Francesco Giù la maschera del mito
di Franco Cardini
“Avvenire” del 7 dicembre 2016
Nos, qui cum eo fuimus. «Noi, che fummo con lui». È una semplice asserzione, una constatazione.
Ma può suonare dura come un’accusa, sonora come una protesta; o semplice, dolce come un ricordo
accorato. Anni fa un grande studioso purtroppo scomparso, Raoul Manselli, dedicò a quella
pericope uno studio attento, mostrandone l’intenso valore e il profondo significato. Erano i
discepoli più stretti di Francesco, quelli che gli erano stati più vicini, a replicare così dal loro
appartato esilio, con la loro diretta testimonianza, alle ricostruzioni agiografiche volute dai vertici
dell’Ordine e compilate da frati che al Povero d’Assisi si erano aggregati abbastanza tardi, che lo
avevano visto da lontano e che, quando si era trattato d’interpretarlo, avevano accolto le direttive
dei loro capi e quindi del cardinale protettore dei Fratres Minores, Ugo d’Ostia, divenuto presto
papa Gregorio IX. Senza peraltro soddisfare granché quell’energico prelato, poi terribile pontefice.
Il racconto agiografico ancor oggi più noto a proposito di Francesco è la Legenda maior di
Bonaventura da Bagnoregio, dotto e autorevole ministro generale dell’Ordine, professore a Parigi e
quindi cardinale. Desideroso di 'normalizzare' la figura di Francesco, riguardo al quale si
raccontavano molte cose – e già il primo biografo, Tommaso da Celano, aveva dovuto riscrivere la
sua Vita cercando di adeguarla a quanto si andava dicendo –, Bonaventura ordinò nel capitolo di
Parigi del 1266 che tutti gli scritti che narravano la vita del Povero d’Assisi venissero
accuratamente scovati e distrutti, dovunque si trovassero: e che da allora in poi Francesco fosse
solamente quello descritto 'normalizzato' dall’opera che egli aveva redatto. Un lungo oblìo, tuttavia
attraversato da fremiti e sussulti, avvolse da allora in poi le voci differenti dalla pagina normativa
del grande teologo. L’ordine del quale fu peraltro, come c’era da aspettarsi, nascostamente disatteso.
Ma a partire dal 1890 il pastore calvinista Paul Sabatier, allievo di Ernest Renan, intraprese una
lenta, paziente opera di restauro di quel ch’era stato perduto, disperso, nascosto o negato. Ne nacque
la “questione francescana”, che ancor oggi appare senza fine e ch’è tuttora anzitutto ricostruzione di
voci soffocate, di carte distrutte, di una verità che pure si era già voluta affermare ventidue anni
prima della funesta decisione di Bonaventura, quando nel 1244 frate Leone, segretario e confessore
di Francesco, aveva inviato al ministro generale Crescenzio da Iesi la sua “lettera di Greccio”. Da
allora, prima del ’66 – o, secondo altri, immediatamente dopo – i vecchi compagni di Francesco
dettero voce, nelle opere note come Compilazione di Assisi e Leggenda dei tre compagni, ai loro
ricordi. il Francesco che ne usciva era diverso da quello voluto e descritto dal dotto teologo
impariginato: non era affatto il fraticello ingenuo e semplice l’immagine del quale avrebbe tuttavia
prevalso e che ancor oggi va ostinatamente per la maggiore.
Ma i testimoni emarginati e quasi ridotti al silenzio affermavano qualcosa d’altro: «noi che fummo
con lui», «noi che fummo con lui»… Ne emergeva un Francesco diverso, una guida colta ed
energica dei suoi, un fratello affettuoso eppure pieno di rigore, un amico e un compagno di lavoro
che sapeva comandare e correggere, ma anche comprendere e perdonare.
Quest’“altro” Francesco emerge ora in un libro limpido, pieno d’intensità e di coraggio quanto
spoglio di sussiego accademico e di preoccupazioni erudite. In Francesco d’Assisi. La storia negata
(Laterza, pp. 228, euro 16), Chiara Mercuri accoglie in modo libero e originale la lezione
impartitaci da Arsenio Frugoni nel suo saggio su Arnaldo da Brescia: seguire le varie fonti su un
evento o un personaggio una per una, coglierne attentamente la voce specifica anziché mischiarla
arbitrariamente con altre per mettere insieme un patchwork che sembri dare un’immagine coerente
e unitaria. Solo da un confronto tra testimonianze vagliate una per una con cura può nascere un
giudizio sulla loro diversità o complementarità, insomma sulla loro compatibilità. Ma quel che
interessa l’Autrice è l’immagine del Padre nella memoria e nell’affetto di quei suoi appartati
compagni. Con la scommessa che sia quello più fedele alla verità.
Otto capitoli corredati da poche note, tutte rigorosamente ed esclusivamente ispirate alle fonti
originali; nessuna opera di critica moderna citata, per quanto si avverta senz’ombra di dubbio
quanto molte di esse siano ben presenti all’Autrice. Una caccia serrata, a tratti affannosa e
incalzante eppure serena, alla ricerca di un personaggio evidentemente a lungo non solo studiato ma
anche – ebbene, sì – amato. Frate Francesco, che si è battuto per affermare il suo diritto alla libertà e
alla povertà, il suo diritto a seguire nudo il Cristo nudo. E Chiara, della quale qui si ribadisce
l’energia e l’originalità, la chiarezza e la profondità con le quali ha compreso il suo insegnamento e
l’ha fedelmente seguito.
Un consiglio sperimentale. Fate pulizia di qualunque altra cosa abbiate letto e imparato a proposito
di Francesco e sforzatevi di recuperarlo fresco e pulito, libero dalle incrostazioni erudite e dalle
preoccupazioni dotte, così come ce lo hanno voluto tramandare dal loro emarginato recesso coloro
che furono con lui. Non profanate queste nitide pagine con il faticoso untume della critica
accademica. Qui si rende un omaggio leale a uomini che hanno vissuto la loro fede seguendo un
altro uomo nel quale hanno creduto e l’immagine del quale hanno voluto tramandare intatta a chi
non lo ha conosciuto. Come dice Chiara Mercuri, «una lampada resiste accesa». E non è poco,
quando scende la notte.