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Riportando Dio sulla Terra. La sfida del divorzio tra fede e modernità
Adista Documenti n° 13 del 5/4/2014

DOC-2608. BERGAMO-ADISTA. Nell’ambito della riflessione teologica sulla trasformazione del fenomeno religioso - in riferimento, soprattutto, alla necessità di un radicale rinnovamento del cristianesimo - il gesuita belga Roger Lenaers, 89 anni, è sicuramente una figura chiave: i suoi libri Il sogno di Nabucodonosor o la fine di una Chiesa medievale (v. Adista nn. 44 e 93/09) e Benché Dio non stia nell’alto dei cieli (v. Adista Documenti n. 26/12), entrambi pubblicati da Massari editore, sono vere pietre miliari nel cammino verso una riformulazione della fede in un linguaggio in cui l’uomo e la donna contemporanei possano riconoscersi. Se infatti, è la tesi del teologo belga, il cristianesimo vorrà continuare a parlare al mondo postmoderno, salvandosi così da un’altrimenti sicura irrilevanza, lo dovrà fare sulla base di idee e parole radicalmente nuove, prendendo atto che quel «Dio nell’alto dei cieli» non c’è più, ma che la sua scomparsa, quella, cioè, di un potere esterno al mondo che lo domina e lo determina sovranamente, nulla compromette della vera sostanza del messaggio originario della fede cristiana, perché Gesù di Nazareth rimane comunque, scriveva Lenaers, «la suprema autorivelazione del mistero che chiamiamo “Dio”», inteso come «un Amore che genera tutto, che si esprime sotto forma di cosmo e si rivela in modo sempre più chiaro nel corso dell’evoluzione cosmica».

Invitato dalla Fondazione Serughetti-La Porta a tenere a Bergamo, lo scorso gennaio, un seminario e una conferenza proprio sul tema “Benché Dio non stia nell’alto dei cieli”, Lenaers ha nell’occasione risposto ad alcune nostre domande. Di seguito l’intervista. (claudia fanti)

GUARDARE LA LUNA, NON IL DITO

di Intervista a Roger Lenaers

Nella sua opera lei ha evidenziato come il messaggio cristiano sia diventato una lingua per iniziati accessibile solo a un numero sempre più ridotto di persone, dedicandosi di conseguenza all’impresa di tradurlo in un linguaggio in cui l'uomo e la donna di oggi possano riconoscersi, attraverso una coraggiosa revisione di tutti i temi della dottrina tradizionale alla luce del pensiero moderno. In che misura il nuovo clima ecclesiale generato da papa Francesco può favorire tale compito?

Ho l’impressione che il recente cambiamento del clima ecclesiale non possa che avere un effetto molto ridotto. Per quanto le persone possano sentirsi maggiormente spinte a non lasciare la Chiesa, come invece hanno fatto finora ritenendola retrograda e fuori dal tempo, questo nuovo clima non affronta comunque la contraddizione essenziale tra la Chiesa e la modernità, che è quella tra una concezione eteronoma della realtà e una concezione autonoma. Considerando che è qui che si trova la causa fondamentale del divorzio fra fede e modernità, neanche il nuovo stile papale, non arrivando alla radice del problema, potrà fermare la corrente. Il fatto che in Austria, nel 2013, il numero di abbandoni dalla Chiesa sia andato ancora aumentando rispetto all’anno precedente dimostra che l’“effetto Francesco”, su cui in molti contavano, non si è prodotto. Inoltre, le idee teologiche di papa Francesco sono purtroppo ancora in gran parte eteronome.


Quali sono a suo avviso i principali ostacoli che impediscono di abbandonare il quadro concettuale eteronomo (premoderno, soprannaturale) - secondo cui il nostro mondo sarebbe completamente dipendente dall'altro mondo e dalle sue prescrizioni - per abbracciare una prospettiva “moderna” o intramondana? Chi e cosa, invece, può contribuire maggiormente all’adozione di una prospettiva che escluda la possibilità che un potere esterno al mondo intervenga nei processi cosmici, in quanto esiste solo un mondo, il nostro, che è un mondo santo, in quanto autorivelazione di quella Realtà originaria che intendiamo con la parola Dio?

La difficoltà principale è data dal fatto che, di fronte a fenomeni naturali angoscianti e inspiegabili, la certezza - in realtà l’illusione - della realtà di un altro mondo ha preso possesso dell’inconscio umano fin dall'inizio della storia dell'umanità, mentre l’apparizione della ragione critica ha dovuto aspettare la nascita delle scienze moderne. Si tratta, pertanto, di una ragione ancora troppo giovane e debole per contrastare efficacemente questa profondissima impronta millenaria. Il nostro comportamento è guidato ancora molto più da quelle ragioni subconscie che dalle certezze razionali della modernità. Mi sembra che solo la spinta dell'evoluzione, che ha determinato nell’Illuminismo lo sbocciare della nuova visione, potrà gradualmente condurre l'umanità al superamento di quell’illusione. 

Questa visione nuova non deve affatto portare alla negazione di quella Trascendenza Ultima che chiamiamo “Dio”. E se storicamente è avvenuto, è soltanto perché la Trascendenza che veniva negata dall'Illuminismo non era che l'immagine ereditata di un Theos collocato nell'alto dei cieli, che in realtà non è altro che il dito che indica la luna, la vera Trascendenza, l'Amore Primordiale. Di questo Amore, che è lo Spirito assoluto, il cosmo, con il suo sforzo evolutivo, è l’espressione visibile, e non un qualcosa che questo Amore avrebbe prodotto all’esterno di sé. In questa prospettiva, dunque, non ci sono due mondi, ma uno soltanto e l'autonomia del cosmo e dell'essere umano rimane intatta. Anche noi possiamo contribuire al passaggio verso questa nuova visione, lasciando che essa sia fonte di ispirazione per la nostra vita e impegnandoci a diffonderla, unendoci ad altri cristiani che condividono con noi tale scelta per intraprendere azioni comuni.

Quali ricadute può avere questo nuovo paradigma riguardo alla sfida della difesa della vita sulla terra, oggi più che mai in pericolo, e dunque riguardo al passaggio altrettanto decisivo dall’attuale visione antropocentrica a una biocentrica e cosmocentrica?

Poiché in questa nuova visione l'Amore Primordiale si rivela come cosmo, tutto nel cosmo partecipa del suo valore supremo e merita il nostro rispetto e il nostro amore. Solo così possiamo andare oltre il mero antropocentrismo. Ma poiché l'evoluzione culmina nell'essere umano, se sorgono conflitti d’interesse, è l'umanità che deve prevalere. Possiamo per esempio nutrirci di tutto ciò che cresce, ma anche questo bisogna farlo con rispetto e gratitudine, e non senza necessità o vera utilità.


Nel suo libro Benché Dio non stia nell’alto dei cieli, lei individua sul piano etico, in conseguenza dell’abbandono dell’eteronomia a favore dell’autonomia, una “terza via” tra l’etica premoderna e l’etica, certo non priva di contraddizioni, dell’umanesimo moderno: un’etica, cioè, in grado di derivare i principi del comportamento umano non dal di fuori, da un’autorità infallibile, ma dall’essenza autentica dell’essere umano. Quali priorità indicherebbe in questo campo?

Per prima cosa dobbiamo liberarci, credo, da ogni paura di trasgredire divieti, perché questa paura significa che abbiamo ancora timore di un legislatore extramondano. Dobbiamo persino essere pronti ad agire contro la legge o il divieto, se ciò che facciamo sembra rispondere, più della legge, al bene dell’umanità. L'amore per questo bene è la norma decisiva dell'etica moderna credente, non le leggi, per quanto generalmente leggi e divieti siano il frutto dell'esperienza umana e riflettano la convinzione che, operando in conformità ad esse, si promuova al meglio il benessere di tutti. Precisamente a questo ci spinge l'amore ed è per tale motivo che, in generale, le leggi devono essere osservate. Ma se diviene chiaro che queste leggi sono state fatte per servire gli interessi del legislatore e non il benessere di tutti, l'obbligo di osservare la legge cessa. In ogni caso, la norma che noi cristiani dobbiamo applicare ci viene indicata dal modo di agire di Gesù, perché in Lui si manifesta più chiaramente ciò cui l'Amore Primordiale ci spinge.


Ritiene che abbia ancora un futuro la “religione” intesa come istituzione gerarchica sacra con il suo sistema di credi, riti e canoni? È possibile una teologia senza dogmi, leggi e dottrine, una teologia centrata sulla spiritualità, semplicemente umana?

Penso che, in una cultura come quella attuale, in cui la modernità è destinata ad affermarsi sempre di più, la religione sussisterà ancora per uno o due secoli, perché l’impronta religiosa millenaria nell'umanità non si lascerà cancellare tanto presto. Ma poiché i giovani, cresciuti e formatisi nella modernità, la abbandoneranno in numero sempre maggiore, la Chiesa si ridurrà a un raggruppamento di vecchi incapace di esercitare un vero impatto salvifico sulla cultura contemporanea. E il compito della Chiesa sarebbe invece proprio quello di generare energie salvifiche e di rinnovamento in un mondo smarrito. 

Ritengo però che una Chiesa senza le caratteristiche della religione sia possibile, se vive e mostra le caratteristiche di una comunità ispirata e condotta dalla fede in Gesù e, tramite Lui, dalla fede nell'Amore Primordiale, cioè Dio. Una tale comunità presuppone convinzioni e pratiche condivise, una comune volontà di seguire le strade tracciate da Gesù, un’autorità eletta dalla comunità, forme di preghiera personali ma anche rituali comuni, come pure la presenza della Bibbia, e del Nuovo Testamento in particolare, perché soltanto lì si può incontrare Gesù e il suo messaggio, e altro ancora. Niente di tutto questo è soprannaturale, inteso, cioè, come parte di una religione in senso tradizionale, ma neanche semplicemente umano, se per questo si intende l’assenza di un’apertura sulla Realtà trascendente.