù impugnò la spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote, staccandogli un orecchio» (26,51). Né può esistere l’assoluta certezza che abbiano appena un carattere metaforico le parole di Gesù: «Ma ora (…) chi non ha spada venda il mantello e ne compri una» (Lc 22,36). Per Zarcone, insomma, il mito di un Gesù pacifico e nonviolento, «pressoché indiscutibile e indiscusso negli ambienti cristiani», non regge ad un’attenta lettura dei Vangeli, come stanno anche a indicare gli elementi di vicinanza agli zeloti che è dato cogliere, al di là della differenza politica costituita dal «raggiungimento dello stesso scopo mediante l’azione contro obiettivi immediati diversi» («per gli zeloti si trattava innanzitutto dei romani e per Gesù innanzitutto dell’aristocrazia sacerdotale collaborazionista che opprimeva Israele») e dalla diversa tattica seguita: «specificamente militare quella praticata dagli zeloti, propagandistica ed educativa quella di Gesù e dei suoi», anche se «la tattica zelota non risulta sia stata mai condannata da Gesù».

Di seguito, alcuni stralci della sezione su “Vita pubblica di Gesù ed elementi della sua predicazione riformatrice e sovversiva”, tratta dal capitolo 5 “Il Rabbi sovversivo”.