intervista a Emiliano Fittipaldi di Valerio Gigante
da www.micromega.net
- 10 novembre 2015
Leggendo il libro di Emiliano Fittipaldi “Avarizia: Le carte che
svelano ricchezza, scandali e segreti della Chiesa di Francesco” (Feltrinelli,
2015, pp. 231) uno dei due saggi appena usciti sul Vaticano, i suoi interessi
finanziari, i suoi scandali, i suoi sprechi, l’impressione che se ne coglie è
che, regnante papa Francesco, nulla di significativo pare cambiato rispetto al
clima che portò nel 2013 alle clamorose dimissioni di Benedetto XVI.
Ciò che emerge – nonostante i media laici e cattolici continuino
a dipingere Francesco come la candida pecora circondata da un branco di lupi – è
il dubbio che dietro l’elezione al soglio pontificio di Bergoglio si sia mossa
una gigantesca operazione ideologica che attraverso il papa che assumeva il nome
del poverello d’Assisi intendeva coprire la prosecuzione delle stesse dinamiche,
degli stessi scandali, delle stesse lotte di potere, degli stessi giganteschi
interessi economico-finanziari che avevano caratterizzato l’epoca di Benedetto
XVI e quelle precedenti. Salvo che in questi ultimi due anni l’opinione pubblica
è stata persuasa a colpi di servizi radiotelevisivi, editoriali, interviste,
dirette fiume su ogni visita, discorso, celebrazione del papa che tutto stesse
rapidamente cambiando. Anzi, che in gran parte lo fosse già.
Insomma, tutto quello che questo nuovo “Vatileaks” sta portando
alla luce non riguarda pratiche del passato, ma comportamenti tuttora in atto.
In molti – ovviamente – lo sapevano già, senza bisogno del benemerito libro di
Fittipaldi, che si aggiunge a quello di Nuzzi. Ora però ci sono le carte. Ed
esse, così come avvenne nel 2012-2013, mostrano nero su bianco ad una opinione
pubblica la cui percezione era ormai stata orientata in senso decisamente
diverso, che il Vaticano resta ciò che è sempre stato.
Per questo, il libro di Fittipaldi, che oltre ai documenti
presenta una rilevantissima ed approfondita inchiesta, svolta peraltro su
moltissimi fronti, è stato oggetto di durissime critiche, precedute dal vano
tentativo di ridurre la questione alla semplice attività di due “corvi” dediti a
torbidi complotti contro il papa.
Scorrendo le pagine del libro, si viene invece a scoprire che la
Fondazione Bambin Gesù – che dovrebbe occuparsi di finanziare la ricerca sulle
malattie infantili all’interno di una struttura ospedaliera peraltro pagata
quasi interamente dallo Stato Italiano – stornava 200mila euro destinati alla
ricerca per la ristrutturazione dell’appartamento di circa 300mq del card.
Bertone in vaticano (il quale ha detto che il suo uomo al Bambin Gesù – Giuseppe
Profiti – avrebbe fatto tutto ciò “a sua insaputa”); che ci sono ecclesiastici
che vivono in case ben più grandi di quella di Bertone; che mons. Viganò – il
moralizzatore che diede il via al primo Vatileaks – possiede un ingentissimo
patrimonio ed è anche in causa con il fratello prete che lo accusa di avergli
sottratto milioni di euro frutto di una eredità di famiglia; che il card. Pell,
nominato da Francesco (sì, proprio da lui!) a capo di un nuovo potente
superdicastero con il compito di risanare l’economia vaticana, è riuscito a
spendere da luglio 2014 a gennaio 2015 ben 501 mila euro (per spese – scaricate
sulle casse della Congregazione vaticana di cui è prefetto – come un
sottolavello da 4600 euro, tappezzeria per 7292 euro, 47 mila euro per mobili e
armadi, ma anche per vestiti di lusso acquistati da Gammarelli, sartoria storica
che dal 1798 veste la curia vaticana); e ancora: che alla faccia della
propaganda sulla sobrietà inaugurata dal papa tutti coloro che collaborano con
il card. Pell al risanamento delle finanze vaticane viaggiano in business class
anche per spostamenti brevi; che il Vaticano incassa 60 milioni di euro l’anno
vendendo benzina e tabacchi in due punti vendita duty free cui possono accedere
ben 41mila persone; che, mentre si diceva che papa Francesco aveva “ripulito” lo
Ior, 100 tra imprenditori, professionisti, forse politici italiani hanno ancora
conti nella “banca vaticana” (tra loro anche indagati dalla giustizia italiana
per reati fiscali).
Tutto ciò, per giunta, all’insaputa dell’Uif – l’Ufficio
Informazioni Finanziarie della Banca d’Italia, che attende da tempo una lista
dei presunti evasori che hanno conti aperti allo Ior. Lista che non è mai giunta
a destinazione.
C’è poi la questione del patrimonio immobiliare che il Vaticano
possiede a Roma: un tesoro che vale circa 4 miliardi di euro. Alcuni di questi
immobili sono affittati a vip e boiardi di Stato per cifre assolutamente fuori
mercato (ma se il papa aveva chiesto agli istituti religiosi di aprire le porte
a migranti e rifugiati, perché le “sue” case sono occupate da ricchi e
potenti?); e ancora: le offerte che i fedeli regalano per la carità del papa
ogni anno attraverso l’Obolo di San Pietro non vengono tutte spese per i più
poveri, ma ammucchiate su conti e investimenti che hanno raggiunto i 400 milioni
di euro.
Nella Chiesa cattolica, racconta il libro di Fittipaldi, anche
per diventare santi e beati servono soldi. Centinaia di migliaia di euro, che
servono soprattutto (ma non solo) per pagare il “postulatore”, cioè colui che
viene incaricato di indagare sulla presunta santità del candidato e trovare le
prove dei miracoli che egli avrebbe compiuto (ne serve almeno uno per diventare
beato; almeno due per la santità). In media, la santità arriva così a costare
tra i 400mila e i 500mila euro.
Di tutto questo, e delle ripercussioni che il suo libro inchiesta
avrà sull’opinione pubblica e sulla Chiesa cattolica, ne abbiamo parlato con
l’autore.
Il tuo libro è stato accolto in modo contrastante dai giornalisti
che si occupano di informazione ecclesiastica. Molti ti hanno rimproverato di
non fare un buon servizio alla causa di papa Francesco. Ma il ruolo di un
giornalista, di chi fa una inchiesta, è quello di servire una "causa"?
Quello che hai rilevato non è avvenuto solo nel mondo
dell’informazione vaticana, ma nel mondo giornalistico tout court. Basta pensare
che Massimo Franco nel corso di una trasmissione televisiva mi ha incalzato
chiedendomi se prima di pubblicare il mio libro non mi fossi posto il dubbio di
essere stato strumentalizzato da qualcuno. È una domanda maligna, perché un
giornalista in generale e uno di inchiesta in particolare ha il compito di
trovare una notizia – se ne è capace –
verificarla, capire se sia di interesse pubblico, se sia
deontologicamente corretto pubblicarla e poi, fatto questo, ha il diritto ma
anche il dovere di pubblicare, altrimenti è sospettabile di essere un potenziale
ricattatore, che tiene per sé informazioni rilevanti. Una domanda del genere di
quella di Franco in Paesi come gli Stati Uniti non avrebbero mai potuto farla.
Fatte le dovute differenze, sarebbe stato come chiedere ai giornalisti che
svelarono il Watergate portando successivamente Nixon alle dimissioni se fossero
stati strumentalizzati dalle loro fonti.
La domanda di fondo è invece secondo me questa, e cioè se noi
giornalisti dobbiamo raccontare ciò che il potere politico, economico,
ecclesiastico rappresenta di se stesso; oppure, come credo di aver fatto,
raccontare quello che il potere non vuole che sia raccontato.
La figura, il carisma, i modi informali e lo stile sobrio del papa hanno, di
fatto, contribuito ad occultare all’opinione pubblica ed all’informazione ciò
che invece il tuo libro ha svelato. Dalle tue ricerche che immagine ti sei fatto
del ruolo svolto dal papa in questi oltre due anni di pontificato?
Il mio libro racconta quello che non il papa, ma la propaganda
vaticana era riuscita ad occultare, sostenendo che sotto Francesco la riforma
della Chiesa fosse stata già in fase avanzata. In realtà io penso che Francesco
stia veramente tentando di riformare la Chiesa. Lo sta facendo in maniera molto
cauta, anche perché è papa da soli 2 anni e mezzo, e che abbia trovato delle
resistenze straordinarie, come abbiamo visto anche durante il Sinodo sulla
Famiglia. La Chiesa povera dei poveri che Francesco auspica e chiede ai suoi
cardinali che sia realizzata è ancora molto lontana dal diventare realtà.
Ovviamente un giornalista ha il compito, se riesce a scoprirlo, di raccontare
questa verità, anche se molto scomoda perché imbarazza non soltanto il Vaticano,
ma tutti quelli che nei mass media hanno voluto fare da semplici amplificatori
della propaganda vaticana, senza approfondirla e svelarne le contraddizioni.
È però un fatto incontrovertibile che il card. Pell, sulla cui
figura ti soffermi a lungo nel tuo libro, lo abbia voluto papa Francesco…
Rispondo con una battuta: il papa avrebbe bisogno di un buon
direttore del personale… nel senso che è vero: i commissari della Commissione
referente sull’Organizzazione della Struttura Economico-Amministrativa della
Santa Sede (Cosea) sono stati scelti da lui; e anche Pell, il braccio destro
economico della nuova gigantesca segreteria dell’economia è stato nominato da
Bergoglio. Ma il papa viene da Buenos Aires, non può conoscere tutto e tutti. Si
è, a mio giudizio, fidato di qualcuno in Curia che gli ha consigliato di
scegliere Pell perché il cardinale australiano ha una fama di ottimo
amministratore finanziario, che si è formata sin dai tempi in cui era
arcivescovo. Si tratta però di una fama che nasconde più di una insidia, nel
senso che Pell, per tutelare la sua diocesi dal punto di vista finanziario, ha
attuato una politica molto aggressiva nei confronti delle vittime dei pedofili
che chiedevano alla sua Chiesa, quella di Sydney, ingenti risarcimenti. Una
relazione della commissione di inchiesta sulla pedofilia istituita dal governo
di Canberra, di cui riferisco nel mio libro, definisce il comportamento di Pell
addirittura non in linea con quello di un buon cristiano. Insomma, Pell era già
chiacchierato al tempo della sua nomina. E chiamarlo in Vaticano è stata senza
dubbio una scelta sbagliata.
C’è poi la questione degli immobili vaticani affittati a prezzi
di favore a vip, raccomandati e potenti di vario tipo. Un’altra bella
contraddizione per il papa che fa costruire le docce per i poveri dentro le mura
vaticane e chiede a diocesi ed istituti religiosi di aprire le proprie case ai
migranti ed ai rifugiati…
In questi anni ci si è concentrati solo sul povero Bertone, per
la storia del suo appartamento che poi è risultato essere di dimensioni
inferiori, seppure cospicue, rispetto a quello che è stato scritto sui giornali.
Ma ci sono ecclesiastici che vivono in appartamenti molto più grandi di quello
di Bertone. Sono circa 5000 gli appartamenti di Propaganda Fide, molti sfitti,
che valgono una cifra che secondo me è sottostimata, ma che si aggirerebbe
intorno ai 4miliardi di euro. Questa cifra permette però di fare una
significativa considerazione. Alla luce di essa, infatti, la storica inchiesta
dell’Europeo del 1977 che quantificava in un quarto circa degli immobili
presenti a Roma quelli di proprietà riconducibili alla Chiesa cattolica
risulterebbe decisamente esagerata, anche al netto di tutti gli immobili di
proprietà della diocesi di Roma, delle varie Congregazioni ed istituti
religiosi, delle arciconfraternite, ecc. Non si arriva comunque nemmeno vicini
ad un quarto del valore totale del patrimonio immobiliare presente a Roma,
stimato attorno ai 590 miliardi. Un aspetto che ridimensiona moltissimo quello
che ha rappresentato uno dei cavalli di battaglia della propaganda
anticlericale. Una ulteriore dimostrazione che il mio libro intende solo fare
chiarezza e verità. Non è certo un libro pregiudizialmente anticlericale.
Altrimenti questi dati nemmeno li avrei riportati.
Resta però il fatto che se il papa non sa chi abita negli
immobili di proprietà del Vaticano sa però come e dove vivono i suoi cardinali…
Certo, lo sa e a lui piacerebbe che i cardinali si comportassero
in maniera più sobria. Lo stesso card. Parolin, lo scrivo nel mio libro, era a
Santa Marta ma la scorsa estate si è spostato nel Palazzo Apostolico. Più in
generale, è tutta la gestione del patrimonio immobiliare che fa discutere. Ci
sono affitti a prezzi molto bassi. La Cosea ha spiegato che per anni sono state
accettate trattative al ribasso sugli affitti. Un andazzo che Filoni, il
prefetto di Propaganda Fide, sta cercando di cambiare in modo che alla scadenza
degli attuali contratti i prezzi di locazione possano essere adeguati alle
tariffe di mercato. Questo per dire che Francesco e chi segue la sua linea cerca
comunque di darsi da fare.
Arriviamo alla questione forse più scandalosa tra tutte quelle
che racconti, quella dello Ior. Lì la propaganda che parlava di rivoluzione,
trasparenza, pulizia era in atto da anni, dai tempi di Benedetto XVI. Tutti
raccontavano di una dinamica inarrestabile di adeguamento agli standard
internazionali. Invece…
Allo Ior è ancora in atto un enorme scontro di potere. E a
governarlo sono stati messi personaggi controversi, come Joseph Zahra e
Jean-Baptiste de Franssus. Soprattutto Zahra, finanziere maltese di un paese
fino al 2010 considerato paradiso fiscale. A maggio Zahra aveva chiesto al papa
il permesso di aprire per conto del vaticano una Sicav (una società
d'investimento a capitale variabile) in Lussemburgo. Intendeva così gestire più
liberamente i miliardi dello Ior. In un paese, per di più, che presentava
indubbi vantaggi dal punto di vista fiscale. Il progetto era stato approvato dal
Consiglio di sovrintendenza della banca, ma poi è stato bloccato dalla
Commissione cardinalizia di vigilanza e dal papa in persona. Poi c’è Renè
Brulhart, capo dell’Aif, che ha sottoscritto un accordo di gentleman agreement
con la Banca d’Italia sulla trasparenza; nonostante ciò, si scopre che sono
ancora aperti presso lo Ior un centinaio di conti intestati a laici che non
dovrebbero averlo. E in ogni caso nessuno sa dove siano finiti i soldi dei
vecchi clienti fuoriusciti negli ultimi anni. Migliaia di posizioni che restano
misteriose; capitali che, contrariamente alla favoletta della trasparenza, non
sappiamo dove siano andati. Si sospetta in parte in Germania, dove le autorità
antiriciclaggio sono assai deboli rispetto a quelle di altri Paesi europei e
della stessa Uif italiana. Se poi si aggiunge che lo Ior ha chiuso il 2014
realizzando utili per circa per circa 70 milioni, ma che i 4 fondi istituiti
presso lo Ior che dovrebbero fare beneficienza non hanno praticamente mosso
denaro, il quadro si fa ancora più desolante. Anche perché l’unico fondo che ha
fatto un po’ di beneficienza è il “fondo missioni”, che negli ultimi due anni ha
stanziato solo 17mila euro!
Questo scandalo esplode a pochi anni di distanza dal precedente.
Oggi il re, cioè la Chiesa gerarchica (e forse anche il papa), è di nuovo nudo.
E rivestirlo per l’ennesima volta non sarà facile. Cosa pensi succederà ora
nella Chiesa?
Sono un sostenitore del papa, di cui ho grande fiducia. Ne vedo i
limiti ma anche la grandezza. Spero quindi che il mio libro permetta a Francesco
di avere le mani più libere. I fatti raccontati nel mio libro in tanti forse li
intuivano, alcuni li sapevano, ma ora tutti hanno la possibilità di verificarli.
Tanto più che ad una settimana dall’uscita delle anticipazioni sul mio libro non
c’è stata una smentita, nemmeno su qualche aspetto secondario dell’inchiesta.
Tutto ciò consentirà – almeno è ciò che auspico – al papa di agire in maniera
più rapida ed incisiva. Anche perché ora c’è un’opinione pubblica che comincerà
ad esigere reali cambiamenti. Assai più che in passato. E al Vaticano non
basteranno più intenzioni, dichiarazioni, gesti simbolici come l’apertura delle
docce per i barboni. Tutte cose assolutamente utili, ma che diventano propaganda
se non sono accompagnate da reali scelte che la Chiesa è chiamata a fare a
favore della trasparenza e in ultima analisi per chi ha veramente bisogno.
Credo insomma che a maggior ragione dopo il mio libro Francesco,
assieme con alcuni uomini che sono al suo fianco, a partire dal segretario di
stato Parolin, potrà avviare un’opera riformatrice ancora più decisa