Un altro concilio contro il «sistema» granitico
di Franco Barbero*
in “MicroMega” n. 6 del settembre 2015
risposte alle 8 domande di MicroMega su papa Francesco
1. Se c’è un ambito in cui papa Francesco ha tentato un reale rinnovamento della Chiesa, a mio avviso, questo è proprio l’assetto finanziario (Ior e non solo). La banca vaticana finalmente ora soggiace alle norme europee.
Ma la riforma della curia è per ora in gran parte sostanzialmente marginale. Intanto non ha rimosso il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Gerhard L. Müller, un reazionario pressoché onnipotente nei sacri palazzi. Inoltre in Vaticano è presente un vero e proprio antipapa che continua a tessere la rete con tutti i tradizionalisti. Non si dica ingenuamente che è il pontefice emerito: è l’antipapa.
Le nomine? Al più papa Francesco ha inserito nel collegio cardinalizio uomini conciliari, ma nessuna persona davvero «sovversiva» sul piano teologico.
Certo, il collegio cardinalizio è «universalizzato». Perciò a molti vescovi mercenari e insabbiatori, sono subentrati parecchi «pastori conciliari», ma nelle Chiese locali anch’essi non percepiscono che i tempi e i temi oggi sono altri rispetto alla stagione del concilio Vaticano II.
Rispetto alle contraddizioni che ancora caratterizzano la struttura ecclesiastica, dovrei risponderle con un volume! Esiste uno Stato Vaticano; esiste il dogma dell’infallibilità, esiste un Concordato tra Stato e Chiesa; esiste una struttura sacerdotale patriarcale…
Tutto questo non mi fa dimenticare la genuinità pastorale di papa Francesco, con il suo straordinario impegno per la pace, contro l’industria delle armi, contro la mafia, contro le disuguaglianze, la sua attenzione costante alla tematica ecologica, il suo respiro ecumenico a tutto campo, contro il lusso clericale. Tuttavia mancano ancora le svolte che diano un volto strutturale «altro» alla Chiesa cattolica. Bisognerà vedere se i significativi gesti ecumenici compiuti finora, nel 2017 troveranno espressione concreta nel confronto con le Chiese della Riforma che ricordano i loro primi cinquecento anni.
2. È evidente che tradizionalisti e reazionari nella Chiesa e fuori vedono in papa Francesco un «pericolo», anzi un attentato all’integrità della Chiesa e della fede. Anch’io, a dire il vero, due anni fa ritenni utile firmare un appello per difendere il papa e il suo operato da attacchi rozzi e infondati, talvolta radicali. Non me ne pento.
Invece – e forse la cosa la sorprende – non sono un entusiasta dell’operazione di riabilitazione oggi tanto invocata e osannata.
Troppi «viaggi da eretico a santo» mi insospettiscono. A mio avviso, si tratta di una delle tante acrobazie della casta gerarchica che così ostenta capacità di rivedere le sue posizioni e brilla di una magnanimità non meritata.
Oggi non siamo ancora completamente usciti, nonostante le «sgomitate» di papa Bergoglio dal lungo periodo di «santomania, papolatria, mariolatria». Le tre idolatrie cancerogene della Chiesa cattolica.
E poi… che senso ha «riammettere» qualcuno quando è morto e continuare a condannare ed emarginare i vivi? O la Chiesa diventa una casa in cui il dissenso e le differenze sono accolte come un dono di Dio e una feconda normalità, oppure queste riammissioni mi sembrano operazioni di cosmesi istituzionale e populiste.
Sono consapevole di esprimere un’opinione non molto condivisa e assai sgradita ai fratelli e alle sorelle dell’America Latina. Essi, nella santificazione di Oscar Romero, vedono il riconoscimento ufficiale di un testimone della Chiesa dei poveri e della loro stessa teologia della liberazione, tanto osteggiata da Wojtyła e da Ratzinger. Capisco, ma non condivido.
Qualcuno dice: «Meglio tardi che mai…».
Io personalmente parto da due opinioni diverse.
È proprio importante che la Chiesa istituzionale sia messa di fronte ai suoi errori e se ne mantenga storicamente una viva e non impallidita memoria. Inoltre, la mia ecclesialità non dipende dal grado di accettazione istituzionale: tanto meno la mia fede. Romero trovò il vero riconoscimento dal popolo con cui fece strada.
La Chiesa coccodrillo, la «Santa Madre Chiesa», recupera tutti, ma rimane dogmaticamente granitica e ferma.
3. Il sinodo, almeno per quanto è emerso finora, potrebbe dare spazio ad alcune questioni ormai ineludibili. Ma la struttura esclusivamente episcopale costituisce un filtro che riduce in partenza la spinta innovativa. Senza il valore deliberativo e senza la voce delle donne, parte già zoppo.
Che il papa si pronunci in modo aperto sul celibato obbligatorio dei preti e sui separati e divorziati, rispetto alla riammissione ai sacramenti, potrebbe anche succedere. Ma, pur con queste possibili aperture pastorali, restano inevase troppe rilevanti questioni dottrinali. Francesco non è nemmeno riuscito a cancellare, dichiarare ufficialmente erronea l’Humanae vitae, un vero «aborto» dottrinale, un manifesto di disumanità.
E poi… è certo che molti, non solo nella curia romana, frenano su questi terreni, ma rispetto alla famiglia, al ruolo delle donne, alle unioni omosessuali, papa Francesco è frenato di suo. È dottrinalmente un conservatore: non ha né i numeri, né gli strumenti critici, né il coraggio di affrontare questi nodi.
Su questi terreni non mi aspetto nulla da papa Francesco. Spero di sbagliarmi… e ne sarei lietissimo.
Non parliamo poi delle tematiche attinenti la cristologia e la mariologia.
Papa Francesco si colloca tra Nicea (325) e Calcedonia (451) e non ha la minima attenzione a tutta la discussione sul Gesù storico, ebreo, mille miglia lontano dalle formulazioni «divinizzanti», delle «due nature» e dell’ontologia trinitaria. Il dialogo con gli ebrei, convinto e prezioso, non tiene in alcun conto l’ebraicità di Gesù di Nazaret.
Riconosco volentieri e prendo atto di un nuovo stile nell’esercizio del pontificato romano, ma non muove foglia sulla struttura del primato e sulla questione del sacerdozio gerarchico che tradisce il concetto di una Chiesa ministeriale. I cambiamenti di stile sono molto importanti, ma essi devono aprire la strada a cambiamenti strutturali: dal papato al ministero petrino esiste una distanza per ora incolmata.
4. Sul terreno del superamento dei privilegi, riconosco che papa Francesco tenta la strada verso una Chiesa dei poveri, ma resta in piedi il «sistema», cioè alcuni pilastri su cui non si discute: le varie esenzioni (Ici e altre), il Concordato, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole dello Stato, l’obbrobrio dell’istituto dei cappellani militari inseriti nella «gerarchia militare».
Uno Stato laico non può più concedere privilegi a una Chiesa o religione. Tanto meno in presenza di un istituto giuridico come le Intese che garantiscono libertà senza privilegi.
La stessa ripartizione dell’8 per mille è ancora all’insegna del privilegio, così come i finanziamenti alla scuola paritaria.
Qui si tratta di laicità dello Stato, ma anche di laicità dei credenti.
Lo stesso «spazio» che la religione cattolica ha nei media non è rispettoso delle altre tradizioni religiose e soprattutto non dà voce alle minoranze critiche.
5. Direi che i «laici» in questa Italia sono spesso molto clericali. I laici protagonisti sono rari anche perché, quando dicono la loro, vengono bacchettati. La struttura, che assegna ai laici ruoli esclusivamente consultivi, non educa alla libertà. In realtà qualcosa si muove nella piccola editoria laica o marginale. Infatti in questi spazi sono già numerosi i laici che fanno sentire la loro voce e, tra questi, in modo crescente soprattutto le donne.
Senza un «risveglio» del laicato, non vedo e non ritengo possibile un vero cambiamento. Quanto poi alla questione femminile, anche l’attuale pontificato non ha mosso un dito sui punti qualificanti. Mi sembra che discutiamo di questioni per le quali basterebbe un po’ di buon senso e un po’ di attenzione all’evoluzione culturale.
Negare alle donne la pari opportunità di ministero (pastore, presbitero, vescovo, cardinale, ministero di dialogo tra le varie Chiese) costituisce una vera tragedia, una cecità mortifera, un impoverimento dello spirito profetico.
Oggi l’autorevolezza delle voci femminili, le ricerche delle teologie femministe sono uno dei punti più alti della testimonianza cristiana e cattolica nella Chiesa e nel mondo. Il potere patriarcale è nudo, ma si difende con i suoi ridicoli diktat.
Qui è in gioco gran parte della credibilità della Chiesa cattolica, ma i vescovi sono sordi o timidi.
6. L’episodio al quale lei fa riferimento mi sembra significativo di una Chiesa chiusa, prigioniera delle sue «rubriche» oltreché dei suoi dogmi.
Ma non sarebbe il caso, senza sottovalutare l’importanza delle celebrazioni comunitarie più allargate e presiedute da un ministro o una ministra della comunità, di valorizzare e sollecitare momenti familiari e condominiali in cui si prega insieme e anche talvolta si spezza insieme il pane eucaristico?
Perché si continua a spegnere ogni iniziativa che ha il sapore della creatività evangelica ed è frutto di una fede partecipativa dei laici? Perché i vescovi sono soprattutto dotati del perverso carisma di «sconfortare» i fratelli e le sorelle nella fede? Sono pompieri che da secoli spengono il fuoco dello Spirito di Dio ovunque compaia.
Nel caso di questo atto vaticano contro i fondatori di Noi Siamo Chiesa, associazione preziosissima e vitale ormai in tutta la Chiesa cattolica, si è trattato di puro autoritarismo, di un abuso di potere, di atteggiamento inquisitoriale.
7. Il papa ha ingaggiato una lotta senza quartiere istituendo di recente un tribunale contro gli abusi, ma non so quanto questa decisione incida davvero nelle Chiese locali. In ogni caso, mi sembra che i documenti annuncino una svolta seria.
Ma il problema della formazione dei candidati al ministero è enorme: ci vuole una vera rivoluzione; niente di meno. I giovani preti sono in larghissima misura di cultura, di spiritualità, di preparazione biblica e teologica non semplicemente preconciliari, ma marcatamente «tridentini», istituzionali, obbedienti, liturghi, madonnari, soprattutto funzionari del sacro. Per parecchi di loro la canonica, l’abito, il bell’altare, le processioni diventano la trincea dalla quale guardano il mondo dei perduti. Ho l’impressione che per altri il ruolo sia un nascondiglio, un velo sulle loro fragilità emotive e psicologiche e un mestiere garantito che, in tempi di crisi, non è poco.
Il papa sta spingendo e operando perché si formino «pastori che hanno la puzza del gregge», ma i vescovi tirano la fune in un’altra direzione.
È fortissima la corrente di chi vuole un’ulteriore sacralizzazione delle figure sacerdotali. Se non ci saranno preti sposati, donne pastore e vescove, non cambierà nulla. Ci vuole nuovo ossigeno, una vita reale, fatta di affetti, di sessualità, di relazioni, di figli… per reinventare il ministero. Ci vogliono uomini e donne in carne e ossa per proclamare l’amore di Dio come ce l’ha insegnato Gesù. I chierichetti esangui, spesso tristi, che non amano la vita, possono forse essere testimoni di quel messaggio che è Vangelo, «buona notizia»?
8. Come per l’itinerario delle teologie del pluralismo religioso, oggi patrimonio ancora minoritario ma acquisito dentro tutte le tradizioni, il cammino della laicità, in tutte le sue dimensioni, trova ostacoli dentro la Chiesa cattolica gerarchica. Essa troppo spesso si considera ancora «mater et magistra», dispensatrice della verità di cui per secoli si è sentita in possesso esclusivo, anche se Francesco «piccona» sovente questi atteggiamenti.
La Chiesa cattolica non conosce «il dono dello smarrimento», di cui scrissi a lungo vent’anni fa. Non è ancora, nelle sue istanze gerarchiche, una chiesa pellegrina alla ricerca della verità dell’Evangelo e in permanente stato di conversione anche strutturale.
Quindi non gusta l’affascinante e liberante avventura del dubbio, della ricerca, del riconoscimento della propria parzialità. In questo senso, direi che non e ancora completamente uscita dalla "societas christiana" per entrare nella modernità, nonostante le aperture e l’atteggiamento di papa Francesco.
Rispetto all’eutanasia, alla famiglia, all’omosessualità, la dottrina cattolica della sacralita della vita e quanto di piu lontano si possa concepire rispetto all’esistenza quotidiana degli uomini e delle donne.
Le voci delle scienze, gli studi dei teologi, il grido di milioni di credenti non riescono a guarire la saccente ignoranza e la disumana estraneita di una grandissima parte della gerarchia e dei cosiddetti "movimenti" (Opus Dei, Focolarini, Comunione e Liberazione, Legionari di Cristo eccetera).
Ci vorra almeno un altro concilio. E davvero ecumenico. E che Dio ce la metta tutta per spostare le montagne. E noi, donne e uomini, ci troveremo disponibili a dargli una mano.
Pero, per quanto mi sembri utile sottolineare le contraddizioni e le ambiguità, presenti anche nel pontificato di Bergoglio, nel suo ministero esistono, a mio avviso, delle caratteristiche di stampo chiaramente profetico, inedite nei pontificati precedenti e soprattutto aperte all’imprevedibile.
Mi permetto alcuni accenni.
Francesco ha messo in luce l’inganno di Medjugorje: "Non c’e nulla di soprannaturale". Si e messo contro un esercito di affaristi, di mercanti del tempio, di religiosi che lucrano sui diavoli e sulle madonne. Morbidamente, ma anche coraggiosamente, ha tentato di separare la religiosità popolare dalla piu bieca superstizione e dal commercio.
Alla Chiesa valdese di Torino il papa ha compiuto una scelta di onesta storica e di lungimiranza teologica. Mettersi in dialogo con una delle Chiese della Riforma significa accettare l’ecumenismo scomodo e qualificante.
Ben piu impegnativo che dialogare con l’ortodossia. Per Bergoglio le altre esperienze cristiane non sono solo "comunità ecclesiali", ma chiese alla pari, nel rispetto delle differenze. A due anni di distanza dai cinquecento anni della Riforma, si tratta di una scelta promettente.
Ma c’e molto di più: l’ultima enciclica Laudato si’ e i viaggi pastorali di Francesco costituiscono una radicale novità evangelica e politica.
Fuori da ogni ambiguità, Francesco si fa profeta appassionato dei poveri. Nelle sue scelte "sulla cura della casa comune", pulsa il messaggio sovversivo del profeta di Nazaret. L’idolo del mercato capitalistico e per lui la bestemmia più stridente contro il Dio della creazione e contro i poveri.
Siamo mille miglia lontani dalla retorica della Chiesa dei poveri. L’enciclica sollecita le Chiese e i popoli a mettere al primo posto l’ecologia integrale, il superamento delle disuguaglianze.
Francesco non da tregua alla mala politica e nello stesso tempo esorta alla fiducia e alla speranza. Concludendo queste mie note, sono sorretto da un sogno e da una speranza: una bruciante passione per la cura del creato potrà condurre anche questa Chiesa nelle verdi praterie della liberta dalle prigioni dogmatiche e moralistiche ancora esistenti e potrà generare una casa in cui tutti e tutte possano sedersi alla stessa mensa con pari dignità.
* Ex presbitero. Impegnato da più di quarant’anni nella ricerca biblica e teologica, è stato dimesso dallo stato clericale nel 2003 per i suoi scritti sulla figura del Gesù storico e per l’impegno con il mondo Lgbt. Fondatore insieme ad altri della comunità cristiana di base di Pinerolo