ilsimplicissimus2.wordpress.com - gennaio 2014
Confortare e benedire gli ammalati dovrebbe essere un’attività gratuita, un basilare ed essenziale segno di carità cristiana e di amore verso il prossimo. Ma a dispetto di San Tommaso e di Anselmo d’Aosta pare che per le gerarchie cattoliche dio sia soprattutto il sommo contabile. Così la Chiesa esige fior di quattrini pubblici per gli “assistenti religiosi”, ovvero per i sacerdoti che svolgono il loro servizio negli ospedali e nelle cliniche, ad onta del fatto che questa attività dovrebbe essere una scontata pratica religiosa di base. Però la Curia di Bologna, come ha scoperto l’Uaar (Unione degli atei e degli agnostici razionalisti), chiede 30 mila euro l’anno per ognuno dei 9 assistenti religiosi che operano negli ospedali Maggiore e Bellaria, una spesa annua di 270mila euro per la Regione. Per non contare i 26mila euro passati ai sacerdoti che invece sono di stanza al Sant’Orsola, quelli che operano in altri ospedali più tutte le spese di vitto alloggio, allestimento di cappelle, servizi religiosi e quant’altro. Tutte cifre che poi inevitabilmente si scaricano sui ticket, mentre l’assistenza religiosa dovrebbe essere pagata dal famoso otto per mille come pelosamente fanno intendere gli spot vaticani.
Mettendole assieme si tratta di cifre notevolissime, anche se per ovvie ragioni è molto difficile scavare dentro i meandri di queste “beneficenze” profumatamente sovvenzionate per cercare di assicurarsi il voto cattolico: è una giungla di spese che spesso vengono nascoste nelle pieghe dei bilanci o divise tra le diverse Asl perché sia improbo andare a scovare dentro questo verminaio. Dunque è difficile fare un conto preciso, anche se si può dare l’idea di una entità generale.
Intanto ci sono nove regioni, Veneto, Puglia, Sardegna, Toscana, Provincia autonoma di Trento, Lazio, Umbria, Sicilia, Lombardia che hanno sottoscritto con le Conferenze episcopali regionali schemi di intesa per l’assistenza religiosa negli ospedali pubblici, alle quali vanno aggiunte le infinite convenzioni con i comuni, le Usl e gli ospedali. Un mare di soldi spesso sottratti all’assistenza tanto che in Veneto nel 2009 – ma è solo un esempio – sono stati assunti a tempo indeterminato e con inquadramento nel profilo “D” (infermieri professionali laureati) 96 “assistenti spirituali” per una spesa stimata di circa due milioni di euro, quando nella stessa Regione c’erano 500 medici a spasso e mancavano quasi 2mila infermieri.
Alcune persone di buona volontà e soprattutto il compianto Marco Accorti hanno cercato di fare luce in questo pozzo senza fondo. Ma solo per tre Regioni è stato possibile restituire un quadro vicino alla realtà: Emilia, Veneto e Toscana, spendono ogni anno quasi sette milioni di euro per la sola assistenza religiosa negli ospedali, senza annessi e connessi. Una stima nazionale porta dunque la cifra attorno ai 50 milioni di euro per vedere una tonaca aggirarsi nelle corsie d’ospedale, spesso con evidente malavoglia ed essendo remunerato per questa sublime opera quanto un infermiere professionale. Senza dire che grazie al malinteso servizio di sussidiarietà (altra fonte di equivoci e di sostentamento di attività legate alla Chiesa che costano tre volte di più che se fossero gestire direttamente dal pubblico) Regioni e Comuni finiscono spesso per stipendiare l’assistenza religiosa anche nelle cliniche private. Per non parlare poi delle pensioni di cui possono godere gli assistenti religiosi.
Certo è paradossale che in un Paese nel quale da anni si discute accanitamente di contributo pubblico ai partiti, poi non ci si accorga di spese altrettanto ingenti affrontate proprio per nulla, per sovvenzionare ciò che dovrebbe essere il minimo sindacale e gratuito di una Chiesa che ogni anno e sotto varie forme scuce allo Stato la bellezza di sei miliardi e mezzo. Quindi facciamoci benedire, tanto lo abbiamo già pagato