Radio Maria e i soldi pubblici

 

Sebastiano Messina

 

La Repubblica 7 novembre


 

La radio che lancia anatemi contro le leggi dello Stato è quella che prende dallo Stato più soldi di tutte le altre radio. È il ricco paradosso di Radio Maria, quella che ha mandato in onda la sconcertante teoria di padre Giovanni Cavalcoli, secondo il quale il terremoto che ha squassato il Centro Italia non sarebbe altro che "il castigo di Dio" per la legge sulle unioni civili. Teoria che ha fatto infuriare papa Francesco, ha spinto il Vaticano a prendere le distanze e alla fine ha costretto la radio a "sospendere" la trasmissione mensile affidata al religioso.
Ebbene, proprio lo Stato che secondo padre Cavalcoli avrebbe scatenato "il castigo di Dio" è il finanziatore numero uno di Radio Maria. Di più: l'emittente religiosa è in cima alla lista delle radio che ricevono ogni anno un contributo pubblico. Negli ultimi tre anni di cui si conoscono le cifre, ha incassato 779 mila euro per il 2011, 730 mila per il 2012 e 581 mila per il 2013: due milioni e 90 mila euro nel triennio. Per svolgere un servizio pubblico? No, a titolo di "mero sostegno", in base a una legge di 18 anni fa varata per sostenere le emittenti locali che però le assicura un canale privilegiato.
Un dato che la mattina del 3 febbraio scorso non ha impedito al direttore di Radio Maria, don Livio Fanzaga, di commentare nella sua rassegna stampa la notizia dell'approvazione della legge sulle unioni civili paragonando la relatrice del provvedimento, Monica Cirinnà, "alla donna del capitolo diciassettesimo dell'Apocalisse, la Babilonia" (una prostituta), e a inviarle la sua macabra profezia: "Signora Cirinnà, lei oggi brinda prosecco alla vittoria, ma arriverà anche il funerale, stia tranquilla. Glielo auguro il più lontano possibile, ma arriverà anche quello" (memorabile la reazione su Facebook dell'interessata, che rispose con una citazione di Massimo Troisi: "Mò me lo segno").
Ma perché questa emittente che lancia anatemi contro le istituzioni gode di un trattamento privilegiato nella distribuzione delle sovvenzioni pubbliche? La risposta è in un codicillo contenuto nella legge 350 del 2003 - al comma numero 190 dell'articolo 4, precisamente - che assegna il 10% dei contributi destinati alle radio locali alle "emittenti nazionali comunitarie", e quel "comunitarie" non c'entra nulla con l'Unione Europea ma serve a distinguerle da tutte le altre che hanno fini di lucro. Ora, le "emittenti nazionali comunitarie" sono solo due, nel nostro Paese.

La prima è Radio Maria. La seconda è Radio Padania, la radio di Matteo Salvini, che riceve esattamente le stesse somme dell'altra. Eppure la severa relazione che la Corte dei Conti ha stilato alla fine del 2015 sulla distribuzione di questi aiuti a pioggia segnala che l'emittente leghista non solo riceve anche i contributi della Presidenza del Consiglio per le testate gestite da cooperative, ma a voler interpretare la legge alla lettera non può neanche essere considerata "nazionale", visto che trasmette solo in nove regioni, e sulle altre arriva solo un segnale digitale Dab, captabile solo da pochissimi apparati.
Ma quali regole devono rispettare, queste due radio privilegiate, per incassare il contributo statale? Nessuna. Devono solo "essere in regola con il pagamento del canone, calcolato nella misura dell'1 per cento del fatturato annuo". Per il resto, possono mandare in onda quello che vogliono. Non hanno alcun dovere di svolgere un servizio pubblico, perché la legge del 1998 assegnava contributi a pioggia con l'unico criterio del "mero sostegno " all'emittenza locale. Solo per aiutarla a sopravvivere. Nel caso delle due radio "comunitarie", però, la Corte dei Conti ha segnalato che si tratta non di una regola generale e astratta, in base ai principi basilari del diritto, ma di una "legge-provvedimento", stilata su misura dei beneficiari e vincolando lo Stato ad assegnare loro una quota prefissata (il 10 per cento del totale).
Il caso delle "parole offensive e scandalose" apre dunque un nuovo capitolo nella tormentata storia del finanziamento pubblico alle emittenti private. Un tema di cui dovrebbe occuparsi presto il Parlamento, anche a costo di sentirsi annunciare un nuovo "castigo di Dio" da padre Cavalcoli o un altro "funerale" da don Fanzaga.