L’uomo Gesù. Giorni, luoghi, incontri di una vita

di Franco Barbero

 

Presentazione del libro di Adriana Destro e Mauro Pesce “L’uomo Gesù. Giorni, luoghi, incontri di una vita” Mondadori, 2008 - dalle note e sbobinatura di Donatella Nigra

                                                     

In “cdb informa” n° 44 giugno 2009

 

 

Questo testo si colloca nell’ambito della ricerca sulla figura storica di Gesù. Fino a 50 anni fa il centro delle ricerche era il messaggio, gli studiosi erano biblisti e teologi; ora lo studio è uno spazio aperto di ricerca multidisciplinare e vede protagonisti sia studiosi ebrei che cristiani: si assiste ad una rivisitazione di spazi, luoghi, culture che ha permesso di ricondurre e ricollocare Gesù nel suo contesto.

Gli autori di questo libro sono uno storico e un’antropologa: si utilizzano così due diverse competenze; l’opera risulta molto approfondita e pertinente. Si propongono di valorizzare il messaggio di Gesù a partire dalla sua prassi di vita, esplorano l’uomo Gesù nella sua prassi quotidiana. Il messaggio di Gesù non è leggibile se non a partire dal suo stile di vita. Ai tempi del catechismo vi era la presentazione della dottrina, non dell’uomo Gesù: la sua vita, i luoghi dove viveva non erano considerati dati importanti, si prescindeva dalla vita quotidiana di Gesù, era il Gesù dogmatico più che il Gesù storico.

Che relazione esiste tra quello che oggi chiamiamo il discepolato di Gesù e le sue reali intenzioni?  Non esiste forse un abisso tra ciò che le chiese cristiane hanno insegnato e il Gesù storico? C’è tradimento o coerenza? C’è rottura o continuità? E’ tradizione o tradimento?

Quello che la ricerca sul Gesù storico ha evidenziato è che occorre partire dal mondo ebraico: invece si è dato per scontato che Gesù fosse cristianizzato, per cui la storicità dell’uomo ebreo scompariva. Abbiamo de-ebraicizzato Gesù facendogli rivestire i panni della cultura ellenista, Gesù è stato cristianizzato. Dove è sparito l’uomo ebreo Gesù? Di un credente in Dio ne abbiamo fatto un Dio; Gesù da promulgatore del progetto del Regno di Dio è diventato il fondatore della chiesa: qui c’è stato lo iato tra la storia e il dogma, tra il Gesù storico e il Gesù della chiesa. Ne abbiamo fatto un contestatore dell’ebraismo, ma non è stato così, è stato anzi un osservante fedele e pio,  ma ha contestato gli aspetti della tradizione che seppellivano la fede ebraico-profetica.

La ricerca storica su Gesù porta a cancellare, a non considerare più veri, una serie di dogmi: la divinità ontologica di Gesù, la trinità, la fondazione della chiesa da parte di Gesù e la sua struttura gerarchica. Nella ricerca tutti questi elementi sono ormai assolutamente acquisiti e superati, mentre ancora sono ripresi e sostenuti nel catechismo: siamo al di fuori di ogni ricerca storico-scientifica, nel catechismo c’è solo la trasmissione dogmatica.

 

Vediamo alcuni temi presenti nel testo: vita itinerante di Gesù. Alcuni elementi ci fanno immaginare la vita di Gesù: genitori giovani, famiglia numerosa, immersione nella vita del villaggio…. E’ fondamentale l’incontro con il Battista dal quale si fa battezzare, lo segue all’interno del suo movimento; alla sua morte (documentata da Giuseppe Flavio) ne prende il posto e inizia il suo peregrinare di villaggio in villaggio: questo non va inteso come un rifiuto delle grandi città, ma unicamente come scelta organizzativa (sono il suo ambiente, li osserva nella loro quotidianità; è un uomo di campagna, non di città). All’epoca in Israele c’era una cultura diffusa: mediamente si conoscevano 2/3 lingue (l’aramaico perché lingua del popolo, l’ebraico la lingua delle scritture, il greco per l’impero, il latino per la successiva occupazione romana). Inoltre dalla diaspora derivavano contatti ed informazioni da altre culture. Perciò mediamente in Israele c’era una cultura più alta rispetto a quella dei popoli sedentarizzati.  Gesù preferisce accamparsi nei villaggi: la sua critica è rivolta al modo in cui la religione tradizionale viene praticata, critica lo stile e il potere sacerdotale centrale. Gesù si situa nello stesso filone  di Isaia (1, 39, 40, 55, 66): grande profeta, ma critico nei confronti di alcuni aspetti della religiosità.

Gesù non è un nomade, non è un viaggiatore, non è un pellegrino: Gesù si sposta per incontrare persone e per annunciare Dio, ogni giorno riattualizza il suo progetto. Le dimensioni di questi villaggi sono le più diverse (vanno da 60/70 case fino a 200/220). Che cosa sorregge Gesù? L’attesa del regno, il regno di Dio è imminente: tra i ricercatori si è aperta una certa disputa sul tempo di questa venuta, ma questo evento atteso è sicuramente l’elemento decisivo. Gesù che all’inizio segue l’insegnamento del Battista è sorretto dalla piena fiducia in Dio. Spesso Gesù si apparta per cercare dentro di sé e per pregare prima di iniziare il rapporto con le persone. Contemporaneamente  sono presenti solitudine ed autonomia; c’è un abbandono incondizionato a Dio, un riferimento costante a lui (elemento tipico dei profeti ebraici).

In questa vita itinerante come mangiavano? Come si curavano? Come si riparavano? I compagni di Gesù saranno stati una ventina di persone tra donne e uomini. Nella cultura ebraica coloro che compivano un cammino itinerante avevano diritto all’ospitalità. La famiglia era allargata e c’era sempre spazio per l’ospite (e chi faceva parte dei movimenti itineranti era considerato ospite). L’ospitalità non poteva durare più di tre giorni: si poteva passare per approfittatori e non più per profeti.

Intorno a Gesù c’era un nucleo di itineranti: non potevano essere persone anziane perché non avrebbero retto i disagi del viaggio, non potevano essere persone giovani perché dovevano ancora fare le scelte della vita (casa, famiglia, figli, …), erano persone di mezz’età, lavoratori stabili, del ceto medio, adulti, che potevano decidere della propria vita; non poteva essere chiunque. Gesù non vuole esporre ai rischi dell’itineranza chi non è preparato; qualcuno viene rifiutato (l’indemoniato di Gerasa: torna nel tuo villaggio, è appena uscito da una situazione difficile). Poi c’è un gruppo di discepoli sedentari che avevano conosciuto Gesù, non andavano in giro ma traducevano i suoi insegnamenti nella vita quotidiana e nelle realtà locali. C’era ancora un gruppo di simpatizzanti che provavano stima e simpatia per Gesù e aiutavano il suo movimento, erano persone di particolare affidabilità.

Gesù compie anche delle scelte organizzative per la gestione del gruppo. Sicuramente erano presenti delle donne, era un gruppo misto con le polemiche e i possibili pregiudizi che potevano derivare. Gesù gestiva anche i problemi di tenuta del gruppo (liti, rivalità, subbugli, tensioni, privilegi, ...).

Gesù non aveva nessuna credenziale se non il suo messaggio, la sua parola, la sua vita, le sue opere; Gesù ha un impatto incredibile con le persone, lui predicatore marginale senza nessuna autorità ufficiale, ha invece un’autorevolezza singolare presso la gente, ha doti taumaturgiche e straordinarie capacità di comunicazione; Gesù ha prodotto benessere, ha liberato la vita di molte persone; le persone hanno sperimentato in lui un guaritore.

Quale era la pratica di Gesù per incontrare la gente? Il suo stile era la commensalità (= mettersi a tavola, mangiare insieme). La commensalità nei villaggi rappresentava un elemento di classe o di casta: i notabili mangiavano con i notabili, i poveri con i poveri, ci si ritrovava tra pari. Gesù proclama il tempo delle “cattive compagnie” e non esclude nessuno: prostitute, esattori delle tasse, lebbrosi, romani, …

Gesù suscita uno scandalo incredibile: ciò è intollerabile per chi si sente “per bene”. E’ un’inclusione totale, Gesù è contro ogni esclusione non per provocazione ma per far risaltare i contrasti.

La nostra società è una realtà che esclude: dobbiamo denunciare questo scandalo; la nostra pratica è escludente, siamo immersi nella cultura dell’esclusione. Bisogna invece espandere la commensalità, è l’immagine del Regno come convito: ci sarà pane e vino e la felicità per tutti. Dio ne ha dato per tutti e se ne avanza ancora!

Gesù fa una serie di pasti per far vedere che a partire dalle nostre situazioni quotidiane possiamo creare alternative alla esclusione.

L’orizzonte della commensalità è centrale: non sceglie né lo studio né la famiglia come strumento ma la commensalità che include tutti ed è lo strumento per proclamare l’annuncio e insegnare già sulla terra come sarà il regno di Dio.  Egli insegna il Regno mangiando insieme. La celebrazione dell’eucarestia dovrebbe essere proprio questo: invece è successo proprio il contrario perché è subentrata l’esclusione: se non sei confessato sei escluso, se sei divorziato sei escluso, se sei omosessuale non puoi accedere, … L’eucarestia è diventato un posto per addetti ai lavori. L’invito, invece, è di andare nei crocicchi a cercare gli esclusi, gli ultimi.

Questo dovrebbe mettere in discussione la nostra vita personale e comunitaria.

Quella di Gesù è una prassi corporea: tocca, abbraccia, ripristina l’integrità delle nostre relazioni, non è abitato dalla paura, dal contatto, non si difende, è l’uomo della comunicazione, della corporeità (sa piangere, sa commuoversi, sa ridere, sa arrabbiarsi, …); la diversità non lo spaventa, guarda in faccia la malattia.  Noi ne abbiamo fatto una statuina (bravo, angelico, edulcorato, …).  Era la persona della strada, dalle emozioni forti perché incontrava delle sofferenze intense, stava “dentro la vita” e se sei dentro la vita devi gioire, piangere, ridere, …, la vita concreta non è un’astrazione.

In Gesù accanto alla commensalità più radicale convive una profonda solitudine, è un uomo mai profondamente compreso: la gente lo cerca ma non lo capisce fino in fondo. Gli autori dicono “Una vita che non cessa di parlare. L’uomo della mobilità e della convivialità rimarrà completamente solo e immobilizzato sul legno” e solo Dio lo richiamerà da tale immobilità. Dio si manifesta attraverso la vita concreta di Gesù, dentro la sua vita c’è la mano di Dio: è questa la vera filiazione, l’essere figlio di Dio non è essere Dio. Gesù ha una fiducia radicale in Dio.

Si continua a predicare il Gesù dogmatico, ma il Gesù storico è l’unico che può dire qualcosa agli uomini e alle donne di oggi: bisogna far uscire Gesù dalla scatola dogmatica per incontrare la vita e viverla nella gioia dell’incontro. 

Riportiamo in sintesi, alcune domande e risposte del dibattito che è seguito alla presentazione del libro.

Perché poi nasce il cristianesimo? L’ebraismo non dava risposte adeguate?

Sarebbe semplicistico dire che è avvenuto solo per il potere. In realtà Gesù ha avuto scarsa ricezione dentro l’ebraismo, gli ebrei cristiani sono stati sempre più emarginati rispetto al rabbinato dal 2° secolo, c’è stata una lotta tra i discepoli del Nazareno e il rabbinato: dalla polemica lentamente si è arrivati alla divisione. La separazione non avverrà fino al momento in cui i cristiani cominceranno a compiacere il potere romano e utilizzeranno le categorie culturali e filosofiche greche e romane, assolutamente estranee agli ebrei. Altro elemento: l’osservanza della legge e dei 613 precetti, Gesù si era schierato contro, ma ora c’è una prevalenza legalista all’interno dell’ebraismo. Molto presto ci sarà l’inserimento nella cultura imperiale e l’abbandono di quella ebraica: non è individuabile una data precisa che segna questo passaggio. Paolo ha dato una spinta d’acceleratore per l’uscita dalla prassi ebraica per entrare nella romanità. Nel 150 la separazione è ormai definitiva. La resurrezione?

La resurrezione appartiene alle fedi ben prima di Gesù. Una resurrezione bisogna farla oggi, l’altra può farla solo Dio.

Matteo si inventa il brano apologetico del “sepolcro vuoto” per dimostrare che Gesù era proprio risorto. Di tutte le persone care nella Bibbia si dice che “non si trovò il sepolcro”. Tutti gli scritti antichi, anche non ebrei hanno il concetto di sepolcro vuoto. Da qui è invece nato un equivoco: la fede è dimostrabile oggettivamente; aver basato la fede su una dimostrazione è pericoloso. Non si può dimostrare che Dio esiste, così come nessuno può dimostrare che Dio non esiste.

La fede è affidamento; la fede è ragionevole, non è razionale. La vita è più grande di noi.