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Resto cristiano anche se scelgo come morire

 

di Hans Küng

 

la Repubblica” del 25 febbraio 2015

 

La mia idea di concludere la vita in pace e armonia trae ispirazione dalla Bibbia Serve un fondamento etico a una medicina che tuteli davvero lumanità del paziente”. Il saggio “Morire felici?, di Hans Küng (Rizzoli) di cui pubblichiamo un estratto.

 

«Sostenendo strenuamente la responsabilità personale nella morte, lei mette in pericolo tutta la grande opera della sua vita». È più o meno co che si sono espressi molti amici e lettori dopo la pubblicazione del terzo volume delle mie memorie, Erlebte Menschlichkeit (Umanità vissuta), nell’ottobre del 2014. Prendo molto sul serio le obiezioni di questo tipo, ma preferirei che nella memoria dei posteri il mio ricordo non fosse legato soprattutto al tema dell’eutanasia. In fin dei conti, la mia posizione nei confronti della morte si può giudicare correttamente solo se si ha almeno una vaga idea del mio interesse costante per argomenti fondamentali come la questione di Dio, l’essere cristiani, la vita eterna, la Chiesa, l’ecumenismo, le religioni mondiali, letica mondiale eccetera.

Continuo a professare la prima delle quattro “norme immutabili delletica mondiale, quella sul dovere di una cultura del rispetto per ogni vita”, proclamata dal Parlamento delle religioni mondiali a Chicago nel 1993: «Dalle grandi tradizioni religiose ed etiche dellumanità apprendiamo la norma: Non uccidere. O in forma positiva: Rispetta ogni vita. Riflettiamo, dunque, di nuovo sulle conseguenze di questa antichissima norma: ogni uomo ha il diritto alla vita, allintegrità fisica e al libero sviluppo della personalità, nella misura in cui non lede i diritti di altri. Nessun uomo ha il diritto di tormentare fisicamente e psichicamente, di ferire o addirittura uccidere un altro uomo». Tuttavia, proprio perché «la persona umana è infinitamente preziosa e deve essere assolutamente protetta», e questo sino alla fine, occorre riflettere con attenzione sul significato di queste parole nell’epoca della medicina tecnologicamente avanzata, che è in grado di provocare la morte in modo perlopiù indolore ma, in molti casi, anche di protrarla in misura considerevole.

Qui vorrei affrontare questa problematica in tutta franchezza, senza deludere nessuno dei tanti che nel corso dei decenni sono stati, per certi versi, ispirati dalle mie tesi. D’altro canto, ora ricevo adesioni e conferme da persone religiose e non che mi sono grate per aver avuto il coraggio di trattare con la competenza e l’onestà di un teologo cristiano, anzi cattolico, la questione dell’eutanasia.

Nella vita di tutti i giorni, lindividuo può provare la piccola felicità di un istante di soddisfazione, per esempio quella data da una parola gentile, un gesto cordiale o il ringraziamento per una buona azione. A volte può anche conoscere la grande felicità di un’esperienza momentanea esaltante, come il trasporto della musica, il contatto travolgente con la natura o l’estasi dellamore. C’è solo una cosa che l’uomo non è in grado di fare: prolungare il buonumore. La supplica che Faust rivolge al momento del massimo gaudio – «Fermati, sei così bello!» – non è pronunciata per caso e resta inascoltata.

All’uomo, tuttavia, anziché una felicità perpetua, sembrerebbe possibile un’altra cosa: una serenità di fondo stabile che gli impedisca di perdere la speranza, persino nelle situazioni disperate, e che alimenti la sua fiducia. In altre parole, accettare, in linea di massima, la vita così com’è, ma senza rassegnarsi a ogni cosa. Una serenità di fondo consente pertanto di vivere in armonia, in pace con se stessi. Mi domando allora: un simile atteggiamento non si può conservare anche di fronte alla fragilità e alla caducità umane, fino alla morte?

L ars moriendi, larte di morire”, è un argomento che mi affascina sin dagli anni Cinquanta, quando mio fratello Georg soffrì per mesi di un tumore inguaribile al cervello, per poi morire a causa di un accumulo d’acqua nei polmoni. Si è imposta ancora di più alla mia attenzione da quando, a partire dal 2005 circa, il mio caro collega e amico Walter Jens ha iniziato, nonostante le migliori cure, a vegetare nella nebbia della demenza, fino a spegnersi nel 2013. Queste esperienze hanno rafforzato la mia convinzione: non voglio morire così! Allo stesso tempo, tuttavia, mi hanno dimostrato quanto sia difficile cogliere il momento giusto per una morte affidata alla propria responsabilità.

Lintenzione di non protrarre a tempo indeterminato la mia esistenza terrena è un caposaldo della mia arte del vivere e parte integrante della mia fede nella vita eterna. Quando arriva il momento, ho il diritto, qualora ne sia ancora in grado, di scegliere con la mia responsabilità quando e come morire. Se mi venisse concesso, vorrei spegnermi in modo consapevole e dire addio ai miei cari con dignità. Per me, morire felici non significa morire senza malinconia né dolore, bensì andarsene consensualmente, accompagnati da una profonda soddisfazione e dalla pace interiore. Del resto, è questo il significato della parola greca euthanasia , entrata in molte lingue moderne, ma storpiata vergognosamente dai nazisti:morte felice”, buona”, giusta”, lieve”, “bella”.

Un autentico Requiescat in pace («Riposi in pace»), insomma. Dopo aver sistemato tutto ciò che andava sistemato, con gratitudine e con una preghiera fiduciosa. Per me, questo atteggiamento si fonda in ultima analisi sulla speranza di una vita eterna che è il compimento definitivo dell’esistenza in un’altra dimensione della pace e dellarmonia, dellamore durevole e della felicità permanente. È questa la mia idea del morire felici, che trae ispirazione dalla Bibbia.

Ciò dovrebbe bastare a chiarire un concetto: questa eutanasia non ha nulla a che vedere con un auto-assassinio” arbitrario ed empio, pianificato per provocare l’autorità ecclesiastica, come mi accusano alcuni sia sui media sia con lettere personali. Evidentemente, però, certi rappresentanti della dottrina ecclesiastica”, da cui la mia concezione si dissocia, non hanno ancora capito che anche la nostra visione dellinizio e della fine della vita umana si trova al centro di un mutamento di paradigma epocale, che non si può penetrare e dominare con limmaginario e la terminologia della teologia medievale né con quelli della teologia ortodosso-protestante. Oggi è necessario prendere in considerazione il notevole prolungamento della vita consentito dai progressi, prima inimmaginabili, della medicina moderna e delligiene, ma bisogna tenere conto anche delle idee successive, che sottolineano i limiti di una medicina basata su argomenti e criteri esclusivi delle scienze naturali e della tecnica. È aumentata la percezione della necessità di dare un fondamento etico a una medicina globale che tuteli l’umanità del paziente. Anche nella Chiesa cattolica esiste, sin dallinsediamento di papa Francesco, la speranza di una maggiore franchezza e di un aiuto caritatevole in questioni che, è risaputo, sono assai complesse. Per il pontefice, il cristianesimo non è un’astratta ideologia dottrinaria, bensì una via che si impara a conoscere percorrendola.

(Traduzione di Chicca Galli)