I vangeli e la sindone
di Mauro Pesce
in MicroMega n.4 del 2010
fonte. http://www.finesettimana.org/
Perché mostrare la Sindone?
Nella buca delle lettere ho trovato un invito a un pellegrinaggio organizzato da una parrocchia
cattolica del centro storico di Bologna in cui vivo. Il pellegrinaggio era organizzato «in occasione
dell’ostensione della Sindone (il lenzuolo che tutto lascia ritenere che abbia ricoperto il corpo di
Gesù durante la sua permanenza nel sepolcro, lasciandovi impresse, come in un negativo
fotografico, le impronte delle sofferenze da lui subite durante la passione)». Evidentemente l’idea
dell’autenticità del lenzuolo chiamato Sindone è penetrata capillarmente in ogni settore di base della
Chiesa cattolica, dal Nord al Sud Italia. Pochi giorni fa, il venerdì santo, in viale Fardella a Trapani,
in una piccola cartolibreria cattolica i libri in vendita erano quasi tutti sulla Sindone.
Mi domando perché la Chiesa cattolica italiana metta oggi così grande impegno a sostenere
l’autenticità di questo pezzo di stoffa. Sono nato e battezzato cristiano, ho avuto – come molti miei
amici e conoscenti – un’educazione cattolica serena e accurata. Per tredici anni dalla prima
elementare al terzo liceo ho frequentato le scuole dei padri gesuiti, di cui ho un buon ricordo. Ho
addirittura frequentato come laico per tre anni i corsi di filosofia della Pontifica Università
Gregoriana. Mai, in questo percorso più che ventennale, qualcuno mi ha parlato della cosiddetta
Sindone. Da bambino leggevo le vite di Gesù e di Maria che mi davano in casa. La mia famiglia
recitava ogni giorno dopo cena il rosario. Ho imparato a memoria con un certo entusiasmo e
impegno il catechismo di Pio X. Mai, dico mai, coloro che si occupavano della mia fede
menzionarono la Sindone. Diventato adulto mi sono trovato a decidere se rimanere o no nella fede
cattolica. Lo studio della storia del cristianesimo, della storia delle religioni, e il confronto serrato
con la filosofia moderna mi obbligava a passare da una cultura accettata per tradizione (anche se
vissuta intensamente) a una decisione individuale meditata. Ebbene, in questo processo di riesame
critico non mi sono mai imbattuto in qualcuno che proponesse la Sindone come un punto di
riferimento importante.
Per riuscire a capire a cosa serva alla Chiesa cattolica di oggi tutta questa enfasi sulla Sindone sono
costretto a pormi delle domande.
Forse la Chiesa cattolica di oggi, che ha sposato con così grande entusiasmo il culto a Padre Pio,
vuole promuovere un culto popolare che abbia un oggetto più vicino al centro della fede cristiana:
Gesù Cristo?
Forse si insiste sull’autenticità della Sindone per avere una prova della risurrezione di Gesù?
Forse si vogliono mettere a tacere i dubbi che emergono dalla scienza e dalla filosofia moderna
mediante un fatto che appaia indubitabile al popolo e che perciò neutralizzi il dubbio delle
coscienze critiche?
Forse si considera un oggetto una prova di fede?
Forse si crede che il sacro sia materializzabile in oggetti?
Forse si vogliono riconquistare alla fede cattolica grandi masse di persone che non sono abituate al
ragionamento critico, alla meditazione, alla lettura della Bibbia, alla preghiera personale?
Forse le gerarchie ecclesiastiche pensano che queste persone possono essere tenute all’interno della
Chiesa mediante forme di culto più o meno feticistiche, solo mediante una religiosità in cui il tatto,
la vista, l’adorazione di materiali sacri costituiscono la via principe per suscitare l’adesione
complessiva della persona?
I documenti per rispondere
Ho deciso quindi di rivolgermi ai testi del primo cristianesimo per vedere: a) se in essi si parli della
Sindone; b) da quando si comincia a parlare della Sindone nel cristianesimo; c) se nel cristianesimo
antico esistano forme di religiosità che possono accettare come tollerabile un culto come quello
della Sindone che oggi viene proposto.
Quando parlo di Sindone intendo il pezzo di stoffa su cui sta impresso il volto di un uomo sdraiato
supino e i segni del suo corpo fino ai piedi.
Il Vangelo di Marco (15,43-16,8) scrive: «Giuseppe d’Arimatèa, membro autorevole del sinedrio,
che aspettava anche lui il regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di
Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, lo interrogò se fosse morto
da tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un
lenzuolo (sindôn), lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo (sindôn), lo depose in un
sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l’entrata del sepolcro. Intanto Maria
di Magdala e Maria madre di Ioses stavano ad osservare dove veniva deposto. Passato il sabato,
Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare
Gesù. Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. Esse
dicevano tra loro: “Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?”. Ma, guardando, videro
che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. Entrando nel sepolcro, videro un
giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: “Non
abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove
l’avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo
vedrete, come vi ha detto”. Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore
e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura».
Nel Vangelo di Marco quindi il cadavere di Gesù viene avvolto in un lenzuolo (sindôn) da Giuseppe
di Arimatèa. Quando Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome vanno al sepolcro vedono solo
«un giovane, seduto sul lato destro». Ma non sembra vedano nella tomba qualcos’altro, tanto meno
un lenzuolo. Successivamente, il Vangelo di Marco non parla più della tomba. Quindi, secondo
questo vangelo, nessuno è andato nella tomba a recuperare il lenzuolo in cui era stato avvolto il
cadavere di Gesù per conservarlo.
Leggiamo anche il Vangelo di Luca (23,50-24,12): «C’era un uomo di nome Giuseppe, membro del
sinedrio, persona buona e giusta. Non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Egli era
di Arimatèa, una città dei Giudei, e aspettava il regno di Dio. Si presentò a Pilato e chiese il corpo di
Gesù. Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo (sindôn) e lo depose in una tomba scavata nella
roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto. Era il giorno della Parascève e già splendevano
le luci del sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse
osservarono la tomba e come era stato deposto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e
prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il
comandamento. Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, si recarono alla tomba, portando
con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro; ma, entrate,
non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre erano ancora incerte, ecco due uomini apparire
vicino a loro in vesti sfolgoranti. Essendosi le donne impaurite e avendo chinato il volto a terra, essi
dissero loro: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come
vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse
consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno”.
Ed esse si ricordarono delle sue parole. E, tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli
Undici e a tutti gli altri. Erano Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo. Anche le altre che
erano insieme lo raccontarono agli apostoli. Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e
non credettero ad esse. Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi vide solo i panni. E tornò a casa
pieno di stupore per l’accaduto».
Il Vangelo di Luca presenta dunque un racconto in parte differente. Anche questo vangelo dice che
Giuseppe di Arimatèa avvolse il cadavere di Gesù in un lenzuolo (sindôn). Il gruppo di donne che
va al sepolcro è però in parte differente: sono Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo
(non come in Marco: Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome). Le donne vedono non un
solo giovane (come in Marco), ma «due uomini […] in vesti sfolgoranti». Le donne non vedono
altro. Non sembrano proprio vedere panni o lenzuola. È Pietro che, accorso al sepolcro, non vede i
due giovani, ma dei panni (ta othonia). Si noti bene: non un lenzuolo, sindôn, ma – al plurale –
panni o lenzuola (othonia). (Spesso othonia viene tradotto con la parola «bende», ma questa
traduzione è contestabile dal punto di vista lessicale. Più che di bende si tratta di una stoffa piuttosto
grande, che potremmo chiamare «panno» o «lenzuolo».) Pietro sembra non avere intenzione di
toccare alcunché. Si guarda bene dal toccare le lenzuola o prenderle con sé per conservarle. È strano
che l’autore del Vangelo di Luca dapprima dica che Gesù è stato avvolto in una sindôn, lenzuolo, e
poi dica che Pietro vede nella tomba non una sindôn [sindôn, in greco è un sostantivo femminile]
ma degli othonia. Ha voluto differenziare gli oggetti oppure solo le parole? Il significato del termine
negli Atti degli apostoli (10,11; 11,5) appare chiaro: un othon è un panno che, se preso per i suoi
quattro angoli, può contenere molti oggetti al suo interno. E quindi potrebbe in sostanza significare
lenzuolo, panno abbastanza grande. Gli Atti degli apostoli ai versetti 10,11 e 11,5 usano il termine al
singolare, perché si riferiscono a un solo othon. Nella tomba di Gesù, Pietro vede invece degli
othonia, cioè almeno più di un lenzuolo o panno.
Su questi panni, stando al Vangelo di Luca, Pietro non vede alcuna immagine di Gesù impressa! La
presenza di queste lenzuola serve al racconto solo per dire che il corpo di Gesù non è più nello stato
in cui era prima. Non è più avvolto da panni funerari. L’assenza di ogni immagine di Gesù sulle
lenzuola (oltre al fatto che si tratta di lenzuola al plurale) mi sembra tolga ogni possibilità di
identificazione tra la Sindone di Torino e le lenzuola menzionate dal Vangelo di Luca.
Il Vangelo di Luca poi non parla più di questi panni o lenzuola né dice che qualcuno le abbia prese.
Gli specialisti dicono che gli Atti degli apostoli è un’opera scritta dallo stesso autore del Vangelo di
Luca. Ebbene: negli Atti degli apostoli non si parla più né del lenzuolo, né dei panni che avevano
avvolto il cadavere di Gesù secondo il Vangelo di Luca. Il disinteresse per questo argomento è
totale.
Il Vangelo di Matteo (27,57- 28,8) scrive invece: «Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatèa,
chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù. Egli andò da Pilato e gli
chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato ordinò che gli fosse consegnato. Giuseppe, preso il corpo di
Gesù, lo avvolse in lenzuolo puro (sindoni kathara) e lo depose nella sua tomba nuova, che si era
fatta scavare nella roccia; rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò. Erano lì,
davanti al sepolcro, Maria di Magdala e l’altra Maria. Il giorno seguente, quello dopo la Parascève,
si riunirono presso Pilato i sommi sacerdoti e i farisei, dicendo: “Signore, ci siamo ricordati che
quell’impostore disse mentre era vivo: ‘Dopo tre giorni risorgerò’. Ordina dunque che sia vigilato il
sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo:
È risuscitato dai morti. Così quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima!”. Pilato disse
loro: “Avete la vostra guardia, andate e assicuratevi come credete”. Ed essi andarono e assicurarono
il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia. Passato il sabato, all’alba del primo giorno
della settimana, Maria di Magdala e l’altra Maria andarono a visitare il sepolcro. Ed ecco che vi fu
un gran terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a
sedere su di essa. Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve. Per lo
spavento che ebbero di lui le guardie tremarono tramortite. Ma l’angelo disse alle donne: “Non
abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite
a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti, e
ora vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l’ho detto”. Abbandonato in fretta il sepolcro,
con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annunzio ai suoi discepoli».
Qui il racconto è sostanzialmente diverso da quello di Luca: si parla di una riunione di autorità
religiose e politiche che fanno sigillare il sepolcro di Gesù e lo fanno sorvegliare da armati. Un
angelo scende dal cielo. La discesa è accompagnata da un terremoto. L’angelo apre il sepolcro alla
presenza sia dei soldati sia di «Maria di Magdala e l’altra Maria». Esse vedono solo un angelo (non
due come in Luca) e assistono all’apertura del sepolcro (mentre in Marco il sepolcro era già aperto).
Solo Matteo parla della presenza dei soldati e delle donne all’apertura del sepolcro da parte di un
angelo.
È importante il fatto che le donne non entrano nel sepolcro e che in esso non entri nessuno dei
discepoli. Pietro quindi, secondo il Vangelo di Matteo, non vede alcun lenzuolo abbandonato nella
tomba come invece raccontava Luca.
Infine, il quarto vangelo contenuto nel canone del Nuovo Testamento, quello detto di Giovanni
(19,38; 20,10) scrive abbastanza diversamente dagli altri. Non è solo Giuseppe di Arimatèa che si fa
dare il cadavere di Gesù da Pilato, ma anche Nicodemo. Ambedue avvolgono il cadavere di Gesù,
ma non in una sindôn, bensì – al plurale – in othoniois. Per giunta, il Vangelo di Marco sostiene che
«passato il sabato, Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per
andare a imbalsamare Gesù» e così pure dice Luca: «Il primo giorno dopo il sabato, di buon
mattino, si recarono alla tomba, portando con sé gli aromi che avevano preparato». Giovanni invece
pensa che il cadavere di Gesù sia stato già profumato e unto da Giuseppe di Arimatèa e Nicodemo.
In Giovanni è solo Maria Maddalena che va al sepolcro e non altre donne come in Marco, in Luca e
Matteo. Quando Maria di Magdala arriva, il sepolcro è già aperto (come in Marco e non ancora
chiuso come in Matteo): «Dopo questi fatti, Giuseppe d’Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di
nascosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse.
Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo, quello che in precedenza era
andato da lui di notte, e portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre. Essi presero allora
il corpo di Gesù, e lo avvolsero in panni (othonia) insieme con oli aromatici, com’è usanza
seppellire per i Giudei. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un
sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. Là dunque deposero Gesù, a motivo
della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino. Nel giorno dopo il sabato, Maria di
Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata
ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù
amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno
posto!”. Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano
insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro.
Chinatosi, vide i panni (othonia) per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo
seguiva ed entrò nel sepolcro e vide i panni (othonia) per terra, e il sudario (soudarion), che gli era
stato posto sul capo, non per terra con i panni (othoniôn), ma piegato in un luogo a parte. Allora
entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Non avevano
infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti. I discepoli intanto se
ne tornarono di nuovo a casa».
In sostanza, il Vangelo di Giovanni è coerente nell’affermare che il cadavere di Gesù fosse stato
avvolto in lenzuola al plurale (othonia). Aggiunge che nella tomba c’era anche piegata a parte un
soudarion che «era stato posto sul capo» di Gesù. È interessante poi quando parla al capitolo 11,44
delle fasciature del cadavere di Lazzaro menziona delle keiriai (bende che sarebbero sulle mani e
sui piedi) e non degli othonia (panni grandi o lenzuola).
Sia le lenzuola che il soudarion sarebbero stati visti sia da Pietro sia dal discepolo amato e da
nessun altro. Nessuno dei due, però, si badi bene, portò via lenzuola e sudario.
Anche in questo caso la descrizione, puntigliosa, di Giovanni non dice affatto che il volto e il corpo
di Gesù fossero impressi sulle lenzuola e/o sul soudarion. Una cosa simile non avrebbe potuto
sfuggire al loro sguardo. Secondo il racconto il soudarion era accuratamente ripiegato e posto in un
luogo diverso rispetto alle lenzuola. Ciò significa che, secondo l’autore del testo, il discepolo amato
ha guardato accuratamente questi panni. Su di essi, evidentemente, non vi era alcun segno
dell’immagine di Gesù. Quindi anche questo testo porta a escludere che la Sindone di Torino
coincida con quella di cui parla il Vangelo di Giovanni.
Quest’ultimo è di estrema importanza nel nostro contesto. Mi riferisco alla scena in cui Gesù, ormai
risuscitato, appare per la terza volta: «Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era
con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a
voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e
mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!”. Rispose Tommaso: “Mio Signore
e mio Dio!”. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati i non vedenti (meˆ idontes) e
credenti!”» (Gv 20, 26-29).
Tommaso ha bisogno di rendersi conto che il corpo che gli appare come vivo sia veramente il corpo
ucciso di Gesù e perciò vuole toccare le ferita inferta dalla lancia sul costato. Il problema è il
seguente: come si fa a credere se non si vede e non si constata personalmente che il corpo morto di
Gesù sia stato veramente risuscitato. La risposta è chiara: «Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto,
hai creduto: beati i non vedenti (meˆ idontes) e credenti! [cioè: beati i credenti pur non vedendo]”».
Alla fede non importa la vista e tanto meno il tatto (il mettere la mano sulla ferita per constatare che
veramente si tratta di un corpo che è stato ferito e ucciso). Alla fede si deve arrivare senza la vista e
il tatto: «Beati quelli che pur non avendo visto crederanno». Se i discepoli avessero posseduto il
lenzuolo in cui il cadavere di Gesù era stato avvolto nel quale l’immagine del volto e del corpo
ferito fosse stato impresso, sarebbe stato per loro molto facile affermare: per credere basta vedere il
lenzuolo. Oppure: se avessero pensato che la fede si basa sulla vista e sul tatto avrebbero fatto
ricorso a questo lenzuolo (se lo avessero posseduto).
Ma il testo mostra chiaramente: 1) che non avevano alcun lenzuolo e 2) che non pensavano affatto
che l’immagine del corpo di Gesù fosse rimasta impressa su un lenzuolo e 3) soprattutto non
pensavano affatto che un lenzuolo con l’immagine del corpo morto di Gesù servisse a fondare la
fede.
Di più. Al capitolo 4 (vv. 19-24) il Vangelo di Giovanni afferma: «Credimi, donna, è giunto il
momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. […] Ma è giunto il
momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre
cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità».
La fede e il vero culto a Dio non consiste nell’adorarlo in un luogo e tanto meno in un oggetto. Non
ha bisogno di oggetti, templi e luoghi. È un culto interiore che avviene nello Spirito e tramite lo
Spirito. Il contatto con Gesù, ritenuto assolutamente necessario per il Vangelo di Giovanni («Senza
di me non potete fare nulla»; «Io sono la vite e voi i tralci»), implica un contatto interiore tramite lo
Spirito di Gesù con Dio stesso. Nulla è più lontano dalla religione del Vangelo di Giovanni di una
religiosità che valorizza un oggetto come la Sindone.
Il lenzuolo del cadavere di Gesù non serve, non lo si conserva, non lo si mostra e non lo si propone
come oggetto utile per la fede perché la fede consiste in una presenza dello Spirito nell’interiorità
dell’uomo, in un culto in spirito e verità che non ha bisogno di luoghi. Laddove c’è bisogno di
spostarsi per trovare il sacro, ebbene lì non c’è l’adorazione in spirito e verità: «Credimi, donna, è
giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre».
Di più: è stato più volte sottolineata da parte dei commentatori del Vangelo di Giovanni quale sia la
natura della «fede» del discepolo amato che entra nel sepolcro e constata che nelle lenzuola e nel
soudarion non c’è più il corpo di Gesù. Il racconto dice che egli «vide e credette» e questo è detto
solo di lui. «Il discepolo amato perviene alla fede perfetta. Egli non solo credette senza avere visto
Gesù (risorto), ma non ebbe neppure bisogno dell’aiuto delle Scritture» ebraiche le quali rettamente
interpretate condurrebbero alla certezza che Gesù «doveva risuscitare dai morti» (Gv 20,8)
(commento di R.E. Brown). Anche questo mostra quanto sia estranea al mondo religioso del
Vangelo di Giovanni una spiritualità che dà rilievo religioso alla contemplazione di un lenzuolo su
cui sarebbe impresso il volto e il corpo di Gesù.
Si potrebbe infine aggiungere che i diversi commenti al Vangelo di Giovanni scritti nella Chiesa
antica, per secoli, quando hanno commentato i passi del capitolo 20 in cui si parla delle lenzuola del
cadavere di Gesù, mai hanno fatto cenno all’esistenza di un lenzuolo con l’immagine impressa del
volto e del corpo di Gesù.
Cosa è credere per il cristianesimo primitivo
Una parte rilevante della fede del primissimo cristianesimo è espressa da un testo che forse riflette
addirittura una formula di fede, una delle più antiche: «Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho
annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi, e dal quale anche ricevete la salvezza, se
lo mantenete in quella forma in cui ve l’ho annunziato. Altrimenti, avreste creduto invano! Vi ho
trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati
secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture» (1Cor 15, 1-5).
Il testo è tratto dalla Prima lettera ai Corinzi di Paolo che è stata scritta all’incirca nella prima metà
degli anni Cinquanta del primo secolo. Paolo afferma che la fede consiste nel credere in Gesù
Cristo, morto per salvare gli uomini dai loro peccati, e nella sua risurrezione. Il credere comporta
un’adesione interiore, una disposizione ad accettare il perdono offerto da Dio mediante la morte e
risurrezione di Cristo, un perdono rivolto soprattutto ai peccatori mentre sono ancora peccatori, e
indipendentemente dalle loro opere. Dio salva l’uomo, mediante Cristo, quando l’uomo gli è ancora
nemico (Lettera ai Romani cap. 5). Nessun oggetto sacro ha funzione alcuna nella fede
protocristiana, nessuna forma di pellegrinaggio, di venerazione o contemplazione di immagini. La
certezza della risurrezione è data dallo Spirito Santo che grida nel cuore stesso dell’uomo e gli
permette di invocarlo con il nome intimo e diretto di Abba.
L’immagine di Cristo, secondo Paolo nella Seconda lettera ai Corinzi (2Cor 3,17-18) è solo la
parola del vangelo (non qualcosa di impresso su un pezzo di stoffa). Quando il vangelo viene
predicato, si imprime nel cuore dell’uomo l’immagine di Cristo il quale è immagine di Dio e perciò
il singolo uomo è trasformato in quella del Creatore, restaurando in qualche modo la situazione
umana originaria in cui l’uomo era stato creato: «Il Signore è lo Spirito e dove c’è lo Spirito del
Signore c’è libertà. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del
Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione
dello Spirito del Signore».
Il cristianesimo primitivo non aveva bisogno alcuno di un lenzuolo con un’immagine di Cristo
impressa. Il bisogno di statue, di oggetti e immagini sacre era invece caratteristico della religiosità
cosiddetta pagana di allora. Anche se i cosiddetti pagani sapevano bene che le loro statue non
coincidevano con la divinità che rappresentavano.
Il cristianesimo primitivo era una religione della parola e dello spirito. Non creò mai oggetti in cui
trovare materializzata la propria fede. Unica eccezione furono testi, ma solo come espressione di
una Parola trascendente e non materializzabile, se non nel contatto mistico tra uomo o donna e Dio.
Ancora un punto: gli Atti degli apostoli dicono che la gente, colpita dalle capacità taumaturgiche di
Paolo, poneva sul corpo di Paolo dei panni (chiamati soudaria o simikinthia) e poi li deponeva sulla
pelle di malati per provocarne la guarigione. Quindi gli Atti degli apostoli conoscono un tipo di
religiosità miracolistica e non la condannano, anzi la mostrano per evidenziare il potere
taumaturgico che Dio concedeva agli apostoli. La Chiesa primitiva dunque, in alcuni suoi settori
usava o non era contraria all’uso di panni sacri per compiere guarigioni. Ma non abbiamo alcuna
traccia del fatto che venisse usato a questo scopo alcun panno mortuario adoperato per seppellire
Gesù che avesse per di più la sua immagine impressa. Cosa che sarebbe probabilmente avvenuto se
questi panni fossero stati in possesso di qualche cristiano. Il fatto è che del possesso, conservazione
o uso qualsivoglia dei panni adoperati per seppellire Gesù non c’è alcuna traccia nel primo
cristianesimo.
Altri testi del primo cristianesimo
Prendiamo in esame anche altri testi non canonici. Il Vangelo secondo gli Ebrei (forse databile agli
inizi del II secolo), in un brano che conosciamo in traduzione latina solo grazie a una citazione di
Girolamo (Uomini illustri II, 11-13), dice addirittura che Gesù, una volta risuscitato, consegna il
lenzuolo (forse quello in cui era stato avvolto il suo cadavere) al servo del sommo sacerdote: «Il
Vangelo che si chiama secondo gli Ebrei e che è stato da me recentemente tradotto in lingua greca e
latina e che anche Origene usa spesso, dopo la risurrezione del Signore riporta: “Il Signore poi dopo
avere dato il lenzuolo [in latino: sindonem] al servo del sacerdote andò da Giacomo e gli apparve”
[Giacomo aveva infatti giurato che non avrebbe mangiato pane dal momento in cui aveva bevuto la
coppa del Signore e finché non lo avesse visto risorgere da coloro che dormono] e di nuovo, poco
dopo, “Portate, disse il Signore, mensa e pane” e subito si aggiunge: “Prese il pane, lo benedisse, lo
spezzò, e lo diede a Giacomo il giusto, e gli disse: ‘Fratello mio, mangia il tuo pane, poiché il figlio
dell’uomo è risorto da coloro che dormono’”».
Qui mi sembra chiaro che il Vangelo degli Ebrei vuole sostenere che le autorità ebraiche sacerdotali
avevano avuto la possibilità di credere alla risurrezione di Gesù perché Gesù stesso avrebbe lasciato
al servo del sommo sacerdote il lenzuolo mortuario in cui era stato avvolto. Che si tratti di leggenda
è ovvio. In ogni caso, anche qui l’argomento decisivo è che in questo leggendario lenzuolo non si
dice esserci stata in alcun modo un’immagine impressa del volto e del corpo di Gesù. E Girolamo,
che trasmette questo testo, non sa evidentemente nulla di un lenzuolo con l’immagine di Gesù
impressa. Ed egli scrive nel V secolo (muore nel 419-420 circa). Non si può neppure utilizzare
questo testo con il metodo orrendo di Dan Brown usato alla rovescia. Per sostenere senza alcun
fondamento che qualcuno avrebbe ritrovato poi millenni dopo il lenzuolo dato al Sommo sacerdote.
Anche il Vangelo di Pietro (forse del I secolo, almeno nelle sue fasi redazionali più antiche) dice
che Giuseppe (di Arimatèa) lavò il cadavere di Gesù e «lo avvolse in un lenzuolo». Come del resto
anche gli Atti di Tommaso (157,2) e la Vita di Gesù in arabo (49,3) la quale specifica che quel
lenzuolo era stato profumato «di mirra. […] Era la mirra che i Magi avevano donato a Gesù alla sua
nascita e che Maria aveva conservato fino a quel momento». Negli Atti di Filippo 37 [143], Filippo
raccomanda di seppellire il proprio cadavere avvolto in bende di carta di Siria e non con un
«lenzuolo di lino, perché ne è stato messo uno sul corpo del signore».
Nel Vangelo di Nicodemo Gesù, dopo essere risorto, conduce Giuseppe di Arimatèa alla propria
tomba, nella quale Giuseppe, come prova della risurrezione vede «il lenzuolo» (15,6). Questo testo
sembra sviluppare il racconto leggendario di cui abbiamo attestazione nella Vita di Gesù in arabo
con l’ulteriore dettaglio della visita di Giuseppe alla tomba durante la quale egli vedrebbe il
lenzuolo.
Negli Atti di Taddeo (forse redatti nel VII secolo sotto il regno di Heraclio, 614-641), si dice che
Anania era stato inviato dal re Abgar affinché verificasse con cura «l’aspetto del Cristo» (2,10).
Anania quindi parte e va da Gesù, portandogli una lettera di Abgar. Durante l’incontro, Gesù si lava
la faccia e si asciuga il volto con «un panno di lino piegato in quattro».
Miracolosamente, «la sua immagine rimase impressa sul tessuto del lino fine. Egli lo diede ad
Anania» (3,1-4) in modo che Abgar potesse vedere il suo volto. È quindi chiaro che l’idea di una
riproduzione del volto di Gesù su un panno di lino è attestata nel VII secolo d.C. (data probabile di
composizione di questo testo), ma si tratta di un panno che riproduce il volto di Gesù vivo. Non si
tratta affatto del cadavere. Nessuna connessione col panno di lino in cui secondo il Vangelo di
Giovanni (20,7), era avvolta la testa o volto di Gesù cadavere e tantomeno il lenzuolo con
l’impronta del volto e di tutto il corpo.
Ancora: gli studi sull’iconografia del volto di Gesù hanno appurato che esistono almeno due sue
immagini nella Chiesa antica: una con la barba l’altra senza. Il Gesù della Sindone di Torino ha la
barba. È quindi più che ovvio che tutte le immagini cristiane antiche in cui Gesù appare senza
barba, dimostrano che questa Sindone non era conosciuta.
Si può infine aggiungere che nel momento in cui si cominciarono a cercare nella terra di Israele
«reliquie» di Gesù e del primissimo cristianesimo, cioè con Costantino e sua madre, non solo non si
trovò alcuna «sindone», ma neppure venne mai in mente di cercarla o di costruirla, tanto era fuori
dalla logica della religione cristiana di allora.
Conclusioni
Alcuni testi del primissimo cristianesimo dicono che alcuni discepoli, e cioè Pietro e il discepolo
amato, videro il lenzuolo o le lenzuola nel sepolcro di Gesù, ma non c’è alcun motivo per supporre
che su di essi vi fosse impressa l’immagine del volto di Gesù o tracce del suo corpo.
Nessuno dei vangeli e nessuno dei testi cristiani prodotti nel I secolo dice che qualcuno dei
discepoli di Gesù andò nella tomba di Gesù a recuperare il lenzuolo in cui egli era stato avvolto.
Nessun testo delle origini cristiane ci dice che qualche cristiano andasse alla ricerca di questo
lenzuolo.
Nessun testo delle origini cristiane ci dice che i cristiani delle origini conservassero da qualche parte
questo lenzuolo.
Nessun testo delle origini cristiane ci dice che i cristiani usassero, per scopi religiosi o per qualsiasi
altro scopo, un lenzuolo con l’immagine del volto e del corpo di Gesù.
Un culto, una venerazione o anche una qualche attenzione religiosa al lenzuolo o ai panni in cui fu
avvolto il cadavere di Gesù risulta del tutto assente dalla spiritualità cristiana almeno nei primi
cinque secoli, quelli in cui il cristianesimo si è formato pienamente dal punto di vista spirituale,
istituzionale e dogmatico. Per tutti questi motivi, l’uso attuale che la Chiesa cattolica permette e
promuove della Sindone a scopi religiosi mi sembra contrario alla religione del cristianesimo
primitivo e al suo spirito.
I discepoli storici di Gesù dopo la sua morte non ebbero bisogno della Sindone, non ne ebbe
bisogno la Chiesa antica. Oggi non ce n’è bisogno per la fede cristiana. Ma, allora, a cosa serve la
Sindone? Che tipo di religione esprime o suggerisce alle folle, ai credenti e ai non credenti?
(20 aprile 2015)