L'evoluzione
storica
della
penitenza
di
Josè Ramos
Regidor
“Com-Nuovi
Tempi”
n. 15 del 24 aprile
1983
Si è
già parlato
del peccato
e della
riconciliazione
in
alcune
religioni
del
mondo
antico
(cfr.
Com-
Nuovi
Tempi,
n.
11,
20
marzo
1983).
Il tema
sarà
ripreso
da altri
punti
di
vista.
In queste pagine
si offre una
breve sintesi
dell'evoluzione
storica
del sacramento
della
penitenza
dall'antichità
fino
ai
secoli
XII-XIII in
cui si
stabilizza
la sua forma
attuale.
Per un'ulteriore
informazione,
cfr.
lo studio
storico
di
K.
Rahner,
La
penitenza
della
chiesa,
Ed.
Paoline,
Roma,
1964;
le
antologie
di C.
Vogel,
Il peccatore
e la
penitenza
nella
chiesa
antica,
Ed.
Ldc,
Torino
Leumann,
1967; Id.,
Il peccatore
e la penitenza
nel
medioevo,
Ldc,
1970;
e
Josè
Ramos
Regidor,
Il sacramento
della
penitenza,
Ldc, 4a
ed., 1979, pp. 143-198.
Dalla
riflessione
sui dati
storici
possono sorgere
alcune
indicazioni
e problemi
che mi
limito
ad
elencare
succintamente:
1)
la
conversione
e la
riconciliazione
sono
dimensioni
necessarie
dell'esistenza
cristiana
e
la
loro
celebrazione
ecclesiale
centrale
sono il
battesimo
e l'eucarestia;
di conseguenza,
il
sacramento
della
penitenza
è una, non l'unica
celebrazione
della
conversione
e
riconciliazione
del
cristiano
peccatore;
esso
inoltre
non
è
necessario
per
tutti
i cristiani:
nei
primi
secoli
esso
era
precluso
alla
maggior
parte
dei
cristiani
e situazioni
più
o
meno
simili
potrebbero
ripetersi.
Quindi,
dal
punto
di
vista
storico-
teologico,
non sono scontati
i ripetuti
appelli
di
Wojtyla
alla
confessione
individuale.
2) Le
forme storiche
che
il
sacramento
della
penitenza
ha
avuto
nel
passato
sono
molto
diverse
dalla
confessione
privata
o
auricolare
come
si
è
imposta
dal
medioevo
in
poi;
ciò
vuol dire
che lo stesso
sacramento
potrà
acquistare
nel
futuro
forme
nuove,
anche
molto
diverse
da
quelle
del
passato
e del
presente.
L'impulso
alle
successive
innovazioni
è venuto
dallo
Spirito
di Cristo
in rapporto
ai bisogni
storici
delle
comunità,
a
volte
dal
basso, anche
in contrasto
con
le decisioni
dei
pastori.
In questa
storia
si è
fatto
presente
il
peccato
che
segna
la
stessa
chiesa,
come
è apparso
dalle
deviazioni
e dagli
abusi
realmente
esistiti.
Si può osservare
la
presenza di
un difetto
abbastanza
comune
alle sue
diverse
forme
storiche:
un certo
slittamento
dalla
sfera
del
mistero
della
Parola
di
riconciliazione
verso
la
sfera
giuridica
che
fa
del
sacramento
uno
strumento
di
controllo
ecclesiale
e
sociale.
3)La
situazione
attuale
pone fra gli
altri
alcuni
problemi:
come
valorizzare
concretamente
l'eucaristia
come
sacramento
della
conversione
e
riconciliazione
del
cristiano
peccatore?
È possibile
superare
il
ritualismo,
il
legalismo
e l'autoritarismo
della
confessione
individuale
o auricolare,
e la
sua
utilizzazione
oggettiva
come
strumento
di
controllo
e di
ricompattamento
ecclesiale?
Come
ridare
alle
celebrazioni
del
sacramento
della
penitenza
la
loro
dimensione
comunitaria,
per
far sì che
il
soggetto
della
stessa celebrazione
non
sia
soltanto
il
ministro
ordinato
ma
tutto
il
popolo
di
Dio?
Come
sottolineare
la
dimensione
personale del
peccato
e della
conversione,
che
sappia
utilizzare
i
contributi
della
conversione,
che
sappia
utilizzare
i
contributi
delle
scienze
antropologiche
e
della
psicologia
moderna,
per
superare
una
concezione
troppo
«cosista»,
legalista
e giuridica
del peccato,
della
conversione e
della
grazia
stessa
di
Dio?
Come
integrare
nella
celebrazione
ecclesiale
della
conversione
e
riconciliazione
la
dimensione
sociale
e storica
del peccato,
facendo evidenziare
che l'interlocutore
e
il
soggetto
principale
della stessa
celebrazione
sono
i
poveri
e
la
loro
lotta
di
liberazione?
fino
al
VI°
secolo
Almeno
fino al
secolo IV,
la comunità
ecclesiale
era formata
da cristiani
che, nella
loro
maggioranza,
avevano ricevuto
il
battesimo
da
adulti,
spesso
dopo
un
prolungato
sforzo
di
conversione
gestito
dalla
comunità.
In
questa
situazione
nacque una forma
specifica
di celebrare
la
penitenza
e la riconciliazione
dei cristiani
peccatori,
forma
profondamente
diversa
da quella
della
chiesa
occidentale
post-tridentina.
Nelle
sue
grandi
linee,
questa
prassi
penitenziale
appare
sufficientemente
strutturata
nei
testi
del
secolo
III,
anche
se vi si
trovano tracce
in
altri
testi
del secolo
precedente.
In generale,
viene
indicata
dagli
storici
come
penitenza
canonica
perché
regolata
da
alcune
norme
o
canoni
stabiliti
in
alcuni
concili
della
prima
metà
del
secolo
IV
e
in alcune
lettere
penitenziali
particolarmente
importanti.
Viene
anche caratterizzata
come
penitenza
ecclesiastica,
per
sottolineare
la
sua
dimensione
ecclesiale,
e come
penitenza
antica,
per accentuare
la
sua diversità
nei
confronti
della
prassi
che
ha
avuto
inizio
nei secoli
VI-VII e che
arriverà
alla
forma
attuale
soltanto
dal secolo
XIII
in
poi.
Peccati
sottomessi
alla
penitenza
canonica.
In
teoria
soltanto
i
peccati
gravi
erano
oggetto
di
questa
prassi
penitenziale,
e
con
frequenza
i
testi
parlano
di
quei
peccati
che,
secondo
il
Nuovo
testamento,
escludono
dal
regno,
dal
corpo
di
Cristo,
dalla
salvezza.
C'era però
a quei
tempi
una grande flessibilità
e incertezza
nel distinguere
i peccati
mortali
da
quelli
lievi.
Di
fatto,
si
ritiene
generalmente
oggi che
la penitenza
ecclesiastica
fino
al
secolo
VI
non
è
andata
molto
al
di
là
dei
casi
pubblici
e
notori
di
peccati
capitali,
cioè
soprattutto
dell'apostasia-idolatria,
omici
dio e adulterio.
Ma si deve
aggiungere
che
la situazione
era più
o meno
rigida
e aperta
secondo
i
tempi
e le
regioni.
La
liturgia
penitenziale.
La
celebrazione
della
conversione
e riconciliazione
dei
cristiani
peccatori
nella
chiesa
antica
comprendeva
le
tre
fasi seguenti:
I) Ingresso
fra i
penitenti.
Consisteva
in un atto
liturgico
formato
da diversi
gesti,
come
l'imposizione
delle
mani,
la vestizione
del
cilicio,
l'espulsione
simbolica
dalla
comunità
e l'entrata
nell'ordine
o
gruppo
dei
penitenti.
Presentarsi
come
soggetti
di
questo
rito
era
già
riconoscersi
pubblicamente
peccatori.
A
volte,
lo
stesso
rito
richiedeva
una
confessione
pubblica
ma
generica.
Con frequenza,
la
confessione
particolareggiata
si
faceva
al vescovo
(ad
uno
«spirituale»
o ad
un sacerdote)
prima
della
liturgia
penitenziale,
per consigliare
o decidere
se il
cristiano
peccatore
doveva sottomettersi
a questa
penitenza
canonica.
II)
Esercizio
delle
opere
di
penitenza.
La
sua
durata,
generalmente
di
vari
anni,
era
stabilita
dal
vescovo,
tenuto
conto
della
gravità
dei
peccati,
delle
prescrizioni
dei
concili
e della
volontà
di
conversione
del
penitente.
Durante
questo
periodo
i
penitenti
rimanevano
esclusi
dalla
comunione
eucaristica
e,
generalmente,
erano
classificati
e
divisi
in
gruppi diversi
secondo il
grado di possibile
partecipazione
alla
celebrazione
dell'eucarestia
(«ordini
di
penitenti»).
Dovevano
condurre
una vita
mortificata,
dedicata
alla
preghiera
e all'elemosina,
essere corretti,
consigliati
e aiutati
dalla
comunità.
Si proibiva
loro
la
professione
delle
armi,
l'esercizio
di cariche
pubbliche
e
di
attività
commerciali,
l'ingresso
nel clero,
il
matrimonio
e i
rapporti
sessuali
con
il
legittimo
coniuge.
Queste
proibizioni
o «interdetti
penitenziali»
rimanevano
in
vigore,
generalmente,
anche
dopo
di avere
ottenuta
la riconciliazione,
per
tutta
la vita.
III)
La
riconciliazione
o
«assoluzione
della
penitenza».
Aveva,
luogo
alla
fine
del
periodo
penitenziale
mediante
un
rito
liturgico
più
o
meno
solenne.
Generalmente
i penitenti
invocavano
la
preghiera
dei
fratelli
per
chiedere
il
dono
dello
Spirito
di
Cristo
che
li
riconciliava
con
Dio
e
con
la
chiesa.
Il
vescovo
imponeva
le
mani
ai
penitenti
e
diceva
la
preghiera
di
riconciliazione.
Normalmente
il
rito
finiva
con
l'ammissione
dei
penitenti
alla
partecipazione
piena
all'eucarestia
mediante
la
comunione.
A partire
dal secolo
V questo
rito
aveva
luogo,
generalmente,
il
giovedì
santo.
I presbiteri
potevano
conferire
la penitenza
e
la
riconciliazione
solo
in
casi
di
necessità
e di
imminente
pericolo
di morte.
Caratteristiche
della penitenza
antica.
Quello
che
principalmente
distingue
la
prassi
penitenziale
antica
da quella
che si
introdusse
a
partire
dai
secoli
VI-VII
è
la
sua
irrepetibilità,
poiché
si
concedeva
una
sola
volta
nella
vita.
Questo
principio
appare
affermato
per la prima
volta
nello
scritto
noto come
«Pastore
di
Erma»
(140-155)
e permane
nella
sua
rigidità
finché
durò
questa
forma
di
penitenza
canonica. Se
il
cristiano
già riconciliato
ricadeva
nel
peccato,
lo
si
poteva
ammettere
di
nuovo
fra
i
penitenti,
si
pregava
per
lui,
ma
mai
gli
si
concedeva
la
riconciliazione
ufficiale
o
l'assoluzione
una
seconda
volta;
se era
apparso pentito
per un certo
periodo,
poteva
ricevere
la
comunione
eucaristica
nel
momento
della
morte,
senza previa
assoluzione
o riconciliazione
ufficiale.
Questo principio,
la sua durata
e l'insieme
degli
interdetti
penitenziali
di
cui
si
è
parlato
sopra, mostrano
come
la penitenza
antica
fosse
sommamente
rigida.
Il
peccato
mortale,
specialmente
dopo
il
battesimo
ricevuto
generalmente
da
adulti,
era
considerato
come
un
male
serio
e profondo,
che
penetra
tutta
la persona
(oggi diremo
la sua opzione
fondamentale)
e
che,
per
questo,
richiede
uno sforzo doloroso e prolungato
di conversione.
Inoltre,
con
questa
rigidità
la
comunità
primitiva
cercava
di
difendersi
e
di
mantenere
la
sua integrità.
Appare dal
fin qui
detto
che questa
prassi
penitenziale
aveva
una
chiara
dimensione
ecclesiale
o comunitaria.
È
tutta
la
comunità
che
interviene
nella
conversione
e
nella
riconciliazione
del fratello
peccatore:
con l'ascolto
della
parola
di Dio,
con
l'esempio
della
loro
fede,
con
la
preghiera
e con
la
carità,
con
la correzione
fraterna
e con la
partecipazione
attiva
al
rito
della
riconciliazione.
L'intera
liturgia
penitenziale
ha
come
soggetti
il
cristiano
peccatore,
gli
altri
fratelli
della
comunità
e i
pastori
(vescovo o presbiteri);
benché
i
modi
di
agire
e i
ruoli
rispettivi
siano
diversi,
essi sono ritenuti
inseparabili.
Infine,
la penitenza
canonica era
qualcosa
di eccezionale,
in
quanto
erano
relativamente
pochi i cristiani
che vi ricorrevano.
Innanzitutto
per
la
continua
fluidità
e incertezza
nella
caratterizzazione
dei
peccati
mortali
perché
di fatto
erano
sottomessi
alla
penitenza
ecclesiastica
solo
i peccati
gravi e
in certo
modo
notori
e
perché
spesso,
nei
primi
secoli,
le
comunità
cristiane
erano di
solito
piccole
e
fervorose.
Anche
quando
aumentò
il
numero
dei
cristiani,
ben
pochi
ricorrevano
alla
penitenza
canonica
a
causa
della
rigidità
delle
obbligazioni
e delle
conseguenze
di
carattere
personale
e
sociale
che
ne
derivavano.
Alcune
categorie
di cristiani,
come
i chierici
e i
religiosi,
non
erano
ammessi
alla
penitenza
ecclesiastica.
I
chierici
che
avevano
commesso
peccati
gravi venivano
deposti
(se i
peccati
erano
pubblici)
ma
non
venivano
ammessi
fra i penitenti
e se poi apparivano
veramente
pentiti
erano ammessi
alla
comunione
eucaristica
senza
previa
assoluzione.
A
causa
del
principio
della
sua
non-repetibilità
e
della
sua
rigidità,
alcuni
vescovi
(tra
cui
Ambrogio
di
Milano)
e
concili
giunsero
a
consigliare
e a
stabilire
che
non
fosse
concessa
la
penitenza
ai
giovani
e
alle
persone
sposate.
La
fedeltà
ai
canoni
e
alla
tradizione
portò
ad
una
sua
sclerotizzazione.
Ma lo
stesso
suo carattere
eccezionale
fa vedere
come
la
penitenza
canonica
non
era
considerata
come
l'unica
possibile
forma
di
celebrazione
ecclesiale
della
conversione
dei
cristiani
peccatori.
Per tutti
gli
altri
che non potevano
o di fatto
non ricorrevano
a questa
forma
c'era
soprattutto
la
partecipazione
piena
all'eucarestia,
le
liturgie
dei tempi
penitenziali,
la
preghiera
in
comune
e
anche
la
correzione
e
la
carità
fraterna.
Da
notare
il
ricorso
ad
uno
«spirituale»,
sacerdote
o
laico,
cui
confessare
i
propri
peccati
affinché
i suoi
consigli
e le sue preghiere
aiutassero
il
penitente
nel
suo
sforzo
di
conversione.
A
partire
dai
secoli
IV-V
si
estese,
particolarmente
in
Oriente,
la
consuetudine
di
fare
questo
tipo
di
confessione
o
«direzione
spirituale»
ai
monaci,
anche non sacerdoti.
la penitenza
tariffata
Origine
e sviluppo.
La
prima
testimonianza
certa
di
un
nuovo
tipo
di
prassi
penitenziale
ci
è offerta
da
una
sua
condanna
da
parte
dai
vescovi
della
Spagna
e
della
Gallia
Narbone
nse
nel
Concilio
di
Toledo
del
maggio
589:
«Poiché
siamo
a
conoscenza
che
in
alcune
chiese
della
Spagna
gli
uomini
facciano
penitenza
per
i
loro
peccati
non
secondo
i
cano
ni,
ma
in
modo
del
tutto
indegno,
così
che
ogni volta
che peccano
chiedono
al sacerdote
di esser
riconciliati,
al fine
di stroncare
questa esecranda
presunzione
viene
stabilito
dal
santo
concilio
che
la
penitenza
venga
data
secondo
la
forma
canonica
degli
antichi»
(canone
11).
Circa
sessanta
anni
dopo
la
stessa
prassi
appare
pacificamente
accettata
nel
Concilio
di
Chalon
sur
Saône
(tra
il 647-653)
in
Francia:
«Per
quanto
riguarda
la
penitenza,
che
è la
medicina
dell'anima,
crediamo
che
sia
della
massima
utilità
a
tutti
gli
uomini;
così
come
tutti
i sacerdoti
sono
concordi
nell'affermare
che
ai
penitenti,
ogni
volta
che
abbiano
fatto
la
confessione,
sia
data loro
la
penitenza»
(Canone
8)
Sembra
che
questo
nuovo
tipo
penitenza
sia
nato
e si sia
sviluppato
dal
basso,
grosso
modo
tra i secoli
VI-VII,
a
partire
dai monasteri
celti
e
anglosassoni.
Essa fu
diffusa
nel
continente
dai
monaci
irlandesi
che
vi
arrivarono
a
partire
dal secolo
VI.
Nel
secolo
VIII
la
nuova
prassi era
probabilmente
estesa
ovunque.
Caratteristiche
Ciò
che
principalmente
la distingue
dalla
penitenza
antica è
la sua
reiterabilità.
Il rito
liturgico
diventa
più
privato
nelle
sue
tre
fasi:
1) il
peccatore
si presenta
al sacerdote
e
confessa
i suoi
peccati
privatamente;
il
sacerdote
impone
le
pene
adeguate
a
ciascun
peccato
seguendo
speciali tariffari
(chiamati
«Libri
penitentiales»)
analoghi
a quelli
che
forniscono
le leggi
barbariche
dominanti;
l'accento
era
posto
sulla
tassazione
precisa delle
colpe
e per
questo
la si conosce
con
il nome
di
penitenza
tariffata
o
tassata;
2) il
penitente,
per
giorni,
mesi
e
anche
anni,
viene
escluso
dalla
comunione
eucaristica
e deve
fare
le
opere
di
penitenza:
digiuno
a pane
ed
acqua,
mortificazioni
corporali,
veglie
corporali,
recita
di
preghiere
specialmente
dei salmi,
ecc.;
3) quando
il
penitente
ha
compiuto
le
opere
di
penitenza
assegnategli,
ritorna
una
seconda
volta
dal
suo
confessore
e riceve
l'assoluzione
in privato.
Questa
nuova
forma
di
penitenza
diventa
subito
più
frequente
e più
generalizzata:
perché
estesa
a peccati
meno
gravi,
anche
quelli
veniali;
perché
non
comporta
gli
interdetti
che
segnavano
il peccatore,
anche
socialmente,
per tutta
la
vita;
e
perché
era
aperta
anche
ai
preti e
ai
religiosi.
Anche
per
queste
ragioni
il
ministro
diventa
quasi
esclusivamente
il presbitero.
Alcune
norme giuridiche
della
disciplina
penitenziale.
Le
tariffe
variavano
secondo
i
diversi
Libri
penitenziali.
Ma le
pene
imposte
per ogni
peccato
si sommavano
e così
si potevano
totalizzare
delle
penitenze
che
oltrepassavano
la
durata
della
vita.
Per
ovviare
a
questi
inconvenienti,
gli
stessi
Libri
penitenziali
erano
corredati
da
speciali
tabelle
per le
commutazioni
delle
pene
lunghe
con
altre
più brevi
che
potevano
essere
più
rigide.
Inoltre,
conformemente
all'uso
del
diritto
civile
germanico
e
celtico
della
«Wehrgeld»,
secondo
cui
un
delitto
poteva
essere
riscattato
da
una
somma
di
denaro
proporzionata,
si ammise
anche
la composizione
o riscatto
delle
opere
di
penitenza
mediante
una
somma
di danaro
o facendo
celebrare
un
determinato
numero
di
messe.
Nei Libri
penitenziali
ci sono
delle
tariffe
da
pagare
per ogni
messa.
Ogni
sacerdote
poteva
celebrare
sette
e,
su richiesta,
anche
venti
e più
messe
al
giorno.
E
poiché
il clero
parrocchiale
non
bastava
a coprire
le richieste,
i
monaci
diventarono
sacerdoti
in
più
grande
numero.
C'era poi
un
altro
tipo
di
riscatto
adatto
soprattutto
ai ricchi:
far
compiere
le opere
di
penitenza
ad un'altra
persona,
un
«giusto»
(con
frequenza
i
monaci),
dietro
compenso.
Tutta
questa
prassi fu
una
fonte
di
guadagno
per i
sacerdoti,
per
i monaci
e
per
i monasteri,
tenuto
anche
presente
il
fatto
che
ai
penitenti
più
ricchi
si
assegnava
come
«composizione»
la
donazione
di terre,
la costruzione
di chiese
o
di
conventi,
ecc.
Si può
quindi
dire
che
questa
nuova
forma
di
penitenza,
nata
per
facilitare
la conversione
dei cristiani,
diventò
una
fonte
di
abusi
che
portò
alla
perdita
del
senso
cristiano
delle
opere
di
penitenza.
il
passaggio
alla
forma
attuale
La
penitenza
canonica
antica,
gestita
dal
vescovo,
rimase
vigente,
limitata
a
peccati
pubblici
e particolarmente
scandalosi,
fin
verso
il secolo
XVI.
Con
la scomparsa
delle
tariffe
da
assegnare
per ogni
peccato,
condannate
ad
un
certo
tempo
dai
teologi
e
dai
pastori,
nei secoli
XII-XIII
si arrivò
ad
un
cambiamento
notevole
nella
stessa
struttura
del
rito
sacramentale
Essa rimase
centrata
nell'accusa
dei
peccati
come
segno
di conversione
e
nell'assoluzione
del sacerdote,
riducendo
al
minimo
le opere
di
penitenza
da
adempiere
dopo
l'assoluzione.
È
questa
particolare
forma
del
sacramento
della
penitenza
quella
che
ebbe
presente
la
teologia
scolastica
e il
concilio
di
Trento.
Questa
teologia
si concentrò
sulla
integrità
della
confessione
e sul
valore
giudiziale
dell'assoluzione,
favorendo
una
concezione
individualistica,
privata,
moralistica,
giuridicista
e legalistica
del sacramento
della
penitenza,
dimenticando
la
sua
dimensione
comunitaria
e anche
la sua
dimensione
misterica
di
annuncio
di fede
nel
dono
della
misericordia
e
della
giustizia
di Dio.
All'inizio
l'accusa
dei
peccati
avveniva
nell'abitazione
presbitero.
Ma
già dagli
inizi
del sec.
XI tutto
il rito
si svolgeva
generalmente
in chiesa,
davanti
all'altare,
con
ministro
seduto
in
una semplice
sedia.
Alla
fine
del
medioevo
e con
il Concilio
di
Trento
fu
prescritta
una
sede
chiusa,
che
solo
a partire
dal
secolo
XVII
divenne
il
mobile
in
uso
attualmente
nella
chiesa
cattolica
(il
«confessionale»).
Quanto
alla
sua
frequenza,
fu richiesta
una
certa
periodicità
fin
dal
sec.
IX.
Ma
soltanto
nel Concilio
Lateranense
IV, nel
1215,
fu prescritta
la
confessione
annuale
a tutti
i cristiani
che
si riconoscessero
colpevoli
di
peccato
grave.
---------------------
Penitenza
diversa
per
ricchi
e poveri
Il
Penitenziale
dello
pseudo-Teodoro,
verso
1'830-847,
riporta
tra
gli
altri
una
norma
comune:
«Chi
non
conosce
i
salmi
e,
a causa
della
sua
debolezza,
non
può
digiunare
nè
postrarsi
per
terra,
costui
scelga
qualcuno
che
compia
la
penitenza
al suo
posto
e
lo
paghi
per
questo,
poiché
sta
scritto:
portate
gli
uni i
pesi
degli
altri».
Questa
prassi
portò
ad
abusi
scandalosi,
a
volte
ingiustificati
dagli
stessi
libri
penitenziali.
Per
esempio,
nei
Canoni del
re
Edgardo,
pubblicati
verso
il
967,
si
legge:
«1.
L'uomo
potente
che
ha
molti
amici
può
attenuare
notevolmente
la
penitenza
col
loro
aiuto.
Prima
di
tutto
nel
nome
di Dio
e per
mezzo
del
suo
confessore,
darà
la
prova
della
sua
fede
sincera.
Egli
perdonerà
coloro
che
lo
hanno
offeso
e farà
una
confessione
coraggiosa.
Prometterà
di
essere
astinente
e
riceverà
con
lacrime
la
sua
penitenza.
2.Poi
deporrà
le
armi,
abbandonerà
il
lusso
inutile
dei
vestiti,
prenderà
il
bastone
dei
pellegrini
e
marcerà
a
piedi
nudi.
Si
vestirà
di
lana
e di
un
cilicio,
non
dormirà
in
un
letto
ma
per
terra,
e farà
in
modo
da
riscattare
7 anni
di
penitenza
in
3
giorni,
seguendo
questo
metodo.
3.Prenderà
12
uomini
che
facciano
digiuno
al
suo
posto
durante
3
giorni,
mangiando
solo
pane,
acqua
e
legumi
secchi.
Cercherà
subito
per 7
volte
altri
120
uomini
che
facciano
digiuno
al
suo
posto
durante
3
giorni.
I
giorni
di
digiuno
così
sommati
sono
uguali
al
numero
di
giorni
contenuti
in 7
anni.
4.Questo
è
il
tipo
di
commutazione
penitenziale
che
si
potrà
permettere
un
uomo
ricco
e
che
ha
degli
amici.
Il
povero
non
potrà
agire
nello
stesso
modo,
ma
dovrà
fare
tutto
da
solo.
Ed è
giu
sto
che
ognuno
faccia
da
sè
l'espiazione
dei
propri
peccati,
poiché
sta
scritto:
Ognuno
porti
il proprio
fardello».
Da notare
soltanto
l'uso
strumentale
di
due
frasi
che
si
trovano
nella
Lettera
di
Paolo
ai
Galati,
capitolo
6:
il
versetto
2 («Portate
gli
uni
i pesi
degli
altri»)
nel
primo
dei
documenti
riportati,
e il
versetto
5 («Ognuno
porti
il
proprio
fardello»)
nel
secondo