“Rompe gli schemi e sa dare speranza ecco perché è giusto sostenerlo”
di Luigi Ciotti
“la Repubblica” del 3 gennaio 2015
Ho aderito all’appello a sostegno di Papa Francesco perché, al di là di certe espressioni un po’ forti, ne condivido la sostanza e il contenuto. Le parole del Papa, da cui derivano gesti e scelte conseguenti, suscitano in tanti, anche non credenti, la speranza di una Chiesa profondamente e umilmente evangelica, al servizio del bene comune, lontana dalle tentazioni del lusso e del potere, attenta alla dottrina ma prima ancora ad accogliere i bisogni e le fragilità delle persone. È evidente che questo possa creare sconcerto e allarme in ambiti abituati a un magistero della Chiesa meno diretto, più prudente ma anche, a volte, più reticente sulla necessità per il cristiano di saldare il cielo e la terra, dimensione spirituale e impegno sociale e civile. Compito al quale il Papa non smette di richiamare: «Non si può più affermare — ha scritto nella Evangelii Gaudium — che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo». E poco più avanti: «Una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo».
Questo modo di vivere la fede può dare fastidio perché rompe gli schemi, rifugge i formalismi, denuncia i compromessi. Ma soprattutto perché è un modo di vivere la fede inseparabile da un’etica, cioè da un’assunzione coerente e concreta dei principi del Vangelo in ogni istante della nostra vita.
Questo è quello che fanno molti preti e realtà la cui firma compare in calce all’appello, e questo è quello che, con molti limiti, cerco di fare anch’io. Ed è in nome di questo impegno che abbiamo voluto esprimere il nostro affettuoso, convinto sostegno a un Papa che, con molta determinazione — e forse, a volte, senza il sostegno adeguato — sta ridando alla Chiesa quell’autorevolezza che viene innanzitutto da una completa purificazione dal potere e da una piena consonanza con la Parola di Dio.
Detto questo, fa bene Vittorio Messori nel suo articolo a chiedersi quanto sia sincero il vasto interesse suscitato dal Papa. Ma il primo a chiederselo, immagino, sia il Papa stesso. Lui infatti è il primo a richiamarci alla responsabilità contro la subdola tentazione della delega. Guai se pensassimo che un’unica persona, per quanto eccezionale, possa porre rimedio con le sue sole forze alle violenze, alle ingiustizie e alle disuguaglianze di questo mondo.
È un compito, questo, assegnato a ciascuno di noi. Il Papa non permetterà che il consenso suscitato dai suoi gesti e scelte resti un fatto emotivo o, peggio, ipocrita, senza tradursi in un impegno e una responsabilità collettivi nella costruzione del bene comune.