La morte di Gesù e il cristianesimo
intervista a Adriana Destro e Mauro Pesce a cura di Antonio Del Rio
“Confronti” del novembre 2014
Cosa succede nei seguaci di un grande leader quando egli viene ucciso all’improvviso? Questa domanda è alla base del saggio che l’antropologa Adriana Destro e lo storico e biblista Mauro Pesce hanno dedicato alla figura di Gesù, alla sua morte in particolare, e alle origini del cristianesimo.
Sia da soli – Adriana Destro con Antropologia e religioni (Brescia, Morcelliana, 2005) e Mauro Pesce con Le parole dimenticate di Gesù (Milano, Lorenzo Valla-Mondadori, 2004), Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo (con Corrado Augias, Milano, Mondadori, 2006), Da Gesù al Cristianesimo (Brescia, Morcelliana, 2011), L’esperienza religiosa di Paolo (Brescia, Morcelliana, 2012) – che insieme – con Antropologia delle origini cristiane (Roma-Bari, Laterza,
2008, 4a edizione), Come nasce una religione (Roma-Bari, Laterza, 2000), Forme culturali del cristianesimo nascente (Brescia, Morcelliana, 2008, 2a edizione), L’uomo Gesù. Giorni, luoghi, incontri di una vita (Milano, Mondadori 2008) – si erano già occupati di queste tematiche. Ma in questo caso, partendo dall’assunto che la morte del leader obbliga i suoi seguaci a ripensare tutta l'attività e il messaggio del leader morto, come pure a riassumerli per riproporli e continuare ad esistere come gruppo che si rivolge alla società, Adriana Destro e Mauro Pesce hanno ristudiato i vangeli e tutti gli altri documenti lasciati dai seguaci di Gesù dei primi due secoli per vedere come il messaggio e la vicenda di Gesù siano stati riletti e riformulati alla luce della sua morte violenta. Sono così arrivati a nuove e originali conclusioni su tutta la vicenda, con il conseguente successo
del libro anche tra i non addetti ai lavori. Persino in ambito ecclesiastico le reazioni critiche sono state caute, riconoscendo la serietà e il rigore delle analisi, mentre le poche critiche violente sono arrivate solo da lettori e rappresentanti isolati ed estremisti. Abbiamo perciò posto agli autori alcune domande sulle questioni che il libro solleva.
A che punto è la ricerca storica su Gesù di Nazareth?
Oggi è in atto una revisione sistematica delle teorie sulla formazione dei vangeli: quali erano le loro fonti, quali erano le relazioni tra le diverse informazioni che circolavano su Gesù nel I secolo e agli inizi del II secolo. Il carattere principale di questa ricerca è di considerare tutte le fonti disponibili e non solo quelle canoniche. Siamo ora in grado di valorizzare testi che erano trascurati e possiamo capire meglio il valore (e i limiti) dei vangeli canonici e delle lettere di Paolo. Di fronte a noi si apre un immenso scenario composto da molti gruppi di seguaci di Gesù – a volte in disaccordo fra loro – all’interno delle stessa città e sparsi nel mondo mediterraneo e nel vicino oriente antico. Una seconda caratteristica della nuova ricerca su Gesù sta nell’indagine, molto più estesa che in passato, sul contesto sociale e culturale a partire dalla vita quotidiana e dalle condizioni economico-sociali e lavorative. Le parole di Gesù acquistano così spessore e concretezza perché ci mostrano un personaggio in costante reazione verso le condizioni reali della vita sociale di allora. La massa cospicua di nuovi dati sta producendo un’immagine inedita di Gesù e del suo rapportarsi alla società in cui viveva. Infine, viene sempre più ribadita l'ebraicità di Gesù. Egli era totalmente immerso nel suo ambiente ebraico, si rivolgeva soltanto ad ebrei e sognava l’inizio del Regno di Dio e di Israele sul mondo. Nulla in lui è fuori dal mondo ebraico o contrario ad esso. La ricerca oggi cerca di comprendere a quale corrente del giudaismo di allora Gesù (e il suo maestro Giovanni il Battezzatore) si avvicinassero maggiormente. I suoi discepoli forse poi si legarono a gruppi giudaici diversi da quelli a cui Gesù era più vicino. Ben presto molti seguaci non furono più ebrei e qui comincia il distacco da Gesù: i non ebrei in parte non capivano l’ebraismo e in parte gli erano ostili.
Cosa aggiunge questo testo sugli studi sul Gesù storico?
Ciò che è nuovo è anzitutto l’idea che la morte di Gesù fu per i suoi seguaci un trauma talmente grave da provocare una revisione importante di quello che pensavano su Gesù e sul suo messaggio. Noi crediamo che la nuova prospettiva su Gesù nasca dal dramma della morte, più che dall’idea che egli fosse risuscitato. Gesù in realtà aspettava la salvezza dall’inizio del regno di Dio sulla terra.
Non cercava la propria morte. I suoi seguaci cominciarono invece a pensare che la sua morte fosse una necessità: era la sua morte che avrebbe portato salvezza. Una seconda novità sta nell’avere messo in luce che i vangeli avevano informazioni solo parziali su Gesù e che ciascuno di essi dipendeva da informatori che provenivano da zone diverse della Terra di Israele e del Mediterraneo. Questo spiega anche le loro divergenze e contraddizioni ed obbliga ad una costante analisi critica. Infine, nell’analisi abbiamo cercato di applicare una lettura dei testi che permetta la ricerca delle tracce nascoste di quello che accadde, spesso depositate in modo implicito tra le pieghe dei testi.
Per la vostra indagine vi siete avvalsi sia degli scritti canonici che di quelli apocrifi oltreché storici. Quale la novità della vostra esegesi e a quali conclusioni vi ha portato?
Noi abbiamo utilizzato spesso il Vangelo di Pietro, il Vangelo di Tommaso, l’Ascensione di Isaia, la Didaché, che sono opere antichissime a volte antecedenti ai vangeli canonici. Ci siamo poi basati sugli storici dell’epoca come Flavio Giuseppe, e abbiamo cercato di mostrare che gli evangelisti avevano molto in comune con gli scrittori ellenistico-romani, non ebrei, ad esempio Plutarco. L’attenzione al mondo giudaico e a quello romano ci ha portato ad esempio a proporre come ipotesi estremamente verosimile che a seppellire Gesù furono proprio gli ebrei e il sinedrio ebraico, che chiedeva sempre ai romani di seppellire i crocifissi prima del tramonto come atto di pietà e per impedire la contaminazione.
Il confronto con gli usi del tempo ci ha fatto comprendere la funzione insostituibile e unica delle donne al momento della sepoltura. La comparazione con tante morti violente di leader antichi ci ha aperto uno squarcio sulle condizioni e sulle reazioni dei seguaci di Gesù alla sua morte.
Già dal titolo indicate che oggetto della vostra indagine è «la morte di Gesù». Perché? E perché la definite «indagine su un mistero»?
Abbiamo concentrato la nostra attenzione sulla morte – ossia uccisione, cura del cadavere, seppellimento, centralità della tomba, comportamento dei seguaci, ecc. – come evento storico indubitabile. La fine sulla croce è il fatto da cui si può o si deve partire per l’analisi di Gesù. Noi diciamo che tutto è cominciato dalla fine, che l’evento mortale finale va considerato in sé, e non solo come elemento fondativo di ciò che è accaduto in seguito. E diciamo che questa morte ha un valore immenso e decisivo. Di fatto, partire dalla morte è quello che si fa spesso inconsapevolmente parlando della vicenda di Gesù.
È un fatto imprescindibile ma che è estremamente sfumato in molte letture della sua vicenda. Nel nostro libro, i dettagli dei primi momenti, appena Gesù è spirato e nasce il problema del suo corpo morto e della sepoltura, sono vagliati in profondità proprio per capire, fin dove è possibile, le incertezze e le oscurità che sono nate attorno agli eventi mortali relativi a Gesù. Le divergenze dei testi, di cui si è detto, proprio su tali momenti sono preziose, ci danno molte tessere dello scenario che si è creato con la sua scomparsa. La nostra indagine scava e cerca di portare alla luce molti elementi che vanno doverosamente illuminati.
Da un punto di vista antropologico in relazione ai seguaci di Gesù riveste maggior significato la morte di Gesù rispetto alla risurrezione?
I seguaci costituiscono un gruppo di persone che viene decapitato con la crocifissione. In poche ore queste persone si trovano senza una guida, un leader, non capiscono, temono effetti distruttivi anche per se stessi. La morte di un personaggio con cui si è stati in contatto, con cui si sono condivise esperienze varie è un episodio indimenticabile e sicuramente traumatico. Noi lo abbiamo scelto come situazione antropologicamente sintomatica di tutta la vicenda dei discepoli e seguaci. L’abbandono di Gesù da parte dei discepoli al momento dell’arresto è, d’altra parte, un evento talmente sconvolgente che per lungo tempo non si riuscì a rimuovere. Il punto sta tutto qui: i seguaci non si aspettavano la fine del leader. La sua uccisione fu un esito inconcepibile e del tutto contrario alle loro attese. I seguaci avevano sperato nell’avvento del Regno divino, che Gesù predicava in ogni occasione. Ma venne la morte ad interrompere pensieri ed attese. La morte precede e segna tutta la vita successiva dei discepoli. La nostra indagine si arresta proprio sull’evento dell’annientamento di Gesù perché è strutturalmente determinante.
Ma da la massima attenzione alle interpretazioni che i seguaci diedero dello scandalo e dell’ignominia che era toccata al loro leader. Molte riflessioni che abbiamo fatto sui seguaci non sono mai state fatte prima. Se non ci fosse stata una morte violenta, crediamo, la storia successiva sarebbe stata differente. Sulla base di una documentazione ampia e pertinente abbiamo analizzato il comportamento di questi uomini rimasti soli, con mille problemi, dopo una morte crudele e precipitosa, che li esponeva a pericoli.
A quali conclusioni siete giunti circa il messaggio di Gesù e in che cosa credesse? E su come questo sia stato compreso, recepito, oppure no, successivamente dai suoi discepoli?
Il messaggio di Gesù, è incorporato, abbiamo detto, nell’attesa della venuta del Regno di Dio. Abbiamo sostenuto che questa attesa era un fattore che ha condizionato la vicenda di Gesù. Egli fu percepito come una minaccia dal mondo socio-religioso dell’epoca. Gesù era considerato pericoloso per il potere costituito perché denunciava soprusi e ingiustizie. Aveva in mente una trasformazione radicale della società, non un adattamento o una sorta di assuefazione ai rapporti ingiusti in corso. Il suo messaggio non era neppure una semplice risposta al malessere della gente e ai soprusi che essa subiva. Mirava, dall’interno del mondo ebraico, alla rifondazione divina del mondo. Il tema della conversione era centrale nel discorso di Gesù. Egli invitava i «ricchi e i sazi», a ravvedersi e a cambiar vita. Questo fece crescere le ostilità verso di lui, e Gesù ne era ben consapevole. Poteva sicuramente pensare che il mondo dei potenti gli era contrario e che esisteva un pericolo di morte. Gesù però non si sottrae alla folla, e non cerca la morte. Pensa a portare avanti il suo progetto.
Cerca di facilitare l’arrivo del Regno. Va ben sottolineato che Gesù intendeva il Regno come un fatto sostanziale e definitivo attraverso il quale si sarebbe instaurato un sistema di equità, e di benessere perpetuo sulla terra, nella vita degli uomini. Questo evento, però, non si verificò ed è questo che sconvolse molti dei suoi. Nei decenni successivi alla morte di Gesù, si è detto, il suo messaggio fu sottoposto a una decisiva riformulazione. Si introdussero nuove visioni e attese. Alcuni insistettero soprattutto sull’idea che Gesù era morto secondo un piano divino, per i peccati degli uomini. Dice Paolo: «Cristo è morto per i nostri peccati secondo le Scritture». Paolo sostituì all’attesa del Regno di Dio l’idea della risurrezione, il bisogno di un cambiamento del mondo attuale e reale restava oscurato. Il Vangelo di Luca e gli Atti degli Apostoli, al posto dell’arrivo del Regno indicano l’attesa dello Spirito Santo e quindi una religiosità più personale che universale e sociale. Giovanni propone una nuova nascita operata nel cuore dei singoli dalla forza divina dello Spirito. Sostenere che Gesù muore per salvare gli uomini dai loro peccati, in altri termini, metteva in ombra il suo annuncio vero e fondamentale di uno sconvolgimento di tutta la vita – società, potere, religione, dominio delle elite – e rendeva, con tutta evidenza, il suo messaggio molto meno pericoloso per i poteri esistenti. Un ultimo punto circa le attese. Dato che al posto del Regno arrivò la crocifissione, i seguaci pensarono che ci sarebbe stata una seconda venuta di Gesù, chiamata «parusia». In sostanza, questa concezione manteneva viva l’attesa dell’avvento del Regno e la speranza che Gesù, che era stato sconfitto dalla croce, avrebbe finalmente trionfato. Evidentemente, in questo modo, l’iniziale trauma causato dalla morte di Gesù si stemperò. Dopo il primo sbandamento, il timore venne via via neutralizzato. A proposito della «parusia», si può dire che Paolo pensava che Gesù sarebbe tornato mentre ancora egli era vivo (Prima lettera ai Tessalonicesi). Marco, Luca e Matteo insistettero sull’idea che Gesù sarebbe tornato sulla terra come Figlio dell’Uomo, e che a lui Dio avrebbe assegnato un potere eterno (Libro di Daniele). Altri testi, come
il Vangelo di Tommaso, considerato poi apocrifo, insistettero di più sul bisogno di una vita interiore spirituale e sul fatto che il Regno doveva consistere nel dominio su se stessi.
Vi ha sorpreso il successo del libro?
Ci ha confermato una opinione. Siamo convinti che vi sia nel pubblico un bisogno estremo di indagini rigorose – sui fondamenti delle religioni – che permettano a tutti di farsi un’idea diretta e personale su questioni così rilevanti. Bisogna evitare il paternalismo della divulgazione. Si ha invece bisogno di mostrare direttamente a chi legge il procedimento scientifico anche se in modo semplice e leggibile e non finalizzato a trovare comunque soluzioni. Noi non vogliamo indottrinare, ma diffondere un modo di lettura critica praticabile dal maggior numero possibile di lettori.