“Un’anatomia di tutte le parti dell’anima” Italo Calvino
Introduzione alla lettura del libro dei Salmi
don Franco Barbero
Sbobinatura e adattamento non rivista dall’autore di una lezione del corso biblico di Torino
In “cdb informa” n° 51 dicembre 2011
Il canone ebraico, il TaNak, pone il libro dei Salmi al primo posto tra gli 11 scritti che vengono dopo la Torah e i profeti, attribuendogli così particolare rilievo, perché lo colloca molto vicino ad altri testi sapienziali come Giobbe e Proverbi. Secondo la tradizione ebraica questi tre libri sono “parenti”: i Proverbi sono quella saggezza diffusa che si raccoglie, si impara nella vita; Giobbe è la sfida alla sapienza, è in qualche modo “la sapienza messa in crisi”, perché nella vita ci sono eventi che mettono radicalmente in crisi il suo flusso normale. E i salmi? I Salmi sono il vertice della sapienza. In questo libro c’è un’onda sapienziale che fluisce continuamente, quindi esso ha molto da dirci per capire la vita e per capire la fede. Il salmo è la via per raggiungere il cuore della sapienza. Nella Bibbia, si può dire, in qualche modo Dio ci parla, nei salmi siamo noi che parliamo a Lui. La Bibbia è leggibile nel codice del dialogo, parchè essa è un’eco, un’ombra, una restituzione di ciò che è la vita di fede. In questo libro, in qualche modo, attraverso gli avvenimenti, gli sconvolgimenti, attraverso i profeti, la Torà è Dio che ci viene incontro, che apre, riapre, non chiude mai questo dialogo. E’ un dialogo a strappi, dentro la vita, attraverso la voce dei profeti, il grido, il pianto, le lacrime, la gioia, la danza e, di tanto in tanto, c’è la folgorazione profetica o il messaggio apocalittico. Insomma, Dio non lascia stare questa umanità, non l’abbandona. Tutto l’ebraismo vive di questo respiro: c’è un Dio che cerca l’umanità, che ci viene incontro in mille modi. L’ebraismo era lontanissimo, nella sua radice, da ogni fondamentalismo, non semplificava mai: non c’è un modo unico con cui Dio ci cerca, ma ce ne sono mille, e noi dobbiamo cercare Colui che ci cerca. Il salmo è questa onda sapienziale dove si prende atto del fatto che Dio ci parla, ci cerca, non ci abbandona e a Lui, da qualunque parte, si può rispondere. Un libro piccolo e bello che raccomando è quello di Alberto Mello “I salmi, un libro per pregare” edizioni Qiqajon. Qual è il concetto fondamentale per questo autore? E’ il fatto che noi viviamo nel “timor di Dio”, concetto che non ha nulla a che vedere con le parole italiane “timore, paura”, ma si tratta di tutt’altra cosa nell’ebraismo. Il timore di Dio è la consapevolezza che c’è una relazione che ci precede e noi viviamo in questa culla dell’amore che ci accompagna, viviamo, se posso permettermi questo paragone, come degli uccellini nel nido che attendono l’imbeccata e però sono anche chiamati a spiccare il volo. Il Salterio ci insegna le parole che possiamo e dobbiamo rivolgere a Dio, fonda una certa relazione che non è tanto quella di Dio con l’uomo e la donna, ma quella dell’essere umano con Dio e anche queste parole sono “Rivelazione”, non soltanto quelle che Dio indirizza a noi. Anche questa possiamo dire è sapienza. I rabbini insegnano che tutto è nelle mani di Dio fuorché il timor di Dio. Il nostro atteggiamento di creature si impara vivendo, vivendo impariamo la nostra creaturalità. Del timor di Dio parla tutta la letteratura biblica, vi cito 8 versetti: “Il timore del Signore è il principio della sapienza” Pr. 1,7; “inizio della sapienza è il timor di Dio” Pr. 9,10; “ecco temere Dio questa è sapienza” Gb. 28,28; “principio della sapienza è il timore del Signore” Sal. 111; “principio della sapienza è temere il Signore” Sir. 1,12; “pienezza della sapienza è temere il Signore” Sir. 1,14; “corona della sapienza è il timore del Signore” Sir. 1,16; “la radice della sapienza è temere il Signore” Sir. 1,18.
La parola “timore” è tradotta dal nostro Autore con: “affettuoso rispetto, consapevolezza della creaturalità, libertà di sentirci creature amate”. L’idea di base è proprio quella della relazione: tutta la sapienza di un essere umano si fonda sulla sua relazione con Dio, questo rapporto ci da’ la dimensione del nostro relazionarci con le altre persone. Il salmo 66 dice: “unifica il mio cuore affinché stia nella giusta relazione con Te”. Le parole nella nostra lingua hanno assunto tutto un altro significato. Specialmente nella predicazione il timor di Dio ha avuto le accentuazioni della paura, del terrore, del castigo. E’ difficile liberarci da questo. Timor di Dio, nella lingua italiana, conserva tuttora una costellazione di emozioni e di sentimenti negativi; le nostre sono approssimazioni, anche a livello linguistico, perché è difficile percepire la profondità di questo concetto ebraico. Io credo che il dramma del nostro occidente, oggi, a livello filosofico, antropologico, sia come ci collochiamo, perchè tendiamo a collocarci o come schiavi della legge, o come adoratori dell’immediato. Il timor di Dio ha una concezione molto diversa, ti mette nell’atteggiamento giusto di fronte a te stesso, te stessa di fronte agli altri. Secondo l’ebraismo è il rapporto che tu instauri con la tua creaturalità che ti aiuta a vedere la relazione con te stesso, te stessa e con gli altri.
Quando leggerete i Salmi vi accorgerete che cambiano i numeri. La numerazione dei salmi varia a seconda se consideriamo il testo ebraico masoretico o i manoscritti greci della versione detta “Septuaginta”. Le antiche traduzioni latine, come la Vulgata, solitamente seguono la numerazione greca. Le traduzioni moderne le indicano entrambe (una delle due è fra parentesi). Il testo è diviso, lo troverete in ogni commentario, in 5 libri come 5 sono quelli della Torah. Fino al 41 è il primo libro, poi si va fino al 72, poi fino all’89, poi al 106, dal 107 al 150 è il quinto libro.
Ma dove ebbero origine i Salmi? I luoghi sono stati estremamente diversi, ed è bello che sia stato così; molti sono nati nel Tempio, per le feste. Numerosi altri sono pre-israelitici, sono le danze, le ballate, le lodi al dio dei cananei: Israele ha preso il meglio che c’era e lo ha incorporato nelle sue tradizioni. Questo modo di poetare per Dio era diffuso in tutto il Medio Oriente: tutti i popoli, tutte le religioni di allora davanti a Dio ballavano, saltavano, cantavano e usavano gli strumenti; i salmi erano innanzitutto suonati, cantati, ballati. Israele in questo ha una sua originalità: in Esodo 15 abbiamo una delle prime poesie. La poesia apparteneva molto alla vita di allora: nelle feste e nelle ricorrenze nascevano le canzoni e ogni anno venivano ripetetute accompagnate dalle danze e dagli strumenti dell’epoca. Diversi Salmi sono nati alla corte di Davide, altri nei pellegrinaggi a Gerusalemme, la città del Dio fedele, della promessa; durante le soste, durante le fatiche si componevano dei canti, si cantava, ci si fermava, si riposava. Un altro gruppo di Salmi è stato composto da singole persone che descrivono la gioia, il dolore, la disperazione, la maledizione. Ci sono poi i Salmi di imprecazione contro i nemici, gli inni di lode, le suppliche per la guarigione. Siccome nella Bibbia c’è di tutto, nella preghiera ci deve stare di tutto: la preghiera è una relazione, non una finzione, per cui a Dio si può dire tutto perchè Egli legge nei nostri cuori. Nessuno avrebbe mai pensato di censurare le emozioni e i passi più violenti, come hanno fatto invece i vescovi per il breviario dei preti. L’ebreo direbbe: “perché tagli un pezzo di quel sentimento che mi appartiene?”. Non la Bibbia emendata, ma la Bibbia vissuta:questo è il genio dell’ebraismo! Come si farebbe in una chiesa cattolica a cominciare la settimana o finire il venerdi dicendo: “Signore come ti ringrazio perché i miei fori funzionano, quello davanti e quello dietro”?. Avete presente? E’ la benedizione a Dio dei fori! Infatti quando sei stitico o non fai la pipi è un bel guaio! Loro parlano di questo come parlano del Dio altissimo. La preghiera dei fori ha un’importanza eccezionale per l’ebraismo. Gesù non si è vergognato di dire: “Allontana da me questo calice”, non ha fatto l’eroe, non ha detto “che bello vado a soffrire, ad immolarmi”, perché era un ebreo. I Salmi sono stati composti in tutte le circostanze della vita: nella lode, nella disperazione, nella vendetta… E’ difficile che un uomo o una donna leggano il salterio e non abbiano dei momenti in cui si ritrovano pienamente. Leggendo il salterio ti conosci e ti riconosci, sono moltissimi i momenti della nostra vita che stanno dentro il salterio. I Salmi hanno incorporato tutto, compresa la tradizione cananea precedente. Sono composizioni poetiche che noi troviamo anche in altre parti della Bibbia. Innanzitutto c’è il materiale sonoro, infatti trovate il dodecacordo, i timpani, perché questa era la loro cultura. Non era pensabile recitare sommessamente il salmo, bisognava gridare a Dio, bisognava dirglielo forte, sia privatamente che nell’assemblea, magari accompagnati dagli strumenti dell’epoca. Si passa dal tono meditativo all’esplosione della gioia; tutto l’oriente aveva questa caratteristica. Non paragoniamoli ai nostri versi e alle nostre rime, perché avevano una libertà straordinaria, non conoscevano la rima; noi cerchiamo la rima, loro no, conoscevano semmai l’antifona, la ripetizione, l’inclusione, il ritornello, il parallelismo che era per loro fondamentale. Ce n’erano di molti tipi, i sinonimi: “Signore davvero tu sei buono, Signore davvero tu sei misericordioso”, ma c’era anche il parallelismo antitetico: “Signore beato chi segue la tua via, maledetto chi si allontana dai tuoi precetti”. I generi letterari sono: la supplica, gli inni, la lode. L’inno di lode è un inno che guarda il mondo e gli eventi nella vita delle persone, che vuole dire “grazie Signore”. Gli inni di lode sono moltissimi: lo si loda per la vita, per gli animali, le montagne, per la primavera che nasce. Dio è un essere che si manifesta in tanti modi: ascoltando la voce dei profeti, sentendo il proprio cuore, “nella preghiera tu mi hai parlato ti benedico…” e soprattutto “alleluia, alleluia, lode a te, lode a te”. Gli inni sono fatti per intrecciare tutto il creato: gli animali, le stelle, il cielo, le acque, tutto loda Dio. L’uomo ha solo il compito di nominare, ma tutto è una lode, quindi voi vedrete in questi Salmi le colline che si vestono, i capretti che saltano, gli alberi che ballano; è un simbolismo bellissimo, perché l’uomo e la donna non sono separati dal creato, dove c’è la tempesta, la pioggia, il sole... La creazione entra tutta nel salterio. Ma perché dicono gli studiosi c’è questa percezione? Perché vivevano immersi nella natura; il vento, la furia della pioggia, il secco del deserto, la malattia, la morte, il ladro che ti ruba e magari tu avevi solo una capretta, il vicino che spostava i confini, tutto ciò non era una metafora, ma la quotidianità. Noi cristiani, per secoli, abbiamo perso questa dimensione. Mello dice che i cristiani quando leggono i salmi si scandalizzano per la violenza di alcuni passi, ma se noi fossimo nella condizione materiale di un deportato in esilio, in cui non hai nulla da mangiare, probabilmente i Salmi ci parlerebbero molto di più. Quanto più la nostra vita è “comoda”, tanto più noi sentiamo questo mondo estraneo; per moltissime persone di quel tempo, ma anche della nostra epoca, l’esistenza è ancora feroce, come la vita che è sottesa in questi Salmi. Quando leggiamo i Salmi, in genere andiamo spigolando, scegliendo, e ognuna, ognuno di noi ha familiarizzato con alcuni di essi: credo sia un’operazione comprensibile! Dobbiamo essere estremamente liberi nella lettura, oggi, sempre di più. Il biblista Rendtorff e altri studiosi insistono per una lettura completa del libro dei Salmi, infatti se prendiamo per esempio l’Esodo, non prendiamo il capitolo 11 e poi saltiamo al 40, ed inoltre dobbiamo leggerlo trovando connessioni con la nostra vita reale. Leggere solo i Salmi preferiti ed evitare gli altri ci fa mancare di quegli aspetti della sapienza che noi non siamo soliti sottolineare. Faccio un esempio: i Salmi con i passi violenti molte volte li evitiamo perché non vogliamo fare i conti con la violenza che c’è nel nostro cuore; mi pare molto interessante questo aspetto, perché evidenzia quelle parti di noi che non vorremmo incontrare e tra queste, oltre la violenza, c’è la banalità, la sofferenza, la disperazione. In realtà nella vita, le domande drammatiche del salmo: “perché o Dio non ci metti la tua mano?”, “perché hai nascosto il tuo volto?”, “non vedi il mio dolore?, l’acqua mi è giunta alla gola”, “proteggimi Signore mi sento come perso…”, la morte e la malattia occupano un posto rilevante. Queste sono le cose che nella realtà noi viviamo, perché in una vita normale, ogni donna e ogni uomo attraversa questi momenti. Il fare in modo che ci “passiamo” dentro anche nella preghiera ci dice, intanto, che noi siamo parenti di queste donne e di questi uomini che ci hanno preceduti, che sono gli uomini e le donne della terra di oggi e di quella di domani. C’è un’umanità in cui noi preferiamo situarci per stare un po’ più tranquilli: il salmo ci ricorda che nella vita tutto ci può succedere, che la fede non ti mette al riparo da nulla, ma che Dio ti accompagnerà. Il salmo ci ricorda questa creaturalità materiale, che poi è la cosa più spirituale che esista. Non so quale mondo noi non troviamo nei salmi. Dovrebbe diventare un atteggiamento costruttivo della nostra fede leggere l’intero salterio, magari meditandolo, perché c’è sempre un pezzo dell’umano che vogliamo ignorare in noi e negli altri, i salmi invece ci ricordano che c’è. L’ebreo pensa che chi vive al cospetto di Dio vive al cospetto del “tutto”. La salmodia ci riporta a quegli angoli gioiosi, bui, nebbiosi che sono parte della nostra vita e ci ricorda che dobbiamo avere fiducia in Dio. Per esempio che senso ha pregare per un nostro amico, una nostra amica? Non è che la preghiera sia un parafulmine, ma è un grande legame spirituale. Pregare gli uni per gli altri, come dice Paolo è una grande unione: tu ricordi le persone, e le metti davanti a Dio. In qualche modo cambia la vita sapere che altri camminano con me.
Dobbiamo considerare il libro dei Salmi più che un’antologia, un libro vero e proprio e quindi percorrerlo tutto, senza saltarne nessuno.
Una questione che volevo porvi è che noi abbiamo fatto di tutto il salterio una lettura cristiana: nei versetti dove c’è il Messia, l’ “Unto del Signore”, abbiamo visto Gesù, ma il salmista non pensava affatto a Lui. Noi dobbiamo sapere che queste preghiere sono le stesse che Gesù ha ripetuto; Egli pregava con i Salmi, come i vangeli ci testimoniano. L’oppresso, il perseguitato dei Salmi non è Gesù; noi continuiamo in questa maniera a non rispettare l’alterità: l’ebraismo era pieno di giusti perseguitati. Questo nostro atteggiamento per gli ebrei è offensivo, ma ce lo portiamo dentro perché non siamo usciti dalla prigione del centralismo cristiano, questo è il grande problema! Se sono innamorato di Gesù, che per me è la via di Dio, questo non vuol dire che gli altri non abbiano una via diversa dalla mia e che va nella stessa direzione. Dobbiamo cambiare questa visione! Il vero problema è riferirsi a Dio: dobbiamo ricentrare bene su Dio, il Dio dei poveri, il Dio degli oppressi