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#maipiùclandestine, parte la campagna in difesa dell’aborto

Ingrid Colanicchia
 

www.micromega.net febbraio 2014

Con il fronte degli obiettori di coscienza che continua a crescere, nel nostro Paese si fa sempre più concreta la possibilità di un ritorno all’aborto clandestino. Per questo sabato primo marzo, a Roma, alle 15 a piazza del Popolo, partirà la campagna #maipiùclandestine.

In una vignetta di qualche anno fa lo spagnolo Manel Fontdevila metteva in bocca a un cardinale i seguenti pensieri: «Non possiamo fare l’amore, né mettere incinta una donna, non sappiamo niente di loro, né della maternità, e ancora meno sappiamo cosa significhi crescere un figlio… per questo pretendiamo di essere ascoltati sul tema dell’aborto! Perché non c’è opinione più neutrale della nostra!».

Al di là della boutade, il ritornello ci suona fin troppo familiare. Non è necessario allungare lo sguardo fino alla Spagna, dove il governo di centrodestra ha da poco approvato una riforma che, se riceverà l’avallo del Parlamento, autorizzerà l’aborto solo nel caso in cui la gravidanza comporti un pericolo «serio e prolungato» per la salute fisica e psichica della donna (entro le prime 22 settimane), o nel caso in cui sia frutto di uno stupro (entro 12 settimane e previa denuncia dell’aggressione). Basta guardare a casa nostra dove gli attacchi, più o meno subdoli, all’autodeterminazione delle donne sono all’ordine del giorno.

Prima del 1978, anno in cui è entrata in vigore la legge 194 che disciplina l’interruzione volontaria di gravidanza, la parola aborto richiamava alla mente infusi di prezzemolo, ferri da calza, spilloni, cucchiaini, stampelle: tutto l’armamentario con cui le mammane praticavano aborti clandestini. Oggi non richiama più alla mente quegli scenari: ciononostante quando una donna nel nostro Paese decide di abortire si trova di fronte un percorso ad ostacoli quando va bene, una vera e propria via crucis quando va male.

Tra l’ostruzionismo alla pillola RU486 – e perfino alla “pillola del giorno dopo” – e l’obiezione di coscienza alla 194, l’aborto rischia di diventare un terno al lotto. Nel nostro Paese ben 7 ginecologi su 10 fanno obiezione di coscienza. Una cifra che, secondo l’ultima Relazione del Ministero della Salute (settembre 2013), in alcune regioni sale ulteriormente: in Campania obietta l’88,4%, in Molise l’87,9%, in Basilicata l’85,2%, in Sicilia l’84,6%, in Abruzzo l’83,8%, nel Lazio l’80,7%.

Ci sono tutti gli estremi per temere il ritorno all’aborto clandestino. Per questo alcune donne provenienti da varie realtà, da anni impegnate a contrastare chi tenta di svuotare dall’interno questa legge, hanno deciso di lanciare la campagna #maipiùclandestine (maipiuclandestine.noblogs.org). Obiettivo: costruire una rete in tutto il territorio nazionale che tenga alta l’attenzione sul diritto alla salute delle donne e sulla libertà di scelta.

Nel Lazio è già partita una petizione online indirizzata al presidente della Regione Nicola Zingaretti, affinché «tutti i presidi ospedalieri pubblici e convenzionati garantiscano l’accesso all’Interruzione volontaria di gravidanza e dispongano di un numero adeguato di ginecologi, anestesisti e personale non medico non obiettori».

Ma il lancio ufficiale della campagna è per sabato primo marzo, quando a Roma, in piazza del Popolo, dalle ore 15 in poi, #maipiùclandestine metterà in scena questa via crucis, per dire no alla repressione agita sui nostri corpi, per gridare allo scandalo di un Paese che vuole spingere le donne verso la clandestinità, per dire alle donne che il diritto all’aborto è diritto alla salute. E ci riguarda tutte.