Da San Francesco a Francesco
di Vito Mancuso
“la Repubblica” del 16 giugno 2015
Da San Francesco a Francesco. Già l’accoppiata di titolo e sottotitolo della nuova enciclica diBergoglio è molto significativa: Laudato si’. Sulla cura della casa comune .
Vi compaiono tre concetti decisivi della complessiva interpretazione bergogliana del cristianesimo come servizio e difesa dell’uomo: 1) la lode, ovvero la dimensione contemplativa, assolutamente essenziale per la spiritualità gesuita; 2) la cura, la prassi volta al bene e alla giustizia, tratto peculiare della teologia della liberazione sudamericana; 3) la casa comune, ovvero il bene comune e la dimensione comunitaria della vita umana, che è sempre vita di un singolo all’interno di un popolo. Precisamente per questa terza dimensione il papa scrive che con il suo scritto egli non si rivolge solo agli uomini di Chiesa e ai cattolici, com’è tradizione per il genere letterario dell’enciclica, ma a tutti gli esseri umani: «Mi propongo specialmente di entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune».
Francesco tiene a ricordare che la sua particolare attenzione all’ecologia non è una novità per il papato, in quanto tutti i suoi immediati predecessori l’avevano coltivata prima di lui. E in effetti leggendo il suo scritto è impossibile non riscontrare forti debiti intellettuali verso Giovanni Paolo II e soprattutto Benedetto XVI, entrambi citatissimi (23 volte il primo, 21 il secondo). Si ha però
anche una sensazione di autentica novità per almeno tre motivi: 1) per lo stile semplice e immediato che ricorda da vicino quell’acqua di cui il papa scrive che «ci vivifica e ci ristora»; 2) per l’attenzione prestata a contributi che solitamente non costituiscono le fonti del magistero papale, come per esempio le opere di altri leader religiosi tra cui il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo,
e le analisi di scienziati, di sociologi, di economisti; 3) per la forza sorprendentemente “laica” degli argomenti e dell’argomentazione. Nell’enciclica infatti ricorrono termini quali inquinamento, cambiamenti climatici, rifiuti, cultura dello scarto, questione dell’acqua (qui il papa spende parole fortissime contro ogni progetto di privatizzazione delle risorse idriche), perdita di biodiversità, deterioramento della qualità della vita, degradazione sociale, iniquità planetaria, ogm, per un dettato complessivo che soprattutto nella prima parte non ha proprio nulla di ciò che tradizionalmente si intende per religioso.
L’enciclica è molto lunga, quasi 200 pagine per 246 paragrafi, e una sua analisi adeguata richiede tempo e riflessione. Da quanto emerge però a una prima veloce lettura credo che il concetto decisivo sia quello di “ecologia integrale”, espressione che ricorre otto volte nel documento e costituisce il titolo del quarto capitolo. Integrale significa in grado di abbracciare tutte le componenti della vita umana, la quale va riscattata dalla progressiva sottomissione alla tecnologia che nel suo legame con la finanza «pretende di essere l’unica soluzione dei problemi», ma, scrive il papa, «di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri».
Un grande insegnamento al proposito è l’interconnessione di tutte le cose su cui il papa ritorna più volte (“tutto è intimamente relazionato”), al fine di comprendere, per fare solo un esempio, che il surriscaldamento del pianeta provoca la migrazione di animali e di vegetali e quindi l’impoverimento di determinati territori e di coloro che li abitano, i quali a loro volta si trovano costretti a emigrare. Così l’ecologia, da mera preoccupazione per l’ambiente naturale, mostra di essere al contempo cura dell’umanità nel segno ancora una volta dell’ecologia integrale. Rimangono però tre domande. 1) È sostenibile affermare che “la crescita demografica è veramente compatibile con uno sviluppo integrale e sociale”, come scrive il Papa citando un documento ecclesiastico precedente? Oggi siamo oltre 7 miliardi e già ora i nostri rifiuti sono superiori alle possibilità di smaltimento, senza contare che lo smaltimento diviene a sua volta causa di inquinamento. Che cosa avverrà quando nel 2050 la popolazione sarà di 9,6 miliardi?
2) Nel capitolo biblico-teologico il Papa scrive che “il pensiero ebraico-cristiano ha demitizzato la natura… non le ha più attribuito un carattere divino”. Non sarebbe opportuno chiedersi se questo processo di demitizzazione e desacralizzazione, è all’origine di quello sfruttamento progressivo del pianeta denunciato dal papa?
3) Stupisce l’assenza totale di ogni riferimento alle grandi religioni orientali (induismo, buddhismo, jainismo, taoismo, shintoismo) da sempre molto attente alla questione ecologica e alla spiritualità della natura, molto prima del risveglio al riguardo del cristianesimo. Francesco scrive più volte che “tutto nel mondo è intimamente connesso” e sicuramente sa che si tratta di un insegnamento originario della sapienza orientale, in particolare del buddhismo e del taoismo: perché non dirlo e richiamarli? Non sarebbe stato in linea con il desiderio di “unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale”, come egli scrive?