“Ti sposo in ritardo” . Così salgono i matrimoni
di Chiara Saraceno
“la Repubblica” del 15 novembre 2016
Primo aumento dal 2008 forse
finito l’effetto crisi Boom di divorzi brevi
Ci si sposa perché stanchi di rinviare le nozze a causa della crisi economica.
Oppure perché si vuole dare solidità istituzionale a una relazione e tutela
giuridica al partner, magari dopo anni di convivenza. O addirittura perché, in
fin dei conti, oggi è più semplice divorziare.
Ci sono molteplici ragioni che spiegano l’aumento dei matrimoni in Italia nel
2015. Che poi, più che un incremento, è stato un rallentamento del lungo trend
della diminuzione. A fronte dei diecimila matrimoni in meno ogni anno a partire
dal 2008, per un totale di sessantamila complessivi, i quattromila e seicento
matrimoni in più celebrati nel 2015 rispetto al 2014 sono solo un piccolissimo
segnale, non sappiamo quanto duraturo, di rallentamento della progressiva
diminuzione della nuzialità.
La frequenza dei matrimoni, nel 2015, è stata del 20% più bassa rispetto al
2008, addirittura del 25% se si considerano solo i primi matrimoni.
Più che di “maggior aumento”, si dovrebbe quindi parlare di minore diminuzione.
Questa è dovuta in parte al, molto parziale, recupero dei matrimoni rimandati
in seguito alla dura crisi economica di questi anni, che ha colpito soprattutto
i giovani. Come si è visto anche in altri periodi di congiuntura negativa, la
nuzialità, infatti, è molto sensibile alla congiuntura economica. Quando le
incertezze e le difficoltà nel mercato del lavoro sono diffuse, le persone
rimandano i progetti di formazione di una famiglia. In Italia rimandano anche
l’uscita dalla casa dei genitori, perciò riducono anche le coabitazioni non
matrimoniali. Non stupisce che qualcuno di quei matrimoni desiderati ma non
effettuati sia poi giunto a maturazione, in una congiuntura lievemente più
favorevole.
Accanto ai matrimoni rimandati per necessità e poi recuperati possono anche
esserci matrimoni rimandati perché prima si è preferito convivere senza
bisogno di regolarizzazione. Il matrimonio assume il significato di “conferma”
della solidità di una convivenza ed anche di messa “in sicurezza” dei partner,
altrimenti considerati estranei dal punto di vista della pensione di
reversibilità, dell’eredità e così via. Un matrimonio su tre oggi in Italia
è preceduto da una convivenza, che sempre più spesso vede anche la presenza di
uno o più figli. L’aumento (circa due anni rispetto al 2008) dell’età al
matrimonio di celibi e nubili è un indizio di questo doppio fenomeno di rinvio
del matrimonio.
Ma, a ben vedere, il grosso dei matrimoni “in più” (rispetto al 2014), tremila
su 4mila e seicento, riguarda non chi si è sposato per la prima volta, avendo o
meno convissuto prima, ma secondi matrimoni, dove uno o entrambi i coniugi
provengono da un matrimonio precedente. È un dato che va letto insieme al
fortissimo aumento dei divorzi, dovuto non ad un aumento della instabilità
coniugale, ma alla semplificazione e accelerazione delle procedure di
scioglimento del matrimonio in seguito alle due riforme approvate a fine 2014 e
a metà 2015, che hanno drasticamente ridotto i tempi di attesa tra separazione
e divorzio, specie per le separazioni consensuali, riducendo conseguentemente il
tempo di attesa per passare a nuove nozze, se lo si desidera. Verrebbe da
osservare che ad essere più affezionati all’istituto del matrimonio non sono i
giovani che ancora non lo hanno sperimentato, ma coloro che ci sono già passati
e vogliono riprovarci.
Lungi dal segnalare un “ritorno al matrimonio” tout court, questi dati ne
confermano il sotterraneo processo di cambiamento dall’interno: sempre meno rito
di passaggio (ai rapporti sessuali, alla convivenza di coppia, alla filiazione)
e sempre più rito di conferma, ma anche sempre più reversibile e sempre più
vissuto come istituzione laica, non religiosa. Ormai non solo i secondi
matrimoni, o quelli in cui uno dei coniugi è straniero, ma anche il 30 per
cento dei primi matrimoni tra italiani è celebrato solo civilmente, più nel
Centro-Nord che nel Mezzogiorno.
In questo panorama di mutamento, colpisce la persistenza di un atteggiamento
tradizionale nei confronti della regolazione formale, giuridica, dei rapporti
tra ex coniugi in caso di separazione quando sono presenti figli minori.
Nonostante l’affido congiunto sia diventato formalmente la norma, di fatto i
figli risiedono con la madre nella grande maggioranza dei casi. Proprio per
questo, più che la divisione delle spese in quota parte tra i due genitori, è
ancora di gran lunga prevalente il vecchio istituto dell’assegno di
mantenimento.
Cambia il matrimonio, cambia in parte anche il modo in cui si fa il padre e la madre, ma fatica a cambiare il modo in cui si regola la continuazione delle responsabilità genitoriali quando il matrimonio finisce.