Gesù
infinito
brevissimo
di Mauro
Pesce
“Settimana-News”
- www.settimananews.it”
del
25 marzo 2016
Dio
è
universale,
è infinito.
Così siamo
abituati
a pensare.
Un
filosofo
dell’Ottocento
diceva
che di fronte
alla
trascendenza
di Dio
proviamo
il
sentimento
della
dipendenza.
Di fronte
all’immensità
della
natura,
percepiamo
il senso della
nostra nullità,
oppure il
desiderio
di un annullamento
panteistico,
il bisogno
di
immergersi
in
questo
tutto
divino
che ci
trascende.
Leopardi
ha espresso
ambedue queste
sensazioni:
sia
il senso
del limite
di fronte all’infinito
(la siepe
che ce ne separa) sia
l’attrazione
della
partecipazione
sentimentale
(“naufragar
m’è
dolce
in
questo
mare”).
Queste sensazioni,
normali
nella
nostra cultura,
non lo
sono però
in altre.
Radicalmente
diversa
è
la
percezione
ebraica
di Dio.
L’ebraismo
non ha
inventato
la
filosofia,
come
i greci.
Ha
inventato
la
profezia.
Per i
profeti
della
Bibbia
ebraica,
Dio
non viene
concepito
mediante
concetti,
né percepito
mediante
il
senso della
dipendenza
o del
bisogno di
annegarsi nel
Tutto.
Viene
visto
nella
sua azione.
Dio
è colui
che fonda
la
tua
libertà
e
ti
dà un
compito.
Nel momento
stesso
in
cui
lo
percepisce,
il
profeta
conosce di essere
da
lui
inviato
a compiere
il
suo libero
dovere etico.
Tu
non
ti
annulli
in
lui.
Se hai
una percezione
di Dio,
è perché
Dio
ti
manda
a fare qualche cosa.
Gesù
è un
ebreo e
ragiona
ebraicamente.
Per
lui,
Dio
è colui
«che fa sorgere
il
suo sole
sopra i malvagi
e
sopra
i buoni,
e fa piovere
sopra i
giusti
e
sopra
gli
ingiusti»
(Mt
5,45). Da questa
percezione
di Dio
non deve scaturire
solo
un pensiero,
ma
un’azione
che cambi
la
vita
in
modo
radicale.
Se Dio
è colui
che fa piovere
sui buoni e
sui
cattivi,
la conseguenza
è subito
di carattere
etico:
“amare
i nemici”
(«amate
i vostri
nemici
e pregate
per i
vostri
persecutori,
perché siate
figli
del Padre
vostro
celeste»
Mt 5,44-45).
Dall’azione
universale
di Dio
deriva
un’azione
universale
dell’uomo.
L’infinità
di Dio,
secondo Gesù,
va agita,
non pensata.
E ciò
nella
contraddizione
e nel particolare.
Non
si può
uscire
dall’individualità
della
propria
esistenza.
Gesù lo
sa. Certo,
agli
ebrei del
I secolo,
l’ebreo
Gesù annuncia
che
il
loro
Dio
dominerà
universalmente
sul
mondo,
ma
il
compito
del popolo
di Israele
è solo
di convertirsi.
Ad ogni
singolo
ebreo Gesù
dice:
Convertiti!
E credi
al
mio annuncio:
«il
regno di Dio
è vicino;
convertitevi
e credete
al vangelo»
(Mc
1,15). Credere a
Dio non è elaborare
un concetto
astratto.
Dio
è universale,
ma
per l’ebreo
Gesù ciò
non si traduce
in un’universalità
pensata. Dio
è universale
perché regnerà universalmente
(un’universalità
agita).
Il singolo
ebreo deve
agire
l’universalità
di Dio
che regna,
non pensarla.
E può
realizzarla
in pieno
rimanendo
all’interno
della
sua singolarità:
cioè
convertendosi.
Sarà Dio
a
mettere
in
atto
la
propria universalità.
Questo
è
il
messaggio
che viene
da Gesù. Solo
Dio possiede
l’universalità.
Non
c’è un sistema
politico
per realizzarla
umanamente.
Ognuno è racchiuso
nella
propria
particolarità.
Per uscire
da essa
e adeguarsi all’universalità
di Dio
bisogna farla
agire
nell’individualità.
Quando questo
accade, nasce
il
conflitto
con
tutto
ciò
che racchiude
il
singolo
entro
i confini
dei propri
interessi.
Non
si può ubbidire
a Dio, se si
mantiene
l’interesse
per la
propria famiglia.
Gesù perciò esige
il
distacco
dal nucleo
domestico,
la
rinuncia
al
lavoro,
la
vendita
di
tutto
quello
che si
possiede.
Gesù colloca
la bomba
dell’universalità
di Dio all’interno
delle
strutture
fondamentali
della
società.
Pensare l’infinità
di Dio
è
per
lui
del
tutto
inutile.
Essa è per
Gesù
l’azione
di Dio
che regna. Gesù
inserisce
l’infinito
nella
finitezza
per farla
esplodere.
Crea
necessariamente,
e intenzionalmente,
un conflitto.
Perciò,
il
messaggio
di Gesù
non sono
le
sue
teorie,
ma
la
sua pratica.
Il primo
messaggio
è
la pratica
di vita
dell’itinerante.