di Valerio Gigante
da www.micromega.net - 28/5/2014
Un libro che, come l’altro che l’aveva preceduto a firma degli
stessi autori, si pone l’obiettivo di condurre un’indagine rigorosa e
scientifica su Gesù, cercando di sfrondare dall’uomo e dalla sua avventura
terrena il mito che successivamente gli è stato costruito attorno. Ma oltre a
questo, la Morte
di Gesù (Mondadori
2014, 356 pp., 15,30 euro), testo scritto a quattro mani dallo storico e
biblista Mauro Pesce e dall'antropologa Adriana Destro, tenta anche di
individuare i destinatari della predicazione di Gesù, di ricostruire il clima
culturale che ne segnò il successo e di capire cosa, nei comportamenti di
quest’uomo proveniente dalla Galilea, abbia tanto acceso gli entusiasmi di folle
sempre più consistenti di seguaci ma anche la paura, il risentimento e l’odio di
molti altri.
Punto di partenza
dell'indagine sono – certo – i testi dei vangeli canonici, ma anche gli
“apocrifi”, che già a partire dal II sec. d. C. la Chiesa ha progressivamente
rifiutato come divinamente ispirati. Questi ultimi costituiscono una miniera
preziosa di informazioni utili a mettere a fuoco, attraverso le lenti
dell'antropologia e della storia sociale, una serie di dati che hanno trovato
più di una conferma in altri testi e che colmano alcune lacune presenti nei
canonici riguardanti la vita di Gesù, gli ambienti che frequentava, gli
interlocutori ai quali si rivolgeva. Separare Gesù da Cristo è – in questi tempi
caratterizzati da un forte ritorno di interesse per la ricerca gesuana ma anche
da un forte afflato teologizzante e spiritualizzante (oltre che da un indubbio
fine politico-religioso, basti pensare ad esempio al Gesù raccontato da
Ratzinger) – missione particolarmente complessa. Ma che può riuscire a riportare
pienamente (e laicamente) quest'importantissima figura storica nell'ambito del
dibattito intellettuale odierno, al fine di stabilire, come scrivono Pesce e
Destro nella loro introduzione, “un contatto tra la sua vicenda e la nostra
cultura, che dal cristianesimo è costantemente modellata”.
Su alcune delle tante questioni che il libro solleva abbiamo posto alcune
domande agli autori.
Assieme avevate già scritto L’uomo
Gesù. Giorni, luoghi, incontri di una vita.
La particolarità di quel volume consisteva nell’affiancare ai metodi consolidati
– ma tuttora contestati dalla teologia ufficiale – della critica storica, quelli
della moderna analisi antropologica. Cosa aggiunge questo nuovo volume a quella
riflessione sulla vita del Gesù storico?
Non ci scostiamo certamente da quei metodi perché nell’approccio antropologico,
unito a quello storico, la nostra riflessione non è mutata. Abbiamo però
approfondito molti aspetti ben consapevoli delle difficoltà di arrivare con
certezza alla figura storica di Gesù. Nel nuovo libro non parliamo di come si
svolgeva la sua vita, ma della morte come inizio di una spiegazione e di una
rilettura di tutta la sua vicenda.
Riteniamo che, nel caso di Gesù, tutto cominciò dalla sua fine. La nostra
riflessione parte dalla convinzione che la sua uccisione sia il punto di
partenza sia per coloro che ebbero l’esperienza di un contatto diretto con lui,
sia per coloro che in seguito in lui credettero.
La domanda fondamentale del libro La
morte di Gesù è:
“Cosa capitò ai seguaci quando Gesù venne ucciso all’improvviso?”. E ancora:
Essi si aspettavano questa morte? Furono colti da paura? Come nacquero le loro
nuove aspettative? Per rispondere a questi interrogativi abbiamo indagato sulla
morte di grandi personalità del mondo antico o più prossime a noi. Abbiamo visto
che i loro seguaci erano sempre obbligati a ripensare tutta l’attività e il
messaggio del leader morto per continuare a esistere come gruppo che si rivolge
alla società.
Abbiamo perciò cominciato ad analizzare i vangeli e altri documenti lasciati dai
seguaci di Gesù nei primi due secoli, e ci siamo resi conto che coloro che gli
erano sopravvissuti (e anche le generazioni successive) avevano riletto e
re-interpretato la vita di Gesù alla luce della sua fine violenta, con l’intento
di legittimarlo e di difendere i gruppi di persone che credevano in lui.
Un’altra novità di questo libro sta nell’attenzione spiccatissima ai testi e
alla loro varietà. Molto più che in passato abbiamo cercato di vedere ciò che è
attendibile storicamente nei racconti che ci sono pervenuti e anche comprendere
le ragioni delle loro notevoli differenze.
Riteniamo che la diversità dei testi sia di grande aiuto nella ricostruzione del
Gesù storico: permette di dare rilievo a molti punti di vista su quello che
accadde. Resta il fatto che esistono contraddizioni fra i testi che sono
spiegabili in termini di conoscenze parziali, differenze dei luoghi di
reperimento delle notizie, diversità di ambienti dei destinatari, distanze
fisiche. Gli evangelisti non hanno conosciuto Gesù non si conoscevano fra loro e
avevano strategie espositive differenziate.
Di fronte alla divergenza e pluralità delle testimonianze, abbiamo cercato di
elaborare un’analisi critica delle fonti, che possiamo definire “metodo di
rinvenimento delle tracce storiche involontarie”. Anche questo è un aspetto
sostanzialmente nuovo del libro.
Tutti i grandi momenti di
riforma della Chiesa si sono espressi nella forma di un ritorno a Gesù, come
anche voi in più occasioni avete ricordato. Da diversi anni c'è un forte
interesse, che le case editrici rispecchiano nei loro cataloghi, verso la figura
storica di Gesù. Resta però il tema, che voi più volte avete toccato in questi
anni, di un approccio storico ai vangeli che la teologia cattolica, dopo la
breve stagione post conciliare, tende a mettere in secondo piano rispetto ad una
lettura spiritualizzante, che tende a rendere coerenti ed armonici tra loro
anche passi che non lo sono...
Ha ragione: esiste una ricerca accanita in campo internazionale che non si
arresta e anche in Italia la ricerca sul Gesù storico è ricominciata dopo il
2006. Ed è vero che in Italia la gerarchia ecclesiastica tende ad opporvisi.
In realtà, già i Vangeli, le lettere di Paolo e gli Atti degli apostoli iniziano
a trasformare il senso degli eventi cercando di mostrare che la morte di Gesù si
era svolta secondo un piano voluto da Dio e già in qualche modo depositato nelle
Sacre scritture giudaiche. È quella che con una parola astrusa possiamo chiamare
“scritturalizzazione” degli eventi. Ma una lettura attenta dei testi mostra che
essi, nell’intento di darsi ragione della morte di Gesù, pervengono a
interpretazioni divergenti.
La presa d’atto della trasformazione e delle diverse interpretazioni avvenute
già alle origini pone inevitabilmente una serie di domande importanti alle
teologie di oggi. Un confronto è inevitabile. Rifugiarsi in una lettura dei
vangeli puramente spirituale che cerchi di mettere d’accordo e armonizzare le
diverse interpretazioni non risolve il problema, perché cerca solo di evitarlo o
procrastinarlo.
Lo avete scritto nella
vostra introduzione: gli anacronismi, la conoscenza imprecisa dei tempi e dei
luoghi degli eventi narrati sono tutti fatti innegabili e rendono difficile
ricostruire in modo attendibile la vicenda di Gesù. Nonostante ciò, pensate lo
stesso sia possibile un'indagine rigorosa sul Gesù storico? In che termini?
Noi pensiamo sia possibile. Non abbiamo un atteggiamento scettico pregiudiziale.
Dai testi emergono, in alcuni casi, elementi che danno fondatezza a quanto è
raccontato. In altri casi, invece ci sono tracce evidenti che smentiscono il
racconto. Queste tracce sono di grande importanza perché permettono approcci
conoscitivi difficili, ma non secondari, di quello che realmente accadde. Tutto
il nostro libro è una disamina accurata di molte di queste tracce, secondo le
prospettive metodologiche a cui abbiamo fatto cenno. Ne emerge un’immagine
spesso inconsueta dell’azione di Gesù e delle reazioni che provocava, ma anche
del modo con cui fu catturato, ucciso e sepolto. Ci fu veramente un processo a
Gesù di fronte al sinedrio ebraico? Quali furono le accuse che gli vennero
rivolte? I seguaci di Gesù seppero davvero dove era stato sepolto? A seppellire
Gesù furono le autorità giudaiche o Giuseppe di Arimatea?
Alcuni apologeti si rendono conto che non possono ostacolare le ricerche
storiche, sociologiche e antropologiche e allora cercano di screditarle dicendo
che non sono attendibili perché arrivano a risultati divergenti e
contraddittori. In realtà gli stessi vangeli ci offrono una pluralità originaria
di differenti letture della figura di Gesù.
Ovviamente siamo ben consapevoli che le conoscenze umane sono sempre parziali e
anche le indagini su Gesù non possono non esserlo.
Nella cerchia dei seguaci di
Gesù c’erano diverse donne, scrivete nel vostro libro. Aggiungendo che tutte
avevano un ruolo rilevante, e non solo per l’aiuto materiale che potevano
fornire. Partecipavano quindi integralmente al movimento gesuano. Per la
teologia femminista è impensabile che non fossero presenti anche all'"ultima
cena". La teologia ufficiale lo nega, anche perché la presenza di donne nella
cerchia ristretta dei discepoli di Gesù, e durante l'ultima cena in particolare,
costringerebbe a rivedere questioni rilevanti, come il sacerdozio femminile. E
anche nei Vangeli il ruolo delle donne appare non di rado occultato o
minimizzato.
Questa domanda ci permette di sottolineare che il problema del ruolo delle donne
nel movimento di Gesù è delicato e fondamentale. Noi, in questo nuovo libro, lo
abbiamo affrontato certo in relazione soprattutto a singoli fatti, connessi alla
morte di Gesù, al suo seppellimento e alla diffusione delle notizie sulla sua
fine.
È molto verosimile che le seguaci fossero presenti all’ultima cena. Ma
l’importanza della loro funzione nel movimento di Gesù, e anche nei decenni
successivi, dipende da molte condizioni. Noi mettiamo in luce alcune circostanze
che danno uno sfondo importante all’esistenza delle seguaci femminili e di tutte
le donne. Gesù, ad esempio, si opponeva al diritto maschile di ripudiare le
mogli. Questo suscitava forti opposizioni nel mondo circostante e dunque
comportava conseguenze di vasta portata. Il rifiuto del ripudio garantisce una
precisa collocazione delle donne e non può non aver avuto peso sull’intero
seguito di Gesù.
Per il nostro discorso, la presenza delle donne alla croce e/o al seppellimento
è sintomatica. Esse furono vere e proprie discepole di Gesù e le loro vicende ci
offrono la base necessaria per la ricostruzione di dati circostanziati su tutta
la storia del gruppo precedente la sua morte, e sulla ricostruzione della sua
tragica vicenda. Ci siamo convinti che la prima trasmissione delle notizie della
morte di Gesù non poteva non provenire da soggetti femminili. Il Vangelo di Luca
insiste molto su questi aspetti. E sostiene che un vasto gruppo di donne fu, per
lungo tempo, con Gesù sia in Galilea che a Gerusalemme.
Il ruolo così importante delle donne in Gesù e nel suo movimento verrà negato
poco alla volta nei decenni successivi alla morte di Gesù perché le chiese
verranno organizzate secondo i criteri dell’onore pubblico maschile. Il ruolo
della direzione patriarcale dei nuclei domestici prenderà il sopravvento
mettendo da parte le donne o confinandole entro ambiti tradizionali, inferiori,
come abbiamo mostrato altrove.
Quello della resurrezione è
un tema delicatissimo nell'esegesi dei vangeli. Nel libro fate riferimento a
un’interpretazione della morte di Gesù che non teneva conto della sua
risurrezione. E parlate della resurrezione come di una forma di riabilitazione
rispetto all’uccisione violenta di Gesù. Cosa intendete?
Il fatto su cui si riflette troppo poco è che ci può essere risurrezione solo se
c’è stata prima la morte. La risurrezione di Gesù acquista un valore rilevante
in quanto è preceduta da una morte violenta e umiliante. La risurrezione può
apparire la risposta o la soluzione che annulla il dramma, che colma il vuoto
creato dalla morte.
Nel libro, noi riteniamo di poterci soffermare sulla morte, inizio di tutto,
come il fatto reale, finale e ricostruibile di un’esistenza, senza doverci
appoggiare sull’evento strepitoso della risurrezione. È la morte di Gesù che
sconvolge i seguaci: essi non esultano affatto quando egli muore e non sembrano
sperare subito nella sua risurrezione. Si impauriscono e molti si disperdono
perché pensano che il progetto del loro leader sia stato perdente e che egli sia
stato annientato. È la morte che, fin dai primissimi momenti, obbliga i seguaci
a interrogarsi sul senso di tutta la vicenda di Gesù.
Gli autori dei testi protocristiani, dopo vari decenni, dedicarono molta
importanza ai racconti (scritti e orali) della morte di Gesù di cui erano
entrati in possesso. I loro scritti vollero mostrare che quella che era stata
considerata una sconfitta, in realtà era una vittoria. La risurrezione
dimostrava, ai loro occhi, che Dio aveva riabilitato colui che il potere
politico romano aveva ucciso. Ad essa peraltro accostarono straordinari fenomeni
cosmici (come il buio a mezzogiorno) per sottolineare proprio l’importanza, l’
enorme impatto, dell’orribile uccisione di Gesù.
Bisogna infine aggiungere che, per i primi seguaci, molto più
importante della resurrezione era la convinzione che Gesù sarebbe ritornato
presto, una seconda volta, per far iniziare il regno di Dio che aveva annunciato
(e in cui i seguaci continuavano a credere).