Il benessere è quel che passa il convento
intervista a Maurizio Pallante a cura di Roberto Zanini
“Avvenire” del 22 gennaio 2014
«Ciò che compriamo sono le merci, ciò che ci serve sono i beni. La società consumistica è costruita in modo da farci ritenere che tutti i beni debbano essere acquistati e tutto ciò che si acquista è un bene». È uno dei ragionamenti alla base di un curioso quanto interessante piccolo libro di Maurizio Pallante ( Monasteri del terzo millennio, Lindau, pp. 169, euro 13), ex docente di Lettere ed ex preside, noto come fondatore del «Movimento per la decrescita felice ». La sua idea è che la società produce molto più di quello che serve, sostenendo lo spreco come elemento funzionale alla crescita, identificata nel Prodotto interno lordo. Mentre in realtà è possibile stare meglio producendo meno, senza intaccare l’evoluzione tecnologica, come sostenuto dal romeno Nicholas Georgescu-Roegen (1906-1994), teorizzatore della «bioeconomia» e dal britannico Richard Sennett, allievo di Hannah Arendt e docente alla London School of Economy; ma anche dall’italiano Claudio Napoleoni (1924- 1988). Simbolo di questo ideale, secondo Pallante, sono i monasteri, comunità religiose che si sostengono attraverso autoproduzione e condivisione.
L’autoproduzione può essere un obiettivo?
«Nessuna comunità, per quanto efficiente, può essere autonoma. Allo stesso tempo non può e non deve fare a meno delle tecnologie, che si possono produrre solo su grande scala. Anzi, le deve sfruttare per essere efficiente in settori come il risparmio energetico. Può però ridurre gli acquisti esterni attraverso un uso accorto dei beni e la corretta valutazione di cosa effettivamente è necessario acquistare. In questo modo il denaro torna ad avere il suo giusto valore».
Come si fa a definire ciò che è effettivamente un bene necessario, da comprare?
«Ciò che compriamo sono le merci, ciò che ci serve sono i beni. In questa società che mercifica tutto siamo abituati a comprare tutto e le persone vengono cresciute con l’idea che tutti i beni possono e devono essere comprati. Ognuno di noi vale per quanto consuma. Ed è meglio che non sappia fare niente, perché così deve comprare tutto. A cominciare da ciò che mangia: si va al supermercato, si comprano prodotti già pronti e li si infila nel microonde. Ciò che avanza non viene riutilizzato (bisogna saper cucinare) e ingrossa la quotidiana montagna d’immondizia...».
Come si fa a crescere le persone così?
«Con la logica per la quale a un certo punto sono stati ghettizzati coloro che facevano i contadini o i lavori manuali: 'Ti produci le cose da solo perché non hai i soldi per comprartele. Vieni in città, trovati un lavoro, anche se non ti piace e non ne comprendi l’utilità, così avrai i soldi per comprare...'. E gli uomini sono diventati schiavi del consumo. Lavorano per guadagnare e quando non lavorano consumano. Anche il tempo libero è concepito come consumo».
Bisogna tornare a farsi le cose da soli?
«Come spiega anche Richard Sennett nel libro L’uomo artigiano, fare le cose attraverso le mani e la propria abilità progettuale consente di crescere anche intellettualmente, perché le mani mandano al cervello informazioni molto più precise di quanto gli occhi siano in grado di trasmettere. Un elemento che la società occidentale ha praticamente cancellato. Ma, riducendo al minimo l’arte del saper fare, si eliminano pure le capacità collaborative e cooperative fra persone: le economie del dono e della reciprocità, che si reggono su scambi non mercantili».
Ma non tutto si può autoprodurre, tante cose occorre comprarle: come ottenere l’equilibrio?
«Georgescu-Roegen sosteneva la necessità di applicare all’economia il secondo principio delle termodinamica, quello dell’entropia. In sostanza l’obiettivo è rendere così efficienti produzione consumo da non aver bisogno di più energia di quanta ne venga rinnovata naturalmente. La società della crescita, invece, ha rotto questo equilibrio e se ne allontana sempre di più. Basti pensare che in Italia mediamente per riscaldare un metroquadro di casa c’è bisogno in un anno dell’equivalente di 20 litri di gasolio, ma le leggi attuali nelle province autonome di Trento e Bolzano vietano la costruzione di case che ne consumino più di 7 e le case più efficienti ne consumano anche meno di 2... La società consumistica ci fa comprare 13 litri di gasolio in più. Così come non ha senso mettere sul tetto di casa una capacità produttiva di energia solare pari a 20 quando – se rendo la casa più efficiente – bastano pannelli solari per produrre 5».
Ma la «decrescita felice» prevede anche un benessere spirituale.
«È l’ora et labora dei monasteri. Nei luoghi della decrescita felice la preghiera non è necessariamente 'istituzionale', ma è comunque 'naturale': come nella creazione Dio contempla la sua opera e vede che è cosa buona; così l’uomo che col suo lavoro produce cose di cui si serve, a fine giornata si può sedere a contemplarle convinto di aver contribuito all’opera creatrice. E lo dico in maniera del tutto laica... In questa logica anche il divertimento, così come questa società ce lo vuole imporre, perde di senso, perché la mia vita è piena in tutti i suoi aspetti, anche dal punto di vista spirituale e umano: io sto bene con le persone con le quali ogni giorno condivido l’utilità di ciò che faccio. Non ho bisogno di fuggire e di comprare divertimento, distrazione».
È solo teoria o ci sono realizzazioni concrete?
«Stiamo realizzando due comunità sperimentali in altrettante aziende agricole in provincia di Parma e nel Mugello. La nostra idea è che non siano isole, ma penisole, dove la gente può andare, vedere e imparare. Abbiamo anche un’'Università del saper fare' per reinsegnare come si fanno le cose di uso comune. Poi ci sono famiglie come la mia che cercano di mettere in pratica queste cose nel loro piccolo».