Rodotà: “Avremo un governo padrone del sistema costituzionale”
intervista a Stefano Rodotà di Silvia Truzzi,
il Fatto quotidiano del 16 luglio 2014
Mentre al Senato comincia il dibattito sulle
controriforme, Stefano Rodotà, già professorone, risponde così al telefono: “Il
mio stato d’animo è terribilmente malinconico. Poteva finire in modo molto
migliore di come si avvia a concludersi”.
Siamo un Paese alla rovescia: chi insinua dubbi sulla legittimazione degli
oppositori o è membro di un’alleanza di governo che nessun cittadino ha votato o
di un Parlamento fortemente sospettato di legittimità dalla sentenza della
Consulta sul Porcellum.
È una vecchia tecnica: invece di discutere le
tesi dell’interlocutore, lo si delegittima. Mi spiace perché la famosa lettera
dei professoroni aveva messo in modo un meccanismo virtuoso, di iniziative
parlamentari che andavano verso un processo riformatore, che non era in
contrasto con la democrazia. Invece chi sostiene un’idea di riforma non brutale
e semplificata, viene apostrofato come gufo o rosicone. Alla peggio lo si accusa
di voler salvare lo stipendio.
Al Corriere della Sera, domenica il premier ha anche dichiarato “Mi
piacerebbe discutere sulle grandi questioni del disegno di legge
costituzionale”.
Ma chi gliel’ha impedito? Ha avuto sul suo
tavolo una tale ricchezza di proposte che certamente questa auspicata
discussione avrebbe potuto aver luogo! Solo che si è preferito andare avanti
senza confronti. La domanda che dobbiamo porci è: Renzi e il suo gruppo
dirigente hanno la cultura costituzionale adeguata per caricarsi il peso di
questo cambiamento radicale?
Parliamo del merito. La questione centrale è analizzare la riforma del Senato
insieme alla nuova legge elettorale che dovrebbe sanare l’illegittimità del
Porcellum alla Camera.
E quindi torniamo al patto del Nazareno. Quante
volte abbiamo chiesto di conoscere i punti di questa intesa e quante volte siamo
stati liquidati con un “ma cosa volete”? Siamo costretti a dar ragione a Fitto –
a Fitto! – che chiede chiarezza all’interno di Forza Italia! Non vogliamo
chiamare il combinato disposto del nuovo Senato più Italicum “svolta
autoritaria”? Diciamo allora che assisteremmo a un enorme accentramento di
potere nelle mani dell’esecutivo e del premier. Alla diminuzione, e in qualche
caso alla scomparsa, di controllo e contrappesi. Se questi poteri e contropoteri
sono esclusi dal procedimento democratico – governo e attività legislativa –
allora la funzione di controllo viene spostata all’esterno. Cioè sulla Consulta
che viene caricata di un compito politicamente molto delicato. Ed è ciò che ha
costituito l’oggetto della critica degli ultimi vent’anni, troppo potere alla
magistratura. Ma se le forme di controllo all’interno del processo politico
vengono eliminate, è ovvio che si spostano all’esterno. Non ci sono più gli
equilibri costituzionali.
A cosa porta tutto questo?
La maggioranza viene costruita attraverso una
legge maggioritaria e un premio molto alto: quindi nelle sue mani finiscono
tutti i diritti fondamentali. Aggiungo: nessuno può essere preso in giro a
proposito dell’elezione del presidente della Repubblica, che sarebbe
maggiormente garantita con lo slittamento al nono scrutinio dell’abbassamento
della soglia di maggioranza. La storia di questi anni – in alcuni si è arrivati
anche al 22esimo scrutinio – racconta che basta aspettare. Rinviare nel tempo la
necessità della maggioranza non qualificata non garantisce proprio nulla.
Chi va al governo con l’Italicum controllerà direttamente o indirettamente 10
dei 15 giudici costituzionali (5 nominati dal Parlamento e i 5 scelti dal
Quirinale).
La maggioranza può impadronirsi del presidente
della Repubblica e dei giudici costituzionali. Mi spingo più in là: avremo un
premier e un esecutivo che si impadroniscono del sistema costituzionale, senza
forme efficaci di controllo. Ora si devono eleggere due membri della Corte che
sono in scadenza: siamo alla sesta votazione perché si aspetta un accordo tutto
politico. Scadendo il presidente, la Corte deve immediatamente provvedere, ma lo
farà con un organico che non è pieno, 13 giudici su 15. Anche l’ultimo
presidente è stato eletto con un solo voto di scarto: tutto questo incide,
pesantemente, sulla sostanza degli equilibri costituzionali. Invece di
preoccuparsi di mettere la Consulta nella situazione formalmente giusta per
eleggere il presidente, si discute dei nomi di politici. Un fatto gravissimo che
dimostra lo spirito che accompagna la fase che stiamo vivendo.
Cosa pensa della ghigliottina in Costituzione, con la limitazione di
emendamenti e ostruzionismo?
Il voto bloccato altera il processo legislativo.
La velocità di cui si parla, finisce per travolgere la discussione: l’unico
interesse è eliminare i punti di vista critici e arrivare al risultato . Una
volta costruita la famosa maggioranza blindata, in teoria non ci sarebbe bisogno
della ghigliottina. Invece oltre alla legge maggioritaria, s’introduce anche la
ghigliottina: un’altra riduzione di spazi democratici.
Dicono: chi si oppone è contrario all’innovazione.
Le soglie dell’8 e 12 per cento previste dall’Italicum
chiudono completamente gli spazi a nuove aggregazioni politiche. Questi numeri
vogliono dire: non entra più nessuno. Trovo in questa riforma uno spirito di
conservazione, di garanzia delle posizioni acquisite. I cittadini, più si va
verso un parlamento non rappresentativo, più ritengono di avere diritto a
strumenti di partecipazione importanti. Portare a 800mila le firme per un
referendum, addirittura a 250 mila le firme per un disegno di legge popolare, è
esattamente il contrario di ciò che si chiede. Il referendum in Italia ha avuto
un ruolo fondamentale : nel 1974, sul divorzio, ha sbloccato il sistema
politico. È sconvolgente la volontà di andare in così palese controtendenza: si
fanno diventare impraticabili gli strumenti di partecipazione. L’idea è non
disturbare il manovratore: non si vuole che i cittadini non dico interferiscano,
ma che intervengano. Invece sarebbe stato necessario introdurre il referendum
propositivo e aumentare le forme di controllo diffuso.