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Chiesa, ciò che manca alla parità

 

Lilia Sebastiani

 

 

Rocca” n. 21 del 1 novembre 2014

 

Mi sento quasi privilegiata, potendo inserirmi senza troppi dislivelli su una strada già aperta dall'intervento di Michela Murgia, con cui mi sento in notevole sintonia.

Quando mi è stato chiesto di parlare su questo argomento, periferia-donna nella chiesa, si è destata in me, insieme a un riflesso semiautomatico di soddisfazione (perc comunque è importante parlare di queste cose e tener desto il problema), una certa perplessità, semplificabile in questi termini: in che senso le donne possono essere considerate 'periferia', nel senso inteso da papa Francesco, e che ormai ci è familiare? Le altre periferie sono sociali ed esistenziali: per il papa, lo sappiamo, 'periferie' sono i poveri, gli oppressi, gli stranieri profughi, le persone emarginate a qualunque titolo; ma in ogni caso dovrebbero non essere più tali. Speriamo che (e dobbiamo impegnarci affinché) ogni forma di oppressione venga superata, i poveri abbiano accesso a condizioni dignitose di esistenza, gli stranieri possano integrarsi nella nuova patria, gli emarginati non siano più emarginati...; ma le donne? È da ritenere che resteranno donne finché vivono. Condannate dunque, in quanto tali, a restare 'periferia'?

 

una donna fatica di più

Ogni volta che si parla delle donne in termini generali, si evidenzia qualche stranezza. L'idea della periferia, che pure è efficacissima come immagine, ci chiede in questo caso un certo ribaltamento culturale.

Le donne non si possono porre semplicemente in parallelo con le altre categorie di emarginati. All'interno di quelle che abbiamo ricordato, ci sono uomini e ci sono donne; ma va detto che le donne di solito soffrono e faticano un po' di più, rispetto a un uomo nella stessa situazione.

Tra centro e periferia, diceva poco fa Katiuscia Marini, si deve stabilire una specie di circolarità; e, aggiungo io, una circolarità progressiva, trasformativa. Guai però a immobilizzare, a pietrificare le categorie umane che collochiamo rispettivamente in centro e in periferia. Sarebbe una cosa non solo inaccettabile ma, in termini teologici, antisalvifica.

Qualcosa di simile si desta dentro di me quando sento uomini di chiesa — anche persone ottime e colme di buone intenzioni parlare degli «ultimi». Io credo che l'unico modo di occuparsene sia fare il possibile affinché non siano più ultimi, anzi diventi irrilevante e sparisca la logica del primo e dell'ultimo, per riconoscere le persone tutte pari quanto a dignità e possibilità, tutte diverse come caratteristiche e come carisma.

Il momento che stiamo vivendo, questo pontificato cominciato da poco e che suscita tanta speranza, da un certo punto di vista apre delle porte, dischiude piste entusiasmanti; da un altro punto di vista, particolarmente per quanto riguarda le donne, può accentuare le contraddizioni, e quindi il senso di insoddisfazione percepibile. Io rischio sempre di essere ipercritica con papa Francesco: proprio perché provo per lui una grande, impetuosa simpatia. E questo porta con sé la tendenza irrealistica e ingenua, lo ammetto ad aspettarsi da lui ogni apertura, ogni positività..., tutto e subito.

 

cosa aspettarsi da papa Francesco

Ora papa Francesco, che sente così profondamente il problema delle povertà e dell'ingiustizia anzi, per usare il termine da lui introdotto e quasi ufficializzato nell'esortazione apostolica Evangelii Gaudium, dell'in-equità; che dagli inizi del suo pontificato ci ha offerto una serie di gioiose sorprese; che è quasi una profezia vivente nel suo affascinante understatement, nel suo rifiuto della 'ieraticità' (non è solo un fatto di stile e di preferenze, quest'ultimo, ma attinge il piano teologico), non risponde ancora alle nostre attese, non ha dato risposte adeguate per quanto si riferisce alle donne. Eppure papa Francesco ama molto le donne, è evidente; e le rispetta sinceramente, anche questo è evidente; e fra i suoi amici, amici veri, ci sono diverse donne, e quando le incontra le bacia e le abbraccia così come fa con gli uomini. Non è irrilevante quest'ultimo dettaglio, in quanto indica

superamento di quella fobia del contatto fisico che caratterizza molti uomini di chiesa ed è retaggio della formazione ricevuta. Quando parla delle donne, però, difficilmente riesce ad andare oltre le affermazioni tradizionali. Le donne come 'tema' sono un aspetto del tutto incompiuto del suo magistero.

Legge le donne prevalentemente in chiave intimistica e sottolinea in loro gli aspetti - nobilissimi e fondamentali, ma non esclusivi del femminile - del conforto, della sollecitudine, della misericordia. In una allocuzione dell'ottobre 2013 affermava che il servizio è la meta più alta a cui tutti (uomini e donne) possiamo tendere, ma che il servizio non andava confuso con le varie forme della 'servitù' e le donne troppo spesso sono state tenute in stato di emarginazione e/o di vera oppressione attraverso un

uso perverso dell'ideale del servizio. Quando però, commentando una frase dell'enciclica di Giovanni Paolo II Mulieris Dignitatem secondo cui Dio affida specificamente alle donne il genere umano (affermazione su cui si dovrebbe molto discutere, anche perché, se presa sul serio, sarebbe molto penalizzante e ingiusta nei confronti degli uomini), legge questo affidamento nel senso privilegiato di chiamata alla maternità, non possiamo più essere d'accordo.

 

peccatrice sì, peccatore no

Qualcosa di simile potrei dire anche su quell'accostamento ricordato poco fa da Michela Murgia tra principio petrino e principio mariano. È un accostamento che non si può condividere perché mette sullo stesso piano realtà che appartengono a piani troppo diversi. L'uomo Simon Pietro fa la scelta di seguire Ge (con frequenti debolezze e fraintendimenti che i Vangeli ricordano, ma insomma lo segue, e prolungherà la sua opera, e alla fine darà la vita per lui); invece la donna Maria, sulla quale i Vangeli dicono pochissimo, conta solo in quanto madre di Gesù.

Semmai il principio mariano che talvolta gli studiosi hanno riconosciuto in opposizione (non ostile) a quello petrino nella prima comunità cristiana, dovrebbe rinviare a un'altra Maria: Maria di Magdala, discepola prediletta e 'apostola degli apostoli'. Ma sappiamo che attraverso i secoli, e via via che tutta la possibile positività del femminile si concentrava su Maria di Nazaret, il cristianesimo patriarcale, in Occidente almeno, ha confezionato intorno a Maria di Magdala un colossale pasticcio esegetico- devozionale-romanzesco, oggi ampiamente superato dagli studiosi, ma duro a morire, nella mentalità corrente e talvolta anche nell'omiletica. La discepola prediletta, l'apostola (notiamo come anche solo l'uso delle parole discepolo e apostolo al femminile sembra avere in sé qualcosa di sovversivo!) è stata trasformata in una peccatrice pentita, attraverso l'identificazione arbitraria con l'anonima peccatrice galilea di cui si parla in Lc 7.

E la 'peccatrice' fa pensare subito solo a un certo ordine di peccati; non sarebbe certo così se si trattasse di un peccatore, di un uomo...

Insomma: discriminazione e oppressione delle donne sono reali nella chiesa, la quale peraltro qui non ha inventato nulla, solo recepito quanto era già diffuso nelle tre culture che influiscono di più sulle sue origini (giudaica, ellenistica, romana); non è una realtà solo sociologica ma culturale, e insidiosissima, che può agire al di sotto del piano della coscienza e delle idee, anche su persone - donne e uomini - che da un punto di vista consapevole e razionale la rifiuterebbero.

È per questo che, quando il papa dice «la Madonna, Maria, è più importante degli apostoli», avvertiamo qualcosa di pericoloso in questa affermazione: perché di fatto valorizza le donne solo nel tradizionale ruolo materno, che oltretutto non vale per ogni donna nel concreto dell'esistenza. Senza contare che, perché ci sia una donna-madre, occorre che ci sia un uomo-padre corrispondente; ma nessuno penserebbe a definire prioritariamente l'uomo, nella varietà delle sue caratteristiche e delle scelte possibili, a partire dal ruolo paterno (come del resto nessuno si sognerebbe di definirlo a partire dalla pur possibile verginità).

 

quale «teologia della donna»?

In una delle sue allocuzioni spontanee e occasionali che, pur tanto importanti, rendono tanto difficile ricostruire con esattezza le linee guida del suo magistero, papa Francesco ha auspicato una teologia della donna. Ma che cosa intende con questo termine? Una riflessione teologica che parla della donna? Oppure una produzione teologica elaborata da donne? Le donne in questa teologia dovrebbero parlare o 'venir parlate'?

Comunque, nell'uno e nell'altro caso, questa teologia esiste già, ed è strano che il papa sembri non esserne affatto al corrente. La teologia della donna, che parlava della donna e delle sue caratteristiche in senso astratto e tipico, dal punto di vista di uomini maschi chierici e celibi nacque negli anni Cinquanta: era un'epoca di teologie del genitivo, che comunque contribuirono a svecchiare il panorama della riflessione teologica e influirono poi anche sul Concilio.

Se invece si riferisce alla teologia delle donne, fatta da donne, esiste anche quella: da oltre mezzo secolo (fin dai primi anni Sessanta) nei paesi anglofoni e in Germania, con qualche ritardo nei paesi latini, ma ormai pienamente operante, anche se ancora in condizione di marginalità accademica ed ecclesiale. Ormai le donne studiano teologia, alcune di loro anche la insegnano; ma a parte il fatto che statisticamente il fenomeno è ancora minoritario, non ha ancora inciso profondamente sulla mentalità.

La chiesa ha sempre affermato uguaglianza di uomo e donna sul piano della grazia (per cui la donna è creata da Dio come l'uomo, come lui è chiamata alla vita eterna...), ma per troppo tempo ne ha sostenuto la subordinazione nell'ordine di natura, che aveva maggiore visibilità nelle strutture della società e della chiesa.

La prassi di Gesù invece è sconvolgente, anche per la sua assoluta semplici. Apre alle donne gli spazi del discepolato, il lavoro per il Regno allo stesso modo che agli uomini, ma non enuncia teorie su «la donna». La sua novità è talmente esplosiva che, nella comunità che si richiama al suo nome e al suo esempio, la presenza femminile viene subito ridimensionata il più possibile.

 

sacerdozio alle donne subito

Chi mi conosce sa che sono seriamente impegnata sul fronte dell'accesso delle donne ai ministeri ordinati. Non perché io consideri il ministero ordinato così centrale nella prospettiva redenta: sono convinta che Gesù non intendesse affatto gerarchizzare la comunità di quelli che credevano e avrebbero creduto in lui, insomma che non intendesse affatto reintrodurre un sacerdozio nella sua comunità.

Ma poiché una gerarchia c'è, e non è affatto realistico ipotizzarne la sparizione, ritengo che il modo migliore per togliere al potere i suoi aspetti antisalvifici sia condividerlo, renderlo fluido quanto più è possibile.

Molte donne (non parlo ora di quelle più tradizionaliste, ma di donne anche evolute, colte e impegnate, tra loro parecchie teologhe), dicono: no grazie, il sacerdozio così com'è non ci interessa! Non sono d'accordo. «Così com'è», la categoria dei ministri ordinati si fonda su una certa connotazione di casta e sull'esclusione del femminile. Ma molte cose cambierebbero nel momento in cui le donne non fossero più escluse dal ministero e i ministri non fossero più tenuti per

obbligo di stato a vivere senza donne. (Sembrano due problemi; in real, almeno alla radice, sono uno solo). Le donne saranno veramente accettate dalla chiesa quando potranno essere non solo spose legittime dei ministri ordinati, ma anche sorelle e colleghe nel ministero. È l'unica trasformazione visibile coerente con la logica della salvezza portata da Gesù.

Le donne forse possono andare avanti benissimo senza l'ordine sacro; ma la chiesa cattolica forse non può andare avanti continuando a escludere le donne da ogni funzione di governo e di magistero e tenendo i propri ministri artificialmente al riparo dalla loro influenza.

Non è un 'problema delle donne', ma della chiesa cattolica: un problema in cui si gioca tutto il suo futuro prossimo.