Le piccole aperture di Francesco
di Giovanni Franzoni*
“MicroMega” n. 6 del settembre 2015
risposte alle 8 domande di MicroMega su papa Francesco
1. Per quanto riguarda l’organizzazione bancaria del Vaticano conosciuta con il nome di Ior (Istituto per le opere di religione), ci sono state, con papa Francesco, diverse sostituzioni di cariche fondamentali. Ma l’esito concreto, e cioè la conoscenza dei titolari dei conti depositari nell’istituto, mi sembra ancora impervia e, forse, nasconde realtà altamente compromettenti.
Non si conosce per esempio se, nel recente e anche recentissimo passato, la criminalità organizzata abbia usato il segreto bancario dello Ior per occultare grossi fondi e compiere manovre torbidissime. È rimasta misteriosa la vicenda della sepoltura di Enrico – detto Renatino – De Pedis, boss della banda della Magliana, nella basilica romana di Sant’Apollinare. Il responsabile del sepolcro, alle domande degli inquirenti, ha saputo dare solo una vaga risposta, giustificando tale sepoltura con il fatto che De Pedis era un grande benefattore dei poveri che gravitavano attorno alla chiesa, e poi coprendosi, affermando che quella anomala sepoltura era stata autorizzata dal cardinale vicario di Roma, Ugo Poletti.
Alla vicenda è legata la scomparsa, nel giugno 1983, di Emanuela Orlandi, figlia di un funzionario del Vaticano. Da informazioni date alla magistratura dalla convivente di De Pedis si è poi insinuato che, dopo la scomparsa della ragazza, monsignor Paul Marcinkus, presidente dello Ior, l’avrebbe visitata in una villa di Torvaianica e l’avrebbe rassicurata che tutto sarebbe finito bene.
Da altre voci si è invece detto che la ragazza sarebbe stata uccisa e poi sepolta in una colata di cemento in un pilastro.
Interrogato dal fratello di Emanuela Orlandi, che a tutt’oggi non si è rassegnato a non conoscere la sorte di sua sorella, papa Francesco, a quanto è stato riferito, ha risposto: «Emanuela è in cielo». La risposta mi pare inaccettabile: le cronache quotidiane, infatti, ci informano che i familiari di persone perite in qualche naufragio o terremoto cercano come ultima consolazione di ritrovare la salma diun congiunto per darle sepoltura e onori funebri.
Nella primavera 2015, in un’edizione della trasmissione televisiva Report, diretta dalla giornalista Milena Gabanelli, è risultato che una persona interna alle istituzioni finanziarie vaticane affermava che fino a oggi è impossibile conoscere qualcosa di realmente definitivo e chiaro sui conti dello Ior. Intanto la magistratura, proprio nei nostri giorni, si accinge a chiudere definitivamente le indagini sul caso Orlandi; decisione alla quale il fratello ancora tenacemente si oppone. Mi sembrerebbe più che opportuno che papa Francesco smettesse di coprire la vicenda con generiche affermazioni spiritualistiche.
In quanto poi alla riforma – in generale – della curia romana, ritengo che, al di là di semplificazioni pur opportune, e di accorpamenti di dicasteri e uffici, il nodo di fondo sia quello della drastica riduzione dei poteri che i pontefici, lungo i secoli, e per vicende di cui ovviamente essi, oggi, non portano né merito né colpa, hanno posto, o riposto, o trattenuto nelle loro mani. In concreto: occorrerebbe che i vescovi delle Chiese locali (diocesi), o organizzati in conferenze episcopali nazionali, potessero avere il diritto di assumere decisioni importanti senza più delegarle sempre alla curia romana. E il diritto fondamentale che, da Roma, dovrebbe tornare alle Chiese locali sarebbe quello della scelta del loro pastore. Salvo casi eccezionali (in paesi dove vi sono persecuzioni, o la guerra, o l’esercizio della libertà religiosa è violentemente coartato), l’ultima parola per la scelta del proprio vescovo non dovrebbe spettare al vescovo di Roma, tramite la sua curia, ma alle singole diocesi, in dialogo con la rispettiva Conferenza episcopale. So benissimo che la cosa è delicata e complessa, e che occorre procedere con ponderazione. Ma, in definitiva, fino a che l’ultima parola (e spesso anche la prima) per la scelta del vescovo di una data diocesi (almeno nella Chiesa latina) è nelle mani di Roma, non sarà stato attuato il principio di sussidiarietà anche nell’esercizio del potere all’interno della Chiesa, pur fatto balenare al Concilio Vaticano II; e, dunque, la prospettata – dai papi Wojtyła, Ratzinger e Bergoglio – riforma del modo di esercizio del ministero petrino sarà, in pratica, sempre differita. Nei primi secoli della Chiesa (e anche oggi in rarissime diocesi, nella Mitteleuropa) era la Chiesa locale, con la partecipazione di tutti, a scegliere il proprio pastore. E sono stati scelti vescovi buoni o meno buoni: non c’era la panacea! Oggi sarebbe la stessa cosa ma, in fondo, la situazione sarebbe più sana e coerente con una Chiesa comunione di Chiese «popolo di Dio». Più il papa fa il vescovo di Roma – cardine della comunione tra le Chiese, secondo la dottrina cattolica, che io condivido – e meno una specie di «vescovo del mondo», più il suo ministero petrino potrà essere riconosciuto, anche al di fuori della Chiesa cattolica romana.
2. La Chiesa cattolica istituzionale, nella quale il vescovo di Roma ha un indiscusso primato, troppe riabilitazioni dovrebbe fare per restituire giustizia a tutti i pensatori che hanno cercato con laboriosa tenacia di penetrare il messaggio evangelico e di confrontarlo nel corso dei secoli con l’evoluzione delle culture e dei linguaggi!
Non per nulla, agli inizi del Novecento la stessa parola «modernismo» era etichetta di «deviazione del messaggio consegnato alla Chiesa» e i promotori della ricerca venivano marcati con la definizione di novatores (innovatori). E sappiamo le devastazioni compiute, anche nei ranghi ecclesiastici, sotto Pio X e con il suo consenso, per sopprimere voci libere che indicavano vie possibili, sagge e praticabili per annunciare l’Evangelo in modo credibile e comprensibile a un mondo moderno.
Per fare, oggi, una proposta la più moderata possibile bisognerebbe chiedere la riabilitazione almeno di coloro che sono vivi: Hans Küng, Ivone Gebara, Gustavo Gutiérrez e Leonardo Boff… tanto per fare alcuni esempi. L’annunciato Giubileo «straordinario» potrebbe essere l’occasione nella quale papa Francesco faccia questo gesto. Lo farà? Spero e aspetto.
Storicamente parlando, constatiamo con rammarico che – di norma – nella Chiesa romana (ma anche altrove!) i profeti sono contrastati in vita, o emarginati dall’istituzione ecclesiastica. Saranno, e non sempre!, riabilitati post mortem. Ma anni e anni dopo la morte: la prudenza non è mai troppa! Non sia mai che si riabilitino personalità mentre sono ancora in vita quei prìncipi ecclesiastici e prelati che operarono tenacemente perché esse fossero condannate, punite o emarginate!
3. A me non sembrerebbe opportuno che il papa intervenga con autorità sul dibattito in corso sui citati argomenti. L’esempio prodotto – cioè l’intervento autoritario di Paolo VI che sottrasse al dibattito conciliare il tema della contraccezione farmacologica e lo affrontò poi con autorità vietandola – non dovrebbe riproporsi più. Sarebbe il caso che Francesco sui temi indicati dicesse il rovescio di quanto affermato dai suoi immediati predecessori? La cosa migliore, a mio parere, è che l’attuale vescovo di Roma si ponga come garante della libertà di espressione e di confronto tra le varie posizioni: così facendo si renderebbe veramente utile e promotore di un libero dibattito che non degeneri in rissa o in rinnovate condanne.
Constato, però, che Francesco continua a difendere l’Humanae vitae, come ha fatto in gennaio parlando alle famiglie, nelle Filippine. Tutti i tentativi compiuti (lo vedo anche nell’Instrumentum laboris del sinodo 2015 sulla famiglia) per ribadire comunque la dottrina dell’enciclica emanata da Paolo VI nel 1968 sono, infine, falliti, perché, per salvare a tutti i costi le contraddizioni del magistero, caricano poi la coscienza dei coniugi di pesi insopportabili. Mi sembra arrivato il momento di dire che il «no» alla contraccezione non può essere seriamente fondato su motivazioni bibliche, storiche, antropologiche. Senza questo atto di doveroso coraggio storico il magistero papale rischia l’irrilevanza nella vita dei milioni di coppie cattoliche. Il magistero ecclesiastico dovrebbe lietamente annunciare: «Pace agli sposi di buona volontà», lasciando ad essi di decidere liberamente, in scienza e coscienza, i modi appropriati (aborto escluso) per regolare, in modo responsabile, le nascite. Nulla di meno e nulla di più. Ma sarebbe proprio così difficile, un tale annunzio?
4. Circa i privilegi derivanti alla Chiesa cattolica istituzionale in Italia in seguito ai Patti lateranensi del 1929 e al regime concordatario che a essi è rigorosamente vincolato, si deve dire che la revisione del concordato attuata nel 1984, al tempo del governo Craxi e del cardinale Casaroli (segretario di Stato vaticano), con le Intese successive a esso collegate, è del tutto inadeguata. Pur tagliando «rami secchi», infatti, il nuovo accordo ha confermato alla Chiesa cattolica corposi privilegi.
A proposito del modo con cui lo Stato di fatto finanzia la Chiesa cattolica – il famoso 8 per mille! – l’attuale normativa stabilisce che le quote «non espresse» vadano ripartite in proporzione rispetto alle quote «espresse» (in altri paesi, che hanno una normativa simile all’8 per mille o con percentuale minore, esistono solo le quote «espresse», e non questo interessato e anomalo sovrappiù!).
La Chiesa cattolica istituzionale ne esce così altamente favorita e utilizza tali abbondanti risorse (derivanti dalla spartizione delle quote «non espresse») non solo per interventi socialmente benefici, ma anche per il sostentamento del clero e per il culto, che già godeva delle risorse di un fondo specifico.
Il fatto poi che molti immobili ecclesiastici siano considerati esentabili dalle tasse perché finalizzate ad opere religiose è, in pratica, un modo per eludere la tassazione sugli immobili utilizzati a scopo
di lucro.
Particolarmente invadente nella designazione delle e degli insegnanti di religione cattolica nelle scuole pubbliche è il fatto che la nomina, a prescindere da titoli di studio, sia infine decisa insindacabilmente dalle autorità ecclesiastiche. E se queste togliessero il loro placet (ad esempio, essendo l’insegnante «colpevole» di aver divorziato, e dunque così rappresentando un «cattivo esempio» per gli alunni!) quel/quella docente di religione cattolica non potrebbe più insegnare. Il tutto, in uno Stato laico e democratico.
5. L’attribuzione di compiti di grande importanza a persone di genere femminile è stata da tempo invocata da molte parti perché grandi responsabilità sono, di solito, sulle spalle di donne per quanto riguarda la catechesi, le scuole, i collegi, le strutture sanitarie e le forme ricoverative.
Nella quarta sessione del concilio Vaticano II, nel 1965 un vescovo dell’India avanzò l’ipotesi che, anche senza toccare il problema del sacerdozio gerarchico, donne avrebbero potuto ricoprire perfino le massime funzioni diplomatiche che nella Chiesa cattolica romana portano il nome di nunzi. Non se ne fece nulla.
Il problema del sacerdozio alle donne, che la Chiesa anglicana ha affrontato con audacia, ordinando donne pastore e donne vescovi, ha peraltro aspetti assai complessi perché molti autorevoli teologi ritengono del tutto opinabile che Gesù di Nazaret abbia fondato un sacerdozio.
Molte femministe in Italia e anche in altri paesi rivendicano ruoli ministeriali per le donne nella predicazione e nei ministeri ma non aspirano affatto a una ordinazione sacrale. In effetti, la radice della questione è proprio il «sacerdozio». Se Gesù non lo ha previsto – e anzi combatté il sacerdozio del tempio di Gerusalemme – bisognerebbe pensare a una Chiesa dove i ministeri (la diakonia, il servizio: questi sì pensati e proposti da Gesù!) siano affidati dalla comunità a chi, in quella data situazione, possa meglio compierli. Martin Lutero ben comprese il problema. E, dunque, ad essere scelto/a per questo specifico ministero potrebbe essere un uomo o una donna, un celibe o una nubile, uno padre di famiglia o una madre di famiglia, una laica o una suora. Mi rendo ben conto che prospettare una Chiesa romana così immaginata potrebbe sconvolgere quanti ritengono che la sua organizzazione storica sia stata voluta da Cristo. Eppure, sarebbe bello se insieme potessimo riflettere sulle parole e l’esempio di Gesù: forse arriveremmo a mete oggi inimmaginabili. Ma ciò che oggi appare irrealistico, forse domani (tra dieci, cento, mille anni) sarà ovvio e necessario. Se le Chiese ascolteranno ciò che lo Spirito dirà loro.
6. Le celebrazioni nelle case private o in comunità vengono spesso effettuate senza la presenza e l’autorizzazione della Chiesa gerarchica.
Il comportamento dell’episcopato mondiale è, a proposito, piuttosto vario e talvolta, come nei casi citati, eccede, mentre in molti altri casi segue il principio della tolleranza e dell’attesa che i fatti, nel loro spirito partecipativo, divengano comportamenti diffusi e finiscano con il prevalere. È probabile che papa Francesco preferisca non intervenire direttamente con atti definitori e/o repressivi.
In quanto a Noi Siamo Chiesa, ritengo che questo movimento sia stato e sia proprio benefico. Ha anticipato – sempre posto ai margini, almeno in Italia! – di vent’anni temi che ora papa Francesco ripropone. La mia lunga esperienza di cose di Chiesa mi fa supporre che mai e poi mai la Conferenza episcopale italiana dirà una parola di lode per quanto Noi Siamo Chiesa ha fatto. Ma non è con il silenzio che si affrontano i problemi che vive la gente. Anzi, coprendoli con il silenzio,
e differendone la soluzione di anno in anno, di decennio in decennio, tutto diventa piu difficile,
arduo, complicato. E l’amaro prezzo che le gerarchie ecclesiastiche pagano per non volere
assolutamente aprire dialoghi veri, aperti, pubblici. L’attuale vescovo di Roma ha iniziato a
proporre e ad attuare cambiamenti significativi. E stata, la sua, una scelta importante, e aperta a
prospettive promettenti. Ne siamo contenti. Ma resta ancora lunghissimo il cammino che porti a una
Chiesa dove il ≪popolo di Dio≫ possa realmente partecipare alla sua vita ed esprimere il suo punto
di vista. La Cei, del resto, non ha reso noti i risultati, per l’Italia, del questionario su matrimonio e
famiglia in vista del sinodo dell’ottobre 2015 (cosa invece compiuta da altre conferenze
episcopali!): la mentalità del "segreto" continua a dominare sovrana, nel momento stesso in cui si
parla di ≪partecipazione≫… Sono perciò curioso di vedere se nell’imminente Convegno ecclesiale
italiano che, organizzato dalla Cei, a meta novembre a Firenze riflettera sul "nuovo umanesimo",
saranno chiamate tra gli oratori anche voci che si sanno critiche dello status quo ecclesiale e contro
la linea oltranzista del cardinale Ruini in parte ripresa dal cardinale Bagnasco, attuale presidente
della Cei.
7. Sul finire del Novecento, soprattutto nelle Chiese delle Americhe ci furono molte esperienze di
educazione ai ministeri che evitavano la separazione dei giovani proposti per un servizio
comunitario in luoghi separati come nei seminari o nei noviziati.
Va ricordato che negli anni Sessanta del secolo scorso in un monastero benedettino della diocesi di
Cuernavaca, in Messico, il priore sottoponeva i novizi a psicanalisi.
Questa pratica per altro fu molto criticata dal nunzio apostolico: il priore fu deposto e la comunità
sciolta.
Eppure: affiancare all’educazione spirituale l’opera di psicologi laici potrebbe essere molto utile
nell’educazione alla vita in comunità.
Ma, su tutta questa vicenda dolorosissima e scandalosa (la pedofilia del clero!) bisognerà pur dire
una parola di verità: nel post-concilio il papato, la curia romana (a iniziare dalla Congregazione per
la dottrina della fede, per 23 anni guidata dal cardinale Joseph Ratzinger), le conferenze episcopali
non si sono allertate, in linea generale, autonomamente, per stroncare la mala pianta! Mi pare
proprio di no: a scuotere questi soggetti sono stati i processi, intentati dalle vittime assistite da
valenti avvocati, e costati ingentissime somme (milioni di dollari, negli Stati Uniti d’America) a
singole diocesi o alle conferenze episcopali. La tolleranza zero affermata ad esempio da Benedetto
XVI, non veniva da una decisione forte di stroncare, costi quel che costi, uno scandalo
abominevole; veniva soprattutto – in pratica – dalle pressioni dell’opinione pubblica e dalla paura di
dovere pagare un prezzo economico altissimo per le malefatte di vescovi, preti e religiosi.
Papa Francesco ha finalmente preso decisioni coraggiose, come quella di mandare a processo un
vescovo che, da nunzio nella Repubblica dominicana, insidiava bambini e – questa l’accusa – ne
abusava. Ma occorre procedere con alacrità, adottando reali misure antipedofilia. E allora perche,
come succede altrove, le diocesi italiane ancora non si dotano tutte (come ha fatto, per quel che mi
risulta, quella di Bolzano-Bressanone) di un numero verde al quale le vittime possano rivolgersi
senza paura, e sapendo di essere ascoltate con la massima attenzione? Perche non si rende
obbligatorio che, quando un vescovo abbia accertato fatti delittuosi e abbia notitia criminis
compiuto da un suo prete, ne informi immediatamente la magistratura?
8. L’ eutanasia e un nome che nasconde diversissime pratiche mediche indirizzate alla cura di una
vita fragile; fragile per nascita o per patologie, per incidenti o per senilità.
Dietro la parola ≪eutanasia≫ potrebbe nascondersi la soppressione violenta di una persona divenuta
scomoda per la società. In questo caso e chiaramente un crimine.
Ma quando l’eutanasia si accompagna a una crescita di consapevolezza in una persona, nel suo
contesto umano, essa si trasforma in terapia del dolore, e consente alla persona di accettare di essere
accompagnata con sapienza fino all’ultimo momento, accettando le terapie convenienti o
rifiutandole perche contrarie alla volontà e alle scelte del morente.
In questo caso sussiste il rifiuto dell’accanimento terapeutico e l’ultima parola deve essere nella
persona responsabile.
Qualora si preveda che nell’ultimo periodo di vita il degente perda la consapevolezza del suo stato,
e giusto che ciascuno affidi le proprie volontà a uno o più testimoni di sua fiducia.
Per essere esplicito: ritengo del tutto etica la decisione dei genitori di Eluana Englaro di staccare la
spina alla figlia, e quella di Piergiorgio Welby di decidere personalmente di non prolungare oltre
un’esistenza tenuta viva in modo artificiale. Era quella, "secondo natura", vita?
Ritengo percio intollerabile che le gerarchie ecclesiastiche, in Italia almeno, facciano di tutto per
opporsi a una legge dello Stato che, in materia, legiferi. Dovrebbero, infatti, avere consapevolezza
che esso non e uno Stato ≪cattolico≫, ma uno Stato laico e democratico, dove non si può imporre a
tutti quella che e l’opinione dei vescovi di una Chiesa (a sua volta, al suo interno, assai divisa sulle
risposte da dare alla normativa sul ≪fine vita≫ e sui ≪temi sensibili≫).
Spero vivamente che non ci tocchi più di vedere che, con manovre dirette o indirette, la presidenza
della Cei contribuisca a far cadere un governo che legiferi sui "temi sensibili", cosi come i vertici
dell’episcopato operarono per far cadere il governo Prodi che intendeva proporre i Dico al fine di
affrontare con normative ragionevoli la questione delle unioni omosessuali.
Il fondo della questione e che molti vescovi (e tanti preti e laici) vivono "come se" fossimo ancora
in un regime di cristianità, quando Chiesa e Stato erano – pur tra frequenti contrasti – uniti e,
comunque, la "Verità" era riconosciuta essere erga omnes quella proposta dalla Chiesa romana.
Impensabili, dunque, leggi civili su questioni etiche che fossero difformi dall’insegnamento del
magistero ecclesiastico. Quel tempo (come ogni tempo caratterizzato da luci e ombre) e finito.
Dobbiamo essere consapevoli che in uno Stato laico debbono convivere persone con teologie,
filosofie, opinioni differenti: nessuna può imporre come normativa la sua propria Weltanschauung.
Percio, per rispondere ai problemi emergenti dalla società, uno Stato consapevole e dedito al bene
comune, fa leggi sul divorzio, sull’aborto, sulle unioni omosessuali, sul fine vita… Tu ritieni di non
dover o poter mai divorziare: bene, e chi ti obbliga? Perche allora ti opponi se, in base alla legge,
tuo fratello divorzia? L’insidia sta nel fatto che molti cattolici (ma anche seguaci di altre Chiese o
religioni) ritengono che la loro verità sia cosi… vera da dover essere imposta a tutti. Ma se si
imbocca questa strada l’esito inevitabile sarà una terribile guerra di religione che, infine, frantumerà
la vita comune e manderà a picco un paese. Invece la laicità (senza aggiungere ≪sana≫) e una
benedizione per tutti: ognuno e a casa sua, nello Stato, nel rispetto reciproco delle differenti
opinioni, e nella severa osservanza della legalità. Questo, pero, per molti vescovi, e per tanti preti e
laici devoti, e duro da accettare: in un’Italia pur formalmente a grande maggioranza ≪cattolica≫, di
fatto essi sono in minoranza, come hanno dimostrato i referendum sul divorzio (1974) e sull’aborto
(1981). Eppure la nostalgia dei bei tempi passati e piu forte di ogni ragionevole consapevolezza
della mutata realtà. E si che Gesù sognava la comunità dei suoi discepoli e delle sue discepole come
lievito che si perde nel pane, come chicco che muore perche, poi, germini la spiga. Ma, accettare di
morire, pur in vista di una vita più bella, e arduo. Per la Cei, per me, per tutti.
Post scriptum sul Giubileo e sull’enciclica Laudato si’. Per quanto riguarda il Giubileo, sono un
poco imbarazzato perche, nella lettera pastorale La terra è di Dio da me pubblicata nel giugno 1973,
quando ancora ero abate della basilica di San Paolo fuori le Mura di Roma, in vista dell’Anno santo
prospettato da Paolo VI per il 1975, toccavo e anticipavo gia diversi temi oggi ripresi da Francesco,
certo con maggior ampiezza e approfondimento, in vista del Giubileo ≪straordinario≫ che lui aprira
l’8 dicembre prossimo, cinquantesimo anniversario della conclusione del concilio Vaticano II.
Il tema centrale dell’imminente, nuovo Giubileo, sarà la misericordia di Dio. Tema bellissimo. Mi
piacerebbe pero che risultasse ben chiaro che, quando nel novembre 2016 il Giubileo si chiuderà,
non con questo si smorzerà la misericordia di Dio. Essa va oltre ogni Giubileo, e permanente, e
sempre pervade il mondo, l’umanità, le Chiese.
In quanto all’enciclica, senza fare l’ampio discorso che meriterebbe, qui mi limito a dire che essa e
importante soprattutto perche contribuisce fortemente a scuotere ignavia e indifferenza rispetto a
questioni cruciali per la salvaguardia del creato e la salvezza della Terra (temi trattati con ampiezza,
da quarant’anni, anche dal Consiglio ecumenico delle Chiese, purtroppo ignorato dall’enciclica). Il
papa ci parla di strutture economiche e sociali ingiuste che inevitabilmente generano ingiustizie e
opprimono i poveri. E quanto da anni ribadiva in America Latina la teologia della liberazione, che
Francesco – mi pare – fa sua, pur senza citarla. E "naturale" che, proponendo tali analisi, egli
diventi bersaglio di opposizioni tremende, e perfino di scherno, da parte del potere dominante. Ma il
mondo degli impoveriti stara dalla sua parte!
A proposito, infine, della salvaguardia del creato, mi rammarico che l’enciclica non parli in modo
specifico e approfondito anche della salvaguardia dello spazio e del nostro sistema planetario.
Infatti, gia sono in atto vaste manovre, da parte di alcuni potenti, di accaparrarsi la Luna, e Marte o
altri pianeti, e poi lo spazio attorno alla Terra, o riservarsi diritti insindacabili di turismo spaziale.
Bisogna gridare forte che lo spazio esterno alla Terra non e res nullius primi occupantis, ma un bene
comune che appartiene all’intera umanità.
*Teologo e scrittore. Nominato abate dell’abbazia romana di San Paolo fuori le mura nel 1964, vi
fonda negli anni successivi la comunità cristiana di base di San Paolo. Dimesso dallo stato clericale
nel 1976, continua da allora la sua attività di animatore della comunità