Dio non ha religione
Faustino Teixeira *
Adista Documenti n°
12 del 26/03/2016
Inizio citando un teologo francese, il domenicano Claude Geffré: «La storia
religiosa dell'umanità testimonia non solo la ricerca a tentoni del mistero
della Realtà ultima, ma anche la pluralità dei doni di Dio in cerca dell'essere
umano». Già il mistico musulmano Rumi scriveva che non è l'assetato a cercare
l'acqua, ma è l'acqua ad andare incontro all'assetato.
Mi ha sempre lasciato perplesso l'idea secondo cui le religioni aspirano a Dio,
ma è solo nel cristianesimo che è possibile incontrarlo. Che le religioni
parlano di Dio ma è solo nel cristianesimo che Dio parla. È la cosiddetta
teologia del compimento: le religioni esprimono una richiesta di Dio che solo
nel cristianesimo trova risposta. Giovanni Paolo II ha dichiarato ad Aparecida,
in Brasile, che i popoli indigeni erano assetati di Dio e che questa sete è
stata soddisfatta con l'arrivo dei missionari che hanno fatto loro conoscere
Gesù.
Forse una delle sfide più significative per il XXI secolo è quella del dialogo
tra le religioni. Non è possibile evitare di confrontarsi con quello che si
presenta come un vero imperativo del nostro tempo. Siamo tutti immersi in un
mondo sempre più abitato dagli altri, da identità religiose diverse che si
incontrano o si scontrano. Le differenze sono dinanzi a noi, ancora più
direttamente visibili e a portata di mano, e possono essere oggetto sia di
preoccupazione, di sospetto e di avversione, che di tolleranza, di
riconciliazione e di dialogo. La grande scommessa che abbiamo scelto di fare va
in questa seconda direzione. Come afferma lo scrittore Marco Lucchesi, membro
dell'Accademia brasiliana delle Lettere, in un suo articolo dal titolo “Guerras
de religião?”, «lo straniero bussa alla nostra porta. Non c'è altro cammino se
non quello del dialogo: nell'energia crescente, nel vincolo di relazione che lo
costituisce. Il dialogo è un tesoro prezioso, un luogo di avventura, di stupore
e di inquietudine». Anche Panikkar parlava del dialogo come di un'avventura e di
un rischio.
L'apertura dialogale è preceduta da un'accoglienza calorosa del pluralismo
religioso. Non c'è possibilità di dialogo interreligioso se non si accoglie con
tenerezza e con gioia la realtà plurale delle religioni. Si tratta di un
pluralismo di principio, o di diritto, non di un semplice pluralismo di fatto.
Non, cioè, della semplice constatazione della pluralità delle religioni come una
realtà che bisogna accettare ma che non è voluta da Dio, bensì del
riconoscimento che la diversità è accolta con gioia da Dio, che la diversità è
un valore, insostituibile, irrevocabile, che, come affermava Louis Massignon,
c'è una dignità sacra nelle religioni. Un riconoscimento che ci fa vedere gli
altri non come “non cristiani”, ma come nostri amici, come si esprime papa
Francesco quando parla delle altre religioni.
Il dialogo richiede uno sguardo ricettivo nei confronti della diversità delle
fedi. Papa Francesco nell'Evangelii Gaudium afferma che «la diversità è bella»,
che è un valore. Riconoscere il valore di questa diversità, in contraddizione
con l'immagine di un'omogeneità cristiana, è la sfida più importante per la
teologia. È questo che hanno sottolineato teologi come Jacques Dupuis, Claude
Geffré, Roger Haight (il gesuita statunitense autore del libro Gesù, il simbolo
di Dio), Christian Duquoc (autore del libro Unico Cristo. La sinfonia differita,
sul valore della diversità e del pluralismo).
Si tratta di uno spirito nuovo, che richiede apertura e coraggio e che invita la
teologia a rompere con gli schemi tradizionali e ad avventurarsi su nuovi
sentieri. Ci troviamo di fatto a vivere una situazione inedita, una situazione
che suscita una nuova sensibilità, spingendoci a riconoscere la presenza di Dio
e della sua grazia nelle diverse tradizioni religiose. È questo l'orizzonte
destinato a segnare i prossimi passi della teologia: siamo di fronte a un
pluralismo irriducibile. Come ha sottolineato Geffré, i teologi dovranno sempre
di più supportare intellettualmente l'enigma di una pluralità delle tradizioni
religiose nella loro irriducibile differenza. D’altro canto, negli amori come
nelle religioni, c'è sempre uno spazio di silenzio, di irriducibilità, di
irrevocabilità. Di questo parlavano Louis Massignon e Christian De Chergé: della
dimensione di enigma, di mistero, presente nelle tradizioni religiose.
La diversità non è una novità: la storia è segnata da questa ricchezza,
dall'esistenza di risposte diverse alle grandi domande esistenziali. Quello che
avviene oggi è una coscienza nuova della presenza, della vitalità e della
ricchezza degli altri cammini religiosi. È qualcosa che interroga la coscienza
cristiana e anche la teologia cristiana.
UMANI E TERRANI
Viviamo una situazione planetaria particolare, caratterizzata
dall'interdipendenza e dall'interconnessione. È interessante che questo termine
“interconnessione” compaia tanto spesso nell'enciclica di papa Francesco Laudato
si': si tratta della parola chiave dell'antropologia contemporanea, della
percezione, con tutta l'urgenza che l'accompagna, che siamo interconnessi con
tutte le creature. È la questione decisiva, rispetto alla quale il dialogo
interreligioso rappresenta solo un aspetto limitato. Siamo i popoli di Gaia,
come diciamo in Brasile. Occorre operare una distinzione tra il termine “umani”,
proprio di una visione antropocentrica, e il termine “terrani”, riferito invece
a chi coglie questa dimensione di interconnessione globale. I terrani sono i
popoli di Gaia, contrapposti agli umani, con la loro visione antropocentrica.
Anche papa Francesco ha rivolto una severa critica all'antropocentrismo.
Il dialogo interreligioso deve essere vissuto dunque in forma più ampia, in
maniera da coinvolgere non solo le religioni ma anche tutte le spiritualità
nella cura della nostra Casa Comune, a favore di una interconnessione con ogni
creatura vivente e non vivente. In questa prospettiva, in Brasile, io mi
richiamo con forza al pensiero dei popoli originari e in particolare a due
leader indigeni: Ailton Krenak, che ha ricevuto la laurea honoris causa
all'Università di Juiz de Fora e David Kopenawa, autore del libro A Queda do Céu
(“La caduta del cielo”), una riflessione sull'antropologia indigena e sulla
questione della relazione con i missionari in Brasile.
PURIFICARE IL LINGUAGGIO
Nell'ambito della riflessione antropologica, Lévy-Strauss aveva già avvertito
circa le resistenze opposte alla diversità delle culture: l'essere umano ha
grande difficoltà a rapportarsi con la diversità, soprattutto a causa di un
etnocentrismo profondamente radicato. Per quello che sappiamo, «la diversità
delle culture raramente è stata interpretata dagli esseri umani correttamente,
come un fenomeno naturale risultante da relazioni dirette o indirette tra le
società. Al contrario, è sempre stata vista come una specie di mostruosità».
Così, reagendo all'etnocentrismo, l'intellettuale francese proponeva
coraggiosamente la difesa della diversità delle culture in un mondo minacciato
dalla monotonia. E sottolineava come tale diversità debba essere salvata e
valutata senza sorpresa, senza ripugnanza, senza condanna.
Anche la teologia è oggi chiamata a cogliere questa diversità, prendendo sul
serio il pluralismo religioso nel suo significato più positivo e stimolante.
Come ci avverte Claude Geffré, dobbiamo raccogliere la sfida di una teologia
interreligiosa in grado di reinterpretare la specificità cristiana in funzione
della ricchezza di cui possono essere testimoni le altre religioni, con la loro
capacità di favorire una nuova intelligenza del mistero di Dio. Accogliere il
pluralismo di principio significa rivedere con serietà tutto un patrimonio
teologico cristiano fondato sull'esclusivismo – fuori dalla Chiesa non c'è
salvezza -- o sulla prospettiva del compimento, cioè sull'idea che le altre
tradizioni religiose costituiscono una preparazione al Vangelo, trovando il loro
completamento nel cristianesimo. È una visione che caratterizza tuttora la
riflessione teologica cristiana: le resistenze a un cambiamento sono ancora oggi
molto forti. La Dominus Iesus, con la sua distinzione tra fede e credenze
religiose, è considerata quasi un dogma.
Nel suo libro Il cristianesimo e le religioni, Jacques Dupuis pone l'accento
sull'importanza di un salto di qualità nella riflessione teologica al fine di
favorire una dinamica di apertura e collaborazione mutua con le altre religioni.
Egli evidenzia tre aspetti essenziali, intesi come fondamentali sfide teologiche
per il nostro tempo: 1) la purificazione della memoria, 2) la purificazione del
linguaggio teologico, 3) la purificazione della comprensione teologica. Occorre
lavorare in direzione di un cambiamento della mentalità, di una metànoia, per un
miglioramento delle relazioni tra le religioni. Occorre operare un cambiamento
nella comprensione delle altre tradizioni, verso un nuovo modo di pensare gli
altri e il loro patrimonio culturale e religioso.
Noi cristiani vediamo in Gesù il cammino e la possibilità di salvezza che Dio ci
ha indicato. Ma non possiamo universalizzare questa esperienza particolare come
se fosse valida per tutte le altre religioni. Gesù è il cammino di salvezza
vissuto dai cristiani. E lo stesso si può dire rispetto al concetto di popolo
eletto e persino di Regno di Dio. Si deve allora utilizzare un linguaggio più
rispettoso, anziché affermare, come fa la Dominus Iesus, che le altre religioni
sono «gravemente deficitarie» se paragonate alla religione cristiana. O
sostenere, come ha fatto Giovanni Paolo II, che i musulmani credono in un Dio
distante o che i buddisti sono atei.
Se voglio dialogare con le altre religioni senza abbandonare la mia identità, io
dico che sono “domiciliato” nel cristianesimo, che ne sono felice, ma che devo
rispettare le altre tradizioni religiose anche nel mio linguaggio teologico.
Senza pensare di essere il portatore della luce. Come se il cristianesimo fosse
la religione di Dio. No, Dio non ha religione. Dio non è cattolico, come ha
sottolineato papa Francesco.
A PARTIRE DAI TESTIMONI
Tuttavia, sono molti i teologi impegnati in questo ambito che hanno sofferto una
repressione da parte del Vaticano. In Brasile, quando è uscito il libro di Roger
Haight, Gesù, simbolo di Dio, nessun teologo voleva farne la recensione. Per
paura, perché il tema, con tutto ciò che comporta, è davvero un nido di vespe,
per riprendere le parole usate da José María Vigil in riferimento alla
cristologia. È difficile conciliare il dialogo con le altre religioni con
l'insistenza sull'assoluta unicità salvifica di Gesù. E Roger Haight ha avuto il
coraggio di dirlo. Dupuis ha scritto che Gesù non è assoluto, assoluto è Dio.
Haight è andato oltre, parlando della normatività di Gesù per i cristiani, ma
mettendo in discussione l'unicità della mediazione salvifica di Gesù in funzione
della prospettiva dialogale.
È una questione spinosa e resta tale anche sotto il pontificato di Francesco,
perché la convinzione che “fuori dalla Chiesa non c'è salvezza” o che la
salvezza c'è compiutamente solo nella Chiesa è entrata così a fondo
nell'immaginario cristiano che risulta assai difficile operare un cambiamento in
questo senso. Ho accompagnato Dupuis negli ultimi anni e sono stato testimone
della sua sofferenza. Immaginiamo gli studenti che entrano nell'atrio
dell'Università Gregoriana e leggono che il prof. Jacques Dupuis non darà
lezione perché sotto inchiesta da parte del Sant'Uffizio. È questa situazione
che lo ha fatto morire.
Ho evidenziato in un mio articolo come neppure la Teologia della Liberazione
riesca a sfuggire all'inclusivismo, quella prospettiva che concede la
possibilità di salvezza anche a coloro che non sono cristiani, per mezzo della
loro inclusione nell'azione salvifica di Gesù Cristo. La maggior parte dei
teologi legati alla TdL è riconducibile a tale prospettiva. Leonardo Boff se ne
è svincolato attraverso la visione ecologica, grazie a cui è possibile dare un
respiro più ampio alla riflessione teologica. Ma in genere i teologi evitano di
entrare in questioni relative all'ecclesiologia e alla cristologia, che sono
quelle più spinose.
Da questo punto di vista, sono molto più facilitati i teologi laici che lavorano
al di fuori dell'istituzione ecclesiastica. Io insegno in un'università
pubblica, dove nessun vescovo può dirmi cosa devo fare nel mio lavoro teologico.
Ma quando lavoravo alla Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro la
situazione era assai più complicata. Per chi lavora in un'università cattolica
la tentazione dell'autocensura è molto forte.
C'è comunque un lavoro teologico periferico che si fa strada, spesso in una
prospettiva mistica, mostrando una possibilità diversa di pensare le religioni.
Panikkar ha affermato che quando entriamo nello spazio delle altre religioni
dobbiamo toglierci i sandali perché è uno spazio sacro.
Con l'aiuto della mistica, io penso che tutta la realtà sia sacra. Teilhard de
Chardin ha scritto che non c'è niente di profano per chi sa vedere. E Ibn Arabi
ha detto che tutti noi siamo coinvolti nell'alito del Misericordioso. Tutto il
mondo è permeato dalla grazia. Quello che serve allora è un'educazione dello
sguardo. Essere capaci di percepire la presenza di Dio in ogni luogo. Como ha
affermato Roger Haight, se non riusciamo a cogliere la positività delle
religioni, la loro belezza, vuol dire che non siamo in grado di cogliere il
significato del Dio creatore, che stiamo sfigurando il volto di Dio.
Due anni fa mi è stato chiesto di scrivere un articolo critico sui pentecostali
del Brasile, ma ho rifiutato: non condivido certe posizioni dei pentecostali, ma
penso anche che essi abbiano offerto un contributo importante rispetto alla
dignità dei poveri. E che pertanto la riflessione teologica sui pentecostali
debba essere condotta con cura e delicatezza.
Per superare le resistenze, in ogni caso, penso che la via migliore sia quella
di non parlare di dialogo e di pluralismo in forma astratta, ma sempre a partire
dai testimoni, come Christian De Chergé o come Louis Massignon. Quando si parla
di dialogo attraverso i “cercatori”, questi mistici e profeti che vivono sulla
soglia, dentro l'esperienza del limite e della frontiera, le diffidenze sono
minori. Davanti ai testimoni c'è poco da discutere. Come si può criticare una
figura come Christian de Chergé, con la sua trasparenza, la sua onestà con il
reale, come direbbe Jon Sobrino?
Faustino TEIXEIRA già allievo di Dupuis alla Pontificia Università Gregoriana, docente nel Programma di specializzazione in Scienza della Religione presso l’Università Federale di Juiz de Fora, in Minas Gerais, e autore di diversi libri sui temi del dialogo interreligioso, del pluralismo religioso e della mistica comparata delle religioni, l'ultimo dei quali è stato appena pubblicato da Pazzini Editore con il titolo Cercatori cristiani in dialogo con l'Islam (2015, pp. 139, 14 euro), in cui Teixeira ripercorre le vite di alcuni di questi “dialoganti” cristiani, mistici e profeti che, dalla loro esperienza di frontiera, indicano la rotta da seguire ai credenti del XXI secolo: Louis Massignon, Abd-El-Jalil, Louis Gardet, Georges Anawati, Serge De Beaurecueil, Christian De Chergé, Paolo Dall'Oglio.