Due debolezze politiche e il peso degli estremismi
di Moni Ovadia
“l'Unità” del 11 luglio 2014
Il copione dell’ennesimo «conflitto» fra Hamas e il governo israeliano sembra volersi ripetere con le stesse ineludibili modalità e, in uno dei suoi aspetti, il più sinistro, lo fa già: l’atroce contabilità delle vittime. La colonna dell’attivo è popolata quasi esclusivamente dai civili inermi palestinesi. Già il bilancio delle primissime ore del conflitto lo prova inesorabilmente. Le fonti ufficiali israeliane di fronte allo scontro si esprimono con lo stesso linguaggio di sempre: «dalla Striscia di Gaza i terroristi di Hamas fanno piovere sul sud di Israele una pioggia di missili - di crescente gittata rispetto ai precedenti – noi difendiamo la nostra popolazione». Gli effetti collaterali? Colpa dei terroristi che usano i civili come «scudi umani». Traduciamo l’espressione «scudo umano» dal linguaggio militar-burocratico in quello del senso comune: qualsiasi donna, bimbo o vecchio che si trovi nei dintorni di un obiettivo deciso da Tsahal (l’esercito di Israele).
Comunque il meccanismo della morte si reitera come negli episodi precedenti perché immutata resta la soverchia sproporzione fra le forze in campo: i missili di Hamas su Israele, ancorché più efficienti, fanno scarsi danni materiali e grazie a Dio non provocano vittime fra i civili, se non fosse così non osiamo pensare quali sarebbero le conseguenze dell’escalation. Il quadro politico tuttavia è notevolmente cambiato rispetto al tempo dell’operazione «Piombo fuso», come con sguardo pressoché unanime osservano i migliori analisti dello scacchiere. In questo frangente si confrontano due debolezze politiche, quella di Hamas che ha avuto una decisa caduta di ruolo, anche a causa della perdita del sostegno da parte dei Fratelli Musulmani, per le note vicende e quella del governo Netanyahu che non sa fare altro che galleggiare nello status quo deteriorandolo, senza un solo straccio di idea se non quella di sopravvivere salmodiando la frusta litania sicuritaria.
In queste condizioni le agende di entrambi gli schieramenti sono condizionate dai reciproci estremisti. E tutto ciò in un contesto generale che, grazie alle guerre «umanitarie» degli Stati Uniti, sostenute dal miserabile spirito gregario degli europei, è esploso a frammentazione incendiaria vanificando ogni concreto progetto politico. Le guerre «umanitarie» tuttavia hanno indubitabilmente prodotto un cospicuo profitto: decine e decine di migliaia di morti civili innocenti, in particolare fra gli iracheni e gli afgani.
Ma soprattutto, i governi degli Usa - dal fallimento degli accordi di Oslo in avanti - hanno esercitato con effetti pratici e simbolici micidiali, un falso ruolo di mediatore fra israeliani e palestinesi con lo scopo di inscenare una sequela di finte trattative di pace. Ve le ricordate le Wye Plantation, le road map, vi ricordate i cocktail party di Rafah, di Eretz? Solo fumo da buttare negli occhi della asfittica e compiacente opinione pubblica e della grande stampa mainstream, nonché in quelli dei rappresentanti e dei funzionari della presunta legalità internazionale allo scopo di alleviare il complesso di colpa per avere consentito un’occupazione illegale perdurante da decenni e gravata dalla ingiustificabile colonizzazione di terre altrui da parte dell’occupante. Le amministrazioni statunitensi portano il peso di una gravissima colpa quella di essersi fatte passare, da oltre vent’anni, per mediatore quando sono stati sempre e solo parte in causa, totalmente appiattita sui desiderata del governo israeliano di turno. Questa menzogna è stata indirettamente una gravissima offesa ad un grande israeliano, Itzkhak Rabin, che per avere cercato di concludere una pace possibile ha sacrificato la propria vita per mano di un estremista del suo stesso Paese.
Ma gli attori che sono stati complici di questa truffa delle finte trattative sono stati molti, fra questi brillano per squallore la Comunità Europea e l’Onu. L’onestà intellettuale impone, per ragioni di decenza, che si smetta di dare credito alle invereconde messe in scena che hanno come unico scopo il mantenimento di una condizione di iniquità che irradia in tutte le relazioni israelo-palestinesi, non solo quelle politiche, ma anche quelle culturali, quelle legali e in generale quelle esistenziali.
Questo stato di cose ha impedito anche l’emergere di figure autorevoli nel campo palestinese. Oggi l’unica figura credibile è probabilmente Morwan Barghouti, ma è condannato ad interminabili pene detentive in un carcere israeliano. La destra capeggiata da Nethanyahu non riesce neppure a concepire un vero interlocutore, figuriamoci se saprebbe liberare un «nemico» per trattare con lui sul serio.