La Bibbia e la storia. Mito, archeologia e
lettura critica
Il libro di Giosuè
Franco Barbero
sbobinatura e adattamento non rivisti dall’autore
In “cdb informa” n° 65 dicembre 2016
Oggi
inizieremo a parlare dei libri storici della Bibbia: comincerei dal libro di
Giosuè. Vorrei mettere in risalto le grandi difficoltà che si incontrano
leggendo questi libri, perché sono, diciamolo chiaramente, quasi illeggibili.
Questa è una lettura biblica che esige di essere già all’interno di un percorso,
perché sono pagine scandalose. Solitamente vengono bonariamente occultate o
viene presa qualche pagina a buon esempio: questo atteggiamento è lontano dalla
mentalità ebraica. Per l’ebraismo non bisogna occultare nulla dell’umano e anche
nel percorso religioso bisogna assolutamente che non sia tradita la nostra
umanità, in cui ci sono spesso delle parti che vengono nascoste. L’ebraismo
descrive gli uomini e le donne in modo realistico, che può spaventarci, ma è lo
spavento che la psicanalisi ci ha insegnato a riconoscere per incontrare noi
stessi. Se non riconosciamo la parte negativa di noi stessi e gli istinti di
violenza che sono in noi, non incontriamo realmente l’umanità. La Bibbia
rispecchia tutto questo ed è attraversata da guerre, conquiste, bugie.
Vorrei, prima di iniziare la lettura, fare alcune note ermeneutiche.
Nell’interpretazione della Bibbia, oggi è di molto aiuto l’archeologia, la quale ci descrive una realtà palestinese, e della mezzaluna fertile, molto diversa da come viene raccontata in tutti i miti antichi di quella zona, compresa la Bibbia. Su questo tema vi consiglio la lettura di due libri: “Oltre la Bibbia” di Bruno Liverani, edito da Laterza, che è un grandissimo e rigoroso studio molto utile e “Oltre le religioni” di Spong, M. Vigil, Lenaers, J. Vigil, edito da Gabrielli.
Nello studio
storico-critico della Bibbia, un antesignano è stato un prete francese, Alfredo
Loisy, un grande studioso che tra le altre cose disse: “Il mondo moderno ed il
linguaggio della Bibbia, siccome io sono un credente e ne vedo la distanza, mi
preoccupano. Per salvare la fede nel mondo moderno bisogna avere il coraggio di
dire che la Bibbia è un linguaggio in cui anche Dio viene rivestito con i panni
della nostra umanità (…). La gente, se legge la Bibbia, perde la fede se non la
si illumina sui linguaggi del tempo”.
Se vogliamo mantenere dei cristiani capaci di leggere la Bibbia, senza che
questa entri in contraddizione con la propria fede, anzi la nutra, bisogna usare
il metodo storico: collocarla nel tempo, capire il livello semantico,
ermeneutico, storico ed usare i dati delle nuove scoperte archeologiche che, per
esempio, ci dicono che Gerusalemme aveva dimensioni diverse da quelle che
leggiamo nella Bibbia: poteva avere da 19000 a 26000 abitanti, qualcosa come
Rivalta. I dati archeologici sono molto importanti per capire che i racconti di
Abramo, Mosè, dei patriarchi, hanno un enorme significato, ma le loro tracce
storiche sono minime. Così, anche per fare un altro esempio, la vicenda degli
ebrei che escono dall’Egitto deve essere ricondotta ad una delle
esemplificazioni delle centinaia di fughe di gruppi di schiavi, che nei regni
dell’Antico Oriente riuscivano a fare la scelta della libertà ed, in nome della
loro sete di autonomia e del loro dio, si liberavano.
Israele ha costruito questa vicenda e l’ha resa
paradigmatica: il dio è il dio
della libertà, ma evidentemente questa è una
vicenda che appartiene a tutta l’epica dei popoli vicini. Nel libro di Giosuè
c’è la conquista di Gerico, ma questa città era già caduta due secoli prima. La
Bibbia non ci dà il resoconto storico dei fatti con dati e numeri come farebbe
un libro di storia ai giorni nostri. A loro interessa dire, nel racconto della
caduta delle mura di Gerico, che anche le muraglie più potenti possono essere
abbattute se si ha fede in Dio: è un insegnamento prezioso! I dati archeologici
ci rendono consapevoli della distanza che esiste tra il racconto biblico e la
verità archeologicamente documentata. Faccio un esempio: le figure di Mosè e di
Abramo saranno veramente esistite? Sono figure paradigmatiche, quello che è
importante è che saranno certamente esistite guide per il popolo verso la
libertà e, su queste figure leggendarie, si sono poi costruiti i racconti. Il
codice dell’archeologia è preziosissimo perché, anzitutto, ci distoglie da una
lettura fondamentalista e ci dice che questa è un’epica dei popoli, comune in
tutte le grandi tradizioni. Pensate per i musulmani l’epica di Muhammad che vede
l’arcangelo Gabriele. È chiaro che sono tutte situazioni non documentabili
storicamente, ma sono racconti pieni di fede. Occorre essere consapevoli del
procedimento kerigmatico della Bibbia, la quale vuole prima di tutto trasmettere
un messaggio, se no legittimamente puoi domandarti :“ma allora sono tutte
fandonie?”. Non sono fandonie, sono racconti pieni di significato, a partire
da un nocciolo esistenziale minimo. Hanno organizzato un pensiero grande, una
cosa meravigliosa. Stesse cose si possono dire anche per il Secondo Testamento:
Gesù che cammina sulle acque, la moltiplicazione dei pani, i racconti di
miracoli, di guarigioni, dell’epilettico, dei demoni... Il codice psicologico
ermeneutico della Bibbia ti dice che in realtà si parla di sofferenze, di
emarginazioni, se no tu fai di Gesù un mago. La conferma più bella della Bibbia
viene dall’archeologia che, con i ritrovamenti di Qumram e di Nag Hammadi, ha
scoperto moltissimi testi che ci permettono oggi di conoscere meglio la
letteratura biblica in traduzioni siriache, greche, ebraiche, il vangelo di
Filippo, il vangelo di Tommaso: grandissimi testi di una preziosità incredibile,
che per alcuni secoli sono stati “il quinto vangelo”, con l’autorità di uno dei
4 canonici. In alcune zone non si conosceva il vangelo di Giovanni.
L’archeologia ci ha fatto un servizio straordinario! Chi è a conoscenza di
questo meccanismo si rende conto della ricchezza e della bellezza di tutto ciò.
Il cristiano medio, lo dico con molto rispetto, legge la Bibbia con lo stesso
metodo con cui noi leggiamo il giornale di oggi. Non gli hanno fatto conoscere
l’importanza del metodo storico-critico, dell’ermeneutica simbolica, del metodo
archeologico. La nostra fortuna di oggi è di poter accedere a questi strumenti.
Interpretare è “scoprire con meraviglia”, significa superare la “statua” della parola, fra le montagne di parole fuori tempo, dovete cercare la parola viva di oggi. Questa è la promessa della lettura biblica, non la semplice lettura immobilista della parola, ma la parola in movimento. Chi dice una parola, come noi stiamo facendo, sa che la narrazione ai vostri figli ha bisogno ancora di altro. Sa che se tu ti sposti in un altro continente devi parlare un’altra lingua. La parola di Dio è permanente nel senso che non cesserà. Se la si interpreta in questo modo esistenziale, vitale, storico, non cesserà di parlare anche in futuro. Da innamorato della Bibbia vedo quanto sia importante conoscere questi scogli, perché sono la realtà vissuta dell’umano, quella che siamo chiamati a vivere anche noi. Tutta questa ambiguità, questo tormento che attraversa la Bibbia, questa contraddizione non è forse la vita umana? Nel secondo secolo c’è stata un’operazione di un grande studioso, Marcione che, con la sua scuola, voleva mettersi a tavolino e fare un’operazione di forbici, tagliare tutti i passi che in quel momento sembravano spuri, scandalosi: voleva salvare uno due dei vangeli e qualche scritto di Paolo. Ci fu una rivolta delle comunità cristiane del secondo secolo, che allora si consideravano ancora ebree, il cristianesimo non era ancora nato, che dissero: –Non togliamo via nulla perché tutto questo è la nostra storia, il nostro rapporto con Dio –.
Grazie a loro abbiamo conservato le scritture ebraiche con quelle cristiane.
Gli ebrei cominciano adesso ad amare le scritture cristiane ed a considerarle come un campo per la loro fede anche se dicono: – Noi non accetteremo mai che voi abbiate divinizzato Gesù, perché vi siete impossessati di un nostro profeta, lo potete anche chiamare Messia, ma voi non potevate farne un dio! Condivido pienamente. E’ stato con la Shoà che paradossalmente ci siamo posti il problema delle nostre responsabilità e delle nostre parentele. Oggi per fortuna, pur essendo un processo molto lento, il dialogo ebraico - cristiano ha una grande accoglienza. Vi faccio un esempio: un cristiano parla di Antico e Nuovo Testamento. Gli studiosi dicono sarebbe meglio dire: il Primo e il Secondo Testamento, Il Testamento ebraico e il Testamento cristiano. La parola “antico” ha dato una forsennata, tragica lettura, come se il Testamento Antico fosse il Testamento del Dio violento ed il Nuovo Testamento quello del Dio - amore, tragica perversione! Gesù era un ebreo, aveva le sue convinzioni, le ha superate in molte cose e le ha accolte in altre. Ci sono dei passi di violenza in tutti e due i Testamenti. Il Primo Testamento è enorme, quindi ne ha molti di più, ma ci sono passi di violenza anche nel Secondo Testamento. E’ una semplificazione quella di dire che nel Primo c’è il Dio violento e nel Secondo c’è il Dio buono. Per fortuna i biblisti cattolici, in maggioranza oggi queste cose le dicono, sostengono che dobbiamo proprio fare una conversione di mentalità: trovare i passi ambigui delle scritture ovunque, nel Primo e nel Secondo Testamento. La ricerca è aperta. Ma quanto di questo passa nel popolo di Dio? Questo è un altro discorso.
La conoscenza storica
ha ancora un ulteriore elemento: un testo non è esattamente come un racconto di
un romanzo, che uno scrittore o una scrittrice può, in una seconda edizione,
rivedere e correggere. Le cose sono diverse! Quando noi leggiamo Giosuè,
Deuteronomio, 1 e 2 Samuele, 1 e 2 Re, che sono i grandi libri storici, notiamo
che c’è una pluralità di fonti, il che vuol dire che si sono succeduti più
scrittori e poi c’è stato il momento redazionale. Il redattore aveva a
disposizione più racconti di uno stesso fatto, perché provenivano da zone
diverse. Quindi alcune vicende, come la storia della monarchia, la vita di Mosè
ecc. sono raccontate in due o tre modalità differenti. L’autore pensava, molto
diversamente da noi,
che nei vari racconti ci fossero differenti insegnamenti.
Faccio un esempio: Mosè sta per morire, vede la terra promessa ma non vi
entrerà. Il Deuteronomio dice – guardala bene Mosè tanto tu non ci metti piede,
il tuo compito era di arrivare fin qui e vedere la Terra promessa –. Ma il libro
dei Numeri dice: – tu Mosè non entrerai nella Terra promessa perché a Meriba,
dalla roccia non scaturiva acqua ed hai perso la fiducia in Dio –. Terza
versione: – Hai difeso troppo il tuo popolo che me ne ha fatte di tutti i
colori, adorando gli idoli, non hai compiuto bene la tua missione –. Ci sono tre
versioni della morte di Mosè con tre insegnamenti. Nel primo Mosè è la figura
dell’intercessore che va oltre misura e ama il suo popolo: così si vuole
celebrare Mosè come servitore. L’altro insegnamento dice che coloro che compiono
un servizio arrivano fin lì, ma la salvezza è di Dio: – Tu hai visto la terra,
hai fatto la tua parte, ritirati! Buon viaggio –. In base al terzo insegnamento
anche i profeti perdono la pazienza e sono a rischio di smarrire la fede. Quindi
non viene creato “San Mosè”, viene fatta una memoria del profeta, ma lungi dal
santificarlo. Non sarebbero mai stati cattolici questi!
Noi abbiamo perso, nella cultura visiva dell’occidente, gran parte delle valenze
simboliche. L’ebreo è un sognatore, la Bibbia è piena di sogni, che evocano
quello che Dio ci colloca nel cuore: Maria sogna, Giuseppe sogna, Abramo sogna,
tutti sognano nella Bibbia! Il sogno indica l’oltre: guai a spegnere i sogni!
Essi possono essere scambiati per illusioni, ma bisogna sognare, perché il sogno
è l’“ulterio-rità”, è una finestra aperta sul futuro. Bisogna incarnarli
lentamente, ma questo è il compito della politica. Però il sogno è: – Non mi
accontento di questo presente –. Nella Bibbia essi hanno una funzione altissima
ed è Dio che ce li mette.
Dopo queste note ermeneutiche
passerei a qualche annotazione sparsa sul libro di Giosuè.
E’ il libro della conquista, dove si entra finalmente nella Terra Promessa. E’
un libro epico come lo sono l’Iliade e l’Odissea. Fa parte della storiografia
deuteronomista. Ma accanto all’enfasi epica vi sono sempre delle figure difformi
da Israele, che sono portavoce di Dio, come Rab, la prostituta che ha servito il
popolo d’Israele ed è benedetta. C’è l’attraversamento del Giordano, con il
curioso gesto di prendere delle pietre e metterle in evidenza per non
dimenticare che sono passati. Portare delle pietre nel passaggio rinforza il
ricordo, lo rende corporeo. La memoria non è solo un fatto visivo, deve
attraversare il mio corpo. Poi c’è la circoncisione, anche se questo rito si
affermerà più tardi. Troverete che qui la Pasqua viene descritta in modi ancora
diversi da altre tradizioni. La conquista di Gerico, l’imprendibile: come
avviene? Suonano un po’, fanno una processione di 6 o 7 giorni attorno alle
mura e queste crollano. Se si prega Dio, non c’è muraglia che tenga! Abbiamo poi
i racconti in cui gli avversari vengono fatti fuori in maniera truculenta,
sterminati. Ma ogni tanto bisogna rinnovare il Patto, perché il popolo combatte,
ma è anche tentato di assimilare le divinità pagane. Al capitolo 10 Giosuè ferma
il sole. Sono tutti midrash ebraici, ma molto interessanti, perché un
insegnamento fondamentale d’Israele è che per amare bisogna avere meraviglia: è
la meraviglia che induce all’amore. Se tu non contempli e non scopri con
meraviglia la presenza di Dio, non vai avanti nella vita. Noi siamo consueti
camminare tra i miracoli, dice l’ebreo, e non li vediamo. Non bisogna nella vita
perdere la meraviglia, perché si cammina tra i miracoli, ma non li si vede: la
meraviglia del sole, la meraviglia delle stelle... Nell’antichità si andava a
piedi, non c’erano luci e nel silenzio notturno si poteva osservare e fermarsi,
c’era molto questo senso dello stupore. Una delle cose da non perdere nella
nostra vita è lo stupore, la meraviglia, perché tendiamo ad abituarci a tutto. A
voi che vivete una relazione di coppia dico: – Non è scontato volersi bene una
vita; non è scontato, se finisce un amore, trovarne un altro; non è scontato
aver generato dei figli, accompagnarli nella vita; non è scontato che noi
possiamo trovarci, parlare, gioire, abbracciare. Nulla è scontato, io vorrei
dirlo continuamente al mio cuore: nulla è scontato! –
Dopo gli stermini di massa e la conquista della terra, c’è la divisione del
territorio tra le 12 tribù. Anche qui il codice storico ci dice che le 12 tribù
sono in realtà un’invenzione, il loro numero è incerto, 12 era un numero
paradigmatico, significava la pienezza della benedizione per Israele. Giosuè
deve sovraintendere che nessuno accumuli e che ciascuno abbia la sua parte.
Perché ci sia un popolo ci devono essere delle regole e ci deve essere il
diritto, uno deve rispettare anche il territorio dell’altro. Al cap. 20 c’è
l’istituzione delle città-rifugio: se tu avevi ucciso involontariamente o
provocato dei danni irreparabili, o commesso una violenza per cui venivi
punito, c’era il rischio della cosiddetta “vendetta di sangue”, c’era la legge
del taglione. Ma qualche volta, nella collera popolare o nella risposta
personale, si andava oltre e la città-rifugio rappresentava una tutela contro
chi aveva compiuto degli errori che, quindi, veniva in qualche modo protetto, si
impediva che fosse ucciso: non era autorizzata la vendetta personale.
Leggendo le pagine della conquista, sembra che abbiano sterminato tutte le
popolazioni residenti, ma non è avvenuto assolutamente così: Israele è entrato,
lentamente, a piccoli gruppi, dove ha trovato un po’ di spazio. Questa è la
realtà storica della cosiddetta conquista. Nessuna grande guerra né grandi
battaglie, forse qualche scaramuccia, perché erano quattro gatti. E’ un racconto
epico. Israele si è insediato nei territori dove ha potuto ed ha occupato una
zona che poteva essere grande come la Valle d’Aosta. Nella visione epica ne fa
un impero! Solo con i secoli successivi avrà un po’ di espansione, ma non
raggiungerà mai delle dimensioni imperiali.
Al cap. 23, nell’ultima
sua esortazione, Giosuè mette in guardia il popolo dall’idolatria: “16Se
trasgredite l'alleanza che il Signore vostro Dio vi ha imposta ed andate a
servire altri dei e vi prostrate davanti a loro, l'ira del Signore si accenderà
contro di voi e voi perirete presto, scomparendo dal buon paese che egli vi ha
dato”. Nell’ultimo capitolo a Sichem: promesse del
popolo, morte di Giosuè.
Voi mi chiederete quando è stato redatto. Abbiamo notizie molto precise sulla
redazione: quando nel VI secolo gli ebrei furono deportati a Babilonia
(587-539), ricostruirono le memorie, raccolsero i racconti sia midrashici che
storici. Il pericolo era assimilarsi alla cultura dei vincitori, perdere la
speranza, la fede in JHWH. Viene redatta la memoria epica come per dire: – Ora
voi siete nell’incertezza e nello scoraggiamento, ma guardate il nostro Dio cosa
ha compiuto, come ha fatto cadere Gerico. Voi avete paura di riprendere il
vostro cammino di fede: coraggio cadrà anche Babilonia! –