Di Marco Cedolin
Fonte: http://ilcorrosivo.blogspot.it/
Fra le pieghe della parola TTIP (Transatlantic
Trade and Investment Partnership), un acronimo impronunciabile
sconosciuto alla stragrande maggioranza dell'opinione pubblica, si nasconde
molto più di un accordo commerciale volto a promuovere il libero scambio fra
l'Europa e gli Stati Uniti. Il TTIP potrebbe rivelarsi un pilastro fondamentale
nella costruzione della globalizzazione mondialista, in grado di appiattire
larga parte delle peculiarità proprie del "Vecchio Continente", omologandole
sulla falsariga degli standard statunitensi e di subordinare quello che ancora
resta della politica e delle sovranità nazionali al potere delle grandi
corporation, che diventerebbero di fatto gli unici soggetti titolati a gestire
la governance mondiale nel nome del mercato e del profitto......
Se il TTIP giungesse a compimento nei termini in cui è stato tratteggiato
durante questi anni di trattative segrete, noi tutti rischieremmo di ritrovarci
ancora più poveri e più privi di diritti, tutele e servizi sociali di quanto già
non lo siamo oggi, senza neppure sapere perché tutto ciò sia capitato. Sulla
stessa falsariga di quanto è accaduto con la creazione della UE e dell'Euro, di
cui ogni giorno sperimentiamo le nefaste conseguenze sulla nostra pelle.
Ma come può un accordo commerciale, di cui i media neppure si occupano e solo in
pochi possono vantare una conoscenza parcellare, stravolgere così in profondità
le nostre vite? Può senza dubbio, qualora il fulcro dell'intera operazione
travalichi l'aspetto meramente commerciale, per andare ad intaccare il vero e
proprio concetto di democrazia e di politica, trasformando 850 milioni di
cittadini sulle due sponde dell'Atlantico da membri di uno Stato di diritto
fondato sulle libere elezioni a clienti di uno Stato di mercato fondato sul
lobbismo delle multinazionali. Il tutto senza applicare assolutamente la regola
secondo cui il cliente ha sempre ragione e deve essere accolto con il sorriso,
ma equiparandolo in tutto e per tutto ad un pollo allevato in batteria,
costretto ad accettare supinamente qualsiasi cosa risulti funzionale ad
incrementare il profitto dell'allevatore.
La creazione del TTIP non si caratterizza come un qualcosa di estemporaneo
avulso dalla realtà dei nostri giorni, si tratta al contrario della naturale
evoluzione di tutte quelle strategie poste in essere per imporre il dominio del
libero mercato a detrimento di tutto ciò che potesse ostacolarlo. Le stesse
strategie che nel 1947 a Ginevra diedero vita al GATT (General Agreement on
Tariffs and Trade) e nel gennaio 1995 lo trasformarono nel WTO (World Trade
Organisation), con il risultato di ridurre sempre più marcatamente il potere
decisionale degli stati sovrani e dei parlamenti nazionali, costringendoli ad
inchinarsi al volere del libero mercato, declinato nel segno delle grandi
corporation mondiali che di fatto lo rappresentano. Sempre nel solco dello
smantellamento sistematico di ogni ostacolo che possa frapporsi al dominio
incontrastato delle grandi multinazionali, gli Stati Uniti negli ultimi anni
hanno dato vita ad una strategia che contempla accordi commerciali mirati con
alcuni gruppi di stati. Fra essi il TPP (Trans Pacific Partnership) con alcuni
paesi dell'area pacifica ed asiatica quali Brunei, Canada, Cile, Giappone,
Malesia, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Vietnam, Australia, che è appena giunto
a compimento lo scorso 4 febbraio 2016 ed il TTIP con l'Unione europea che
potrebbe dare vita all'area di libero scambio più grande del pianeta con il 40%
del PIL ed il 30% del commercio globale ed è ancora oggi in fase di gestazione
dopo quasi tre anni di negoziati segreti.
A costituire le premesse per la creazione dell'accordo TTIP è stato creato nel
2011 il Gruppo di lavoro di alto livello su occupazione e crescita (High Level
Working Group on Jobs and Growth), presieduto dal commissario europeo per il
commercio Karel De Gucht e dall'allora rappresentate commerciale USA, Ron Kirk,
deputato a valutare l'opportunità dell'operazione. Tale gruppo, di cui non è mai
stata resa pubblica la natura dei componenti (dal momento che la Commissione
Europea dichiarò che non aveva membri riconoscibili), ha ricevuto le indicazioni
ed i suggerimenti dei lobbisti di quasi tutti i gruppi industriali delle due
sponde dell'oceano, dalla Camera di Commercio statunitense e dalla federazione
dell'industria tedesca BDI, ai gruppi di pressione chimici CEFIC e VCI, dalla
coalizione dell'industria farmaceutica EFPIA a DigitalEurope, dal Transatlantic
Business Council, alla lobby dell'industria degli armamenti ASD, dalla British
Bankers Association a corporazioni come Lilly, Citi e BMW. Per avere un'idea di
quanto sia stata elevata l'influenza delle lobby industriali rispetto al
processo di contrattazione basti pensare che secondo il Corporate Europe
Observatory ben il 92% degli incontri pre-negoziati tra la Commissione Europea e
le lobby è stato portato avanti con attori del mondo for-profit.
Esaurite le consultazioni con tutti i grandi gruppi di pressione, ai quali la UE
ha illustrato la propria posizione, tenuta invece nascosta al controllo
pubblico, il Gruppo di lavoro di alto livello su occupazione e crescita nella
sua relazione finale ha raccomandato l'avvio dei negoziati, portando in dote la
sintesi dei suggerimenti ricevuti dai lobbisti e manifestando la necessità di
perseguire l'obiettivo di vasta portata della creazione di un mercato
transatlantico.
A coronamento del lavoro svolto precedentemente, nel febbraio 2013 il presidente
statunitense Barack Obama, quello della Commissione europea José Manuel Barroso
e quello del Consiglio europeo Herman Van Rompuy annunciarono che sarebbero
stati avviati dei negoziati per un "partenariato transatlantico su commercio e
investimenti" e l'8 luglio dello stesso anno i negoziati iniziarono
ufficialmente, condotti dai funzionari della Commissione europea e dai loro
epigoni del ministero del commercio statunitense.
Come sempre accade quando ci si trova di fronte ad un progetto controverso,
potenzialmente in grado di suscitare critiche ed indignazione, coloro che lo
propongono lo fanno vantandone le sue proprietà taumaturgiche e presentandolo
come una cura miracolosa. Basti ricordare le premesse con cui nacque la UE che
ci avrebbe resi tutti più ricchi e più liberi o le parole dell'allora Premier
Romano Prodi (una triste figura che ancora banchetta alla tavola dell'élite
mondialista) per sostenere la nascita dell'Euro che "ci avrebbe fatto lavorare
un giorno di meno, guadagnando come se avessimo lavorato un giorno di più". Poco
importa se la realtà dei fatti con il passare del tempo smentisce
sistematicamente e drammaticamente tutte le ottimistiche previsioni, così come
poco importa se nell'Italia dell'Euro i pochi che ancora lavorano lo fanno un
giorno di più guadagnando la metà di prima. Nessuno chiederà conto delle loro
parole e delle loro stime ai "mentori del progresso" che ne hanno in cattiva
fede cantato le gesta, l'importante è esclusivamente diffondere nell'opinione
pubblica il convincimento che si stia portando avanti un progetto positivo,
finalizzato a migliorare il benessere di tutti noi.
Anche il TTIP naturalmente non sfugge a questa regola e viene sostanzialmente
presentato come un progetto ambizioso dalle proprietà miracolistiche che porterà
in dono una lunga serie di vantaggi per i cittadini di entrambe le sponde
dell'Atlantico. Aiuterà a risolvere la crisi economica globale facendo impennare
secondo la Commissione Europea l'economia europea di 120 miliardi di euro,
quella statunitense di circa 90 miliardi e quella mondiale di circa 100 miliardi
di euro, incrementerà sia il PIL statunitense che quello europeo, aumenterà i
posti di lavoro, ridurrà i conflitti legislativi fra UE ed USA e ne rafforzerà
la loro competitività globale, aumenterà i guadagni del cittadino medio di circa
50$ l'anno e molto altro ancora. Secondo il Premier Matteo Renzi il TTIP è
"vitale" per la nostra economia ed i grandi industriali italiani sono arrivati
al punto di considerarlo una vera e propria "benedizione."
La logica vorrebbe che quando si ha l'intenzione d'intraprendere un progetto
prodromico di tutta una lunga serie di effetti positivi, per i cittadini, per
gli stati e per le imprese, lo si faccia nella massima trasparenza fin dalla sua
genesi, rendendo informati nel merito delle trattative in corso la maggior parte
di persone possibili e pubblicizzandone i contenuti, al fine di fare conoscere a
tutti quale "meraviglia" si sta costruendo per il loro futuro.
I creatori del TTIP hanno invece deciso di non fare ricorso alla logica,
ritenendo forse che non tutti sarebbero stati in grado di apprezzare la
"benedizione" prossima ventura e preferendo condurre le trattative in maniera
assolutamente segreta, quasi si trattasse della progettazione di una nuova bomba
nucleare.
La segretezza non riguarda solamente i cittadini comuni, tenuti all'oscuro dai
media mainstream rispetto alla questione, ma anche i rappresentanti
istituzionali da loro votati sia in ambito nazionale che europeo.
Lo stesso Parlamento europeo non ha infatti accesso a tutte le informazioni
concernenti il modo in cui si svolgono gli incontri ed i vari step della
trattativa. I negoziatori mandano le informazioni solo ad un eurodeputato per
gruppo (quello che fa parte della commissione per il commercio internazionale)
che però non può trasmetterle ai colleghi o ad esperti esterni alla commissione.
Il Parlamento europeo, dopo aver votato nel 2013 il mandato a negoziare
esclusivo alla Commissione (come prevedeva il Trattato di Lisbona) potrà
soltanto porre dei quesiti circostanziati, cui la Commissione può rispondere, ma
sempre nel rispetto della riservatezza obbligatoria in tutti i negoziati
commerciali bilaterali. Avrà solamente il diritto di voto finale, potendo
decidere in ultima istanza se prendere o lasciare riguardo al "pacchetto" ormai
confezionato.
Gli stessi governi nazionali dei paesi europei, se vorranno visionare le
proposte portate avanti dagli Stati Uniti, dovranno farlo accedendo a delle sale
di sola lettura dove non potranno prendere appunti o farne copia, nonostante si
tratti di argomenti estremamente complessi.
La prima (e forse l'unica) sala lettura dedicata al TTIP è stata aperta il primo
febbraio 2016 in Germania, all'interno dell'ambasciata americana e non si tratta
di un caso, dal momento che proprio a Berlino nello scorso autunno ci sono state
le manifestazioni più imponenti contro il Trattato Transatlantico con la
partecipazione di oltre 200mila persone.
I parlamentari tedeschi (eletti dal popolo) possono accedere alla sala lettura
al massimo in gruppi di 8, per consultare i documenti relativi ai negoziati
segreti tra USA e UE. La consultazione è possibile solo sotto la supervisione
del ministro agli affari economici, i parlamentari non possono avere con sé
macchine fotografiche né cellulari, sono guardati a vista e possono prendere
appunti solo in forma limitata. I computer vengono disconnessi dalla rete, hanno
2 ore di tempo per visionare un documento di 300 pagine e sono previste sanzioni
disciplinari per chiunque infranga le regole divulgando a terzi il contenuto di
quanto visionato. Insomma vengono trattati come nemici, alla stessa stregua di
potenziali spie industriali e tutto ciò dovrebbe fare riflettere profondamente
su quanto in basso sia ormai costretta a prostrarsi la politica nei confronti
dell'élite mondialista gestita dalle corporation.
A sottolineare il fatto che saranno le corporation a tirare le fila del futuro
prossimo venturo, relegando la politica e la volontà dei cittadini in un ruolo
sussidiario ad esse subordinato, il TTIP prevede l'introduzione di due organismi
tecnici dalle potenzialità molto elevate che agiranno al di fuori del controllo
degli Stati e di conseguenza anche del popolo. Il primo è il meccanismo di
protezione degli investimenti ISDS (Investor-State Dispute Settlement) che
consentirebbe alle imprese delle due sponde dell'Atlantico di citare in giudizio
qualsiasi ente pubblico (Stato, regione, comune) qualora democraticamente
introducesse normative o tutele per i propri cittadini che in qualche misura
venissero considerate lesive dei loro interessi, passati, presenti o futuri.
Il secondo è il Regulatory Cooperation Council, una sorta di organismo
all'interno del quale esperti nominati dalla Commissione UE e dal ministero USA
competente valuterebbero l’impatto commerciale di ogni marchio, regola,
etichetta, ma anche contratto di lavoro o standard di sicurezza operativi a
livello nazionale, federale o europeo. Dopo avere considerato a propria
discrezione le argomentazioni portate dalle imprese, dai sindacati e dalla
società civile, tale organo valuterebbe il rapporto costi/benefici di ogni
misura e il livello di conciliazione e uniformità tra USA e UE che è necessario
raggiungere, decidendo in ultima istanza se è opportuna la sua introduzione o il
suo mantenimento….
Fonte: Nexus
Edizioni
Articolo integrale sull'ultimo numero di Nexus
New Times