Santi e miracolo: abbinamento improprio
di Giovanni Franzoni
“confronti” - mensile di religioni politica e società - del novembre 2016
Nel 2000 la beatificazione di Pio IX (e con Giovanni XXIII) ha sicuramente accontentato molti, mentre ha suscitato
irritazione nel mondo ebraico, dove ancora si ricordava che quel pontefice se ne era uscito con questa infelice battuta:
«Gli ebrei sono cani e li odi ancora cantar per Roma». Quel papa, inoltre, suscitò irritazione tra i liberali per le
esecuzioni capitali di alcuni protagonisti del Risorgimento.
Ma ancora più clamorosa la divaricazione riguardante papa Wojtyla. Polacco, considerato patriota e protagonista nella
rivendicazione dell’autonomia del suo paese da Mosca, pressato da due odiati nemici: la Germania nazista e poi
l’Unione Sovietica. Si comprende che alcuni lo considerino santo: non è certo la prima volta che una persona viene
considerata eminente e santa nella sua area di provenienza.
Ma a Roma nessuno mai potrà dimenticare il comportamento di Giovanni Paolo II al momento del fallimento del Banco
Ambrosiano.
In questo caso la banca del Vaticano gestita da monsignor Marcinkus aveva giocato un ruolo ambiguo, accettando
rapporti con la banda della Magliana, il cui esponente, Renatino De Pedis, sarà sepolto addirittura in una chiesa (nella
basilica di Sant’Apollinare, vicino piazza Navona). Quando la procura di Milano emise una rogatoria per poter
interrogare Marcinkus, quel papa si appellò ai Patti Lateranensi, rivendicò la extraterritorialità dello Stato della Città del
Vaticano e, infine, riuscì a far ritornare quel prelato negli Stati Uniti senza che la magistratura italiana potesse
incontrarlo.
Dentro questo sporco nodo è rimasta imprigionata Emanuela Orlandi, cittadina vaticana scomparsa, rapita nel giugno
del 1983 senza che le voci provenienti da persone vicine a De Pedis, e che forse sapevano notizie importanti su quel
rapimento, fossero sufficientemente ascoltate e valutate.
Né si può dimenticare la freddezza con cui dapprima papa Wojtyla accolse l’arcivescovo di San Salvador, Oscar
Romero, il quale si era schierato al fianco dei campesinos che, opponendosi al governo, rivendicavano i loro diritti.
Egli sarà poi assassinato in una piccola cappella, il 24 marzo 1980, ucciso da persona vicina agli squadroni della morte,
foraggiati anche da conservatori cattolici.
Queste divaricazioni inviterebbero a de-istituzionalizzare i percorsi di canonizzazione, supportati non solo da indagini
sulla vita del beato “candidato”, ma accompagnati da un miracolo riconosciuto, che nella prassi è considerato sacro
perché verificatosi in casi in cui “la scienza” gettava la spugna e si dichiarava incapace di spiegare l’evento.
Scienziati rigorosi come Piergiorgio Odifreddi hanno più volte ribadito che le guarigioni inspiegabili sono
statisticamente considerate come un fatto che allo stadio attuale della scienza non ha una spiegazione. Se la guarigione
inspiegabile riguarda una persona irreligiosa e atea non è considerata; se invece consegue a preghiere, pellegrinaggi a
santuari e altre pratiche religiose, viene chiamata “miracolo” e apre la via alla canonizzazione. È dunque pensabile che
il nome “santo” venga usato in modo meno impegnativo, sempre salvaguardando i casi di martirio che sarebbe bene
discutere a fondo, perché la testimonianza del martire scavalca i confini delle religioni istituite.
Esempio clamoroso è il caso dei martiri dell’Uganda, negli anni 1885-87 vittime di Mwanga II, un re pedofilo che però
furono considerati in modo ecumenicamente problematico.
Canonizzati da Paolo VI nel 1964, quando egli nel 1969 visitò l’Uganda considerò quei ragazzi, se cattolici, “santi” e
“martiri”, ma non diede eguale e piena aureola ai ragazzi anglicani, pure torturati anch’essi dall’empio re. Eppure la
stessa causa – la fedeltà a Cristo – aveva mosso tutti quei giovani.