Fragili e religiosi, un binomio vincente
di Zygmunt Bauman
“Avvenire” del 16 novembre 2016
«Non c’è più
religione... Dio è morto». Lo sentiamo ripetere di continuo, e qualcuno di
quelli che si lanciano in affermazioni del genere pretendono di avvalorarle
anche con l’autorità dei fatti: quanti sono oggi, per dire, i neonati che
vengono portati in chiesa per essere battezzati, e non è forse vero che il
numero delle persone che frequentano la messa domenicale è in calo – perlomeno
in Gran Bretagna o nei paesi nordici?... Questi dati vengono trascelti proprio
con l’intento di appoggiare la tesi, e la loro reiterata ripetizione mira a far
sì che, come accade con tutti gli altri pregiudizi, alla fine l’affermazione sia
considerata ben fondata e creduta vera. Ma, svolgono essi il compito loro
assegnato? Forse lo farebbero, se non fosse per l’enorme e crescente volume di
altri fatti che suggeriscono – e dimostrano – la diagnosi esattamente contraria:
e cioè che la religione esiste e continua ad avere forza e influenza, e che i
necrologi per Dio sono, quantomeno, assolutamente prematuri.
Molta acqua è passata sotto i ponti di tutti i fiumi del mondo, da quando
Friedrich Nietzsche, uno dei giganti della filosofia moderna, scrisse nella
Gaia scienza (1882) che «Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo
ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di
più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato
sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua
potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi
inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non
dobbiamo noi stessi diventare dei, per apparire almeno degni di essa?».
Ma Dio è ancora ben vivo, come senza dubbio lo sono – e anche ben visibili – le
religioni, che poggiano sulla sua immortale onnipresenza: contrariamente
all’orgogliosa rivendicazione della mente moderna secondo cui noi, uomini, siamo
pienamente in grado di afferrare, comprendere, descrivere, affrontare e gestire
il mondo e la nostra presenza in esso in perfetta autonomia; e contrariamente
alla nostra proclamata intenzione di mettere il mondo sotto l’amministrazione
unica di noi, uomini, armati come siamo di ragione e dei suoi due germogli: la
scienza e la tecnologia.In netto contrasto con la loro promessa, quelle armi non
sono riuscite a dotare noi, umani mortali, dell’onnipotenza – che e il tratto
che definisce il Dio immortale – ed e sempre meno probabile che con tutte le
loro scoperte e invenzioni terrificanti lo possano mai fare.
L’impressione e che, ove mai Dio «morisse» – e cioè, esiliato dal nostro
pensiero, espatriato dalle nostre vite, cessasse di essere punto di riferimento
e di appello e fosse sostanzialmente dimenticato – ciò accadrebbe solo insieme
con la morte dell’umanità.Se ci chiediamo perché è così e perché così deve
essere, la risposta è che Dio sta per la nostra insufficienza, l’insufficienza
di noi esseri umani – secondo la memorabile formulazione del grande filosofo
polacco Leszek Kolakowski: insufficienza del nostro pensiero e della nostra
capacita pratica; insufficienza che e del tutto improbabile possa mai essere
superata.
Ci sono fenomeni di cui non possiamo non essere consapevoli . come per esempio
l’eternità e liinfinito, o al perché e per che cosa noi esistiamo, e perché c’è
qualcosa piuttosto che il nulla, fenomeni e interrogativi che nonostante i più
grandi sforzi delle menti umane più eccelse noi mai comprenderemo perché vanno
ben oltre il regno dell’esperienza umana entro il quale la nostra ragione, la
nostra scienza e tecnologia operano e a cui esse sono costrette a rimanere
confinate.E ci sono fenomeni di cui dovremo prima o poi prendere consapevolezza,
che non si sottometteranno mai al nostro – di esseri umani – controllo e
gestione. In parole povere, ci sono limiti insuperabili a quello che noi
possiamo sapere e a quello che possiamo fare. Il fatto che Dio sta per questi
due tipi di fenomeni e insieme il fatto che noi siamo condannati a rimanere
insufficienti assicurano nel loro intreccio l’eterna presenza di Dio nella
condizione esistenziale dell’uomo. In altre parole: l’eternità di Dio, e
l’eternità delle religioni che cercano di rendere vivibile la vita vissuta con
la consapevolezza di tutti questi paradossi, sono garantite dall’immortalità (se
misurata con i metri umani) della endemica insufficienza umana.