La riforma della chiesa che riparte dal sinodo
di Vito Mancuso
“la Repubblica” del 27 ottobre 2015
Il processo riformatore iniziato da Giovanni XXIII con il Vaticano II era rimasto a metà, ma ora, specialmente dopo questo Sinodo, è ripartito. Si tratta di una ripartenza timida, così timida che qualcuno può persino negare che vi sia. A mio avviso però le cose non stanno così, e la ripartenza riformistica è reale.
Dopo l’approvazione a maggioranza qualificata di tutti i 94 paragrafi della relatio finalis , compresi quelli sui divorziati risposati, papa Francesco ha infatti ora dalla sua l’esplicito mandato dell’episcopato mondiale per proseguire nella sua azione innovatrice. Con quale obiettivo? Con quello di completare il sogno di Giovanni XXIII, cioè il processo di “aggiornamento”, termine- pilota consegnato ai padri conciliari del Vaticano II e ritenuto operazione indispensabile per la Chiesa cattolica alle prese con la modernità. Fu per perseguire questo obiettivo che Giovanni XXIII convocò il Vaticano II nel 1959 e lo aprì nel 1962. L’anno dopo però egli morì e toccò a Paolo VI compiere l’opera conciliare: il papa bresciano accompagnò il processo riformatore sulla morale sociale della Chiesa cattolica, ma non ebbe il coraggio di giungere alla morale familiare e sessuale. Fu l’inizio di una progressiva ripresa della prospettiva conservatrice che poi trovò in Giovanni Paolo II un autorevole interprete e in Benedetto XVI il suo coronamento. Papa Francesco ha interrotto tale processo di restaurazione e ora il sinodo dei vescovi ha detto sì alla sua impostazione, conferendogli di fatto il via libera per rendere legislazione la sua predicazione profetica.
Da parte conservatrice si afferma che la relatio finalis del Sinodo, persino in quei paragrafi che hanno ottenuto per un soffio la maggioranza qualificata dei due terzi, non contiene nulla di nuovo che non avessero già detto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Dal punto di vista di una valutazione freddamente contenutistica può anche essere così, ma come spiegare allora la forte
opposizione di un terzo dei vescovi che ha votato contro? Possibile che tali vescovi ignorassero che si trattava semplicemente di quanto già stabilito dai pontefici precedenti? Ovviamente no, visto peraltro che quei vescovi sono proprio coloro che maggiormente rimpiangono Wojtyla e Ratzinger. In realtà, al di là delle questioni particolari, il punto è che si trattava di dire sì oppure no alla nuova impostazione di papa Francesco, cioè a una chiesa che pone il baricentro non nella “verità”, come amava ripetere Benedetto XVI, ma nella “misericordia”, come si legge nel motto personale di Bergoglio: “ Miserando atque eligendo ”. E questo è avvenuto: i vescovi hanno detto sì alla misericordia, ovvero al primato della dimensione soggettiva rispetto a quella oggettiva. Ora papa Francesco ha l’appoggio dell’episcopato mondiale per rendere legge della Chiesa il primato della misericordia.
Occorre poi dire che se anche i paragrafi più discussi non contengono alcun riferimento diretto all’accesso alla comunione eucaristica per i divorziati risposati, in realtà presentano le basi che lo rendono possibile: affermano infatti che l’obiettivo della comunità cristiana consiste nella «integrazione » di tutti i fedeli e indicano che tale obiettivo deve essere perseguito mediante il metodo del «discernimento». Non si tratta cioè di regole dottrinali oggettive che vanno applicate “senza se e senza ma”, ma di un metodo che interpreti la situazione concreta delle persone concrete per servire al meglio la loro fede e la loro felicità. Il passaggio decisivo si trova a mio avviso nel paragrafo 84: «Occorre discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possono essere superate». Qui si parla chiaramente di un superamento di forme ecclesiastiche esistenti, dicendo, nel modo più esplicito, che occorre andare oltre lo status quo. Oltre verso dove? Verso il primato delle persone e non delle regole. È esattamente in questo passaggio che si gioca il rinnovamento del Vaticano II voluto da papa Giovanni. Qui appare l’apertura della Chiesa alla modernità, visto che nella sua essenza filosofica la modernità è consistita proprio nella proclamazione del primato della libertà individuale rispetto alla oggettività delle istituzioni tradizionali.
Ma non si tratta solo della modernità. Ancora più radicalmente si tratta, come ripete con insistenza papa Francesco, del Vangelo. Ovvero della capacità della Chiesa di saper concretizzare la celebre affermazione di Gesù: “Il sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato” (Marco 2,27). Frase che tradotta qui e ora diviene: la comunione eucaristica è stata fatta per l’uomo, non l’uomo per la comunione eucaristica.
Naturalmente si tratta solo, come ho già detto, di un primo timido passo, ma tale passo era il massimo che si potesse ottenere alla luce delle divisioni dottrinali e soprattutto geografico-culturali che pervadono l’episcopato cattolico, diviso tra un Nord Europa insofferente delle limitazioni della dottrina tradizionale che separano la Chiesa dal corpo della società, e i Paesi dell’Est europeo, in primis la Polonia, che si ritrovano sulla stessa linea dei Paesi africani.
Cosa ci si potrà attendere ora? Naturalmente molto dipenderà dal documento con cui papa Francesco sigillerà i lavori del Sinodo, ma se, com’è prevedibile, anch’egli insisterà sul discernimento, il risultato da qui a qualche anno potrebbe essere quello di una Chiesa cattolica abbastanza diversa quanto a disciplina dei sacramenti a seconda delle zone geografiche: rigorista nei Paesi dove prevale il primato della “verità”, tollerante in altri dove prevale il primato della misericordia. Anzi la divisione potrebbe riprodursi anche all’interno di uno stesso Paese, persino delle stesse città. Sarà questa frammentazione il prezzo da pagare al discernimento, unico compromesso oggi realizzabile alla luce delle grandi differenze nella Chiesa cattolica? Oppure il documento di papa Francesco sarà tale da imporre a tutti il primato della misericordia e delle persone concrete rispetto ai sabati di ogni epoca?