SPERANZA E UTOPIA

 

di Franco Barbero

 

Incontro al Gruppo Primavera di Rivalta

sbobinatura non rivista dall’autore

 

In “cdb informa” n° 55 marzo 2013

 

Il tema esige che si guardi al significato delle parole: utopia deriva da due parole greche “U” e  “topos” che vuol dire non luogo, è qualcosa che non c’è in nessun luogo, non ha ancora luogo ma potrà averlo, qualcosa che non ha luogo da nessuna parte e non lo avrà mai. E’ per questo che  la locuzione utopia ha poi avuto nella sua aggettivazione due versanti diversi:

·      utopico:  allude ad un futuro che non è oggi realizzato, ma che potrà avere un realizzo storico

·      utopistico:  allude ad un’idealità che è fuori dalla possibile realizzazione, è parente dell’illusione, è un accanirsi inutile verso qualcosa che non avrà mai luogo.

E’ un’attenzione puramente semantica, che però è importante.

Attorno a questo concetto c’è stato un arrovellamento storico incredibilmente fecondo e vasto: ricordo solo per brevi accenni.

·              Tommaso Moro: siamo nella  Londra  del 16° secolo, stiamo entrando in una situazione sociale di estrema povertà e di conflittualità sociale, le classi meno abbienti sono abbandonate; è in questo segno che Tommaso Moro (grande credente, amico di Erasmo) pensa che esista da qualche parte un’isola chiamata Utopia nella quale i cittadini e le cittadine realizzino un’uguaglianza totale sul piano economico e sul piano dei diritti, cioè un egualitarismo totale. Questa sua fantasia non è semplicemente un’idea evasiva, è una reazione al suo vissuto, ma è anche il desiderio di suggerire attraverso proposte concrete come si potrebbero eliminare le diseguaglianze. Non c’è solo un disegno ideale, ma fa proprio delle proposte (diritti, scuole, …), questa volontà di progettare ha accompagnato da sempre l’umanità. Ricorderete anche la “Repubblica” di Platone e altri studi antichi,  ma qua siamo all’inizio di una modernità che deve già fare i conti con la situazione della grande città dove si comincia a introdurre una vistosa diseguaglianza: già allora Londra era il luogo dove arrivava un gran numero di stranieri, si poneva il problema delle non accoglienze e Tommaso Moro lo pone come fatto religioso e poi laico;

·              Tommaso Campanella: ci sono nella “Città del Sole” i cittadini detti Solari, che vivono alla maniera del sole, ci deve essere libertà di religione per tutti, bisogna vivere secondo natura, bisogna dare a tutti da vivere, bisogna eliminare la proprietà privata che favorisce l’accumulo e provoca miseria. Campanella viene dichiarato eretico, disegna una società universale, dove bisogna  avere alcuni principi (ad esempio occorre la fiducia in Dio, siamo in un universo completamente religioso, Dio è la fonte del diritto universale, dove tutti ricevono gli stessi trattamenti)

·      “La città felice” di Patrizi

·      “La nuova Atlantide” di Bacone

·              nel primo ‘800 ci sono i cosiddetti socialisti utopistici (Saint-Simon, Proudhon, Owen, Fourier) sono un po’ tutti discepoli di Moro e Campanella: sostengono che non c’è bisogno di una rivoluzione, in modo non violento la gente capirà, l’unica maniera per essere felici è di non difendere la proprietà privata, ma partire dagli ultimi; non si deve ricorrere a mezzi violenti;

·              la risposta successiva viene da Engels e Marx: la risposta sta nella lotta di classe, perché sarebbe bello un mondo senza violenza, ma è irrealizzabile; sarà necessaria una presa del potere proletario, diversamente tutte le utopie sfioriranno;

·              altre utopie (Cuba, Allende, Concilio Vaticano 2°, …): nel 1973 con la morte di Allende ho avuto la percezione che il mondo stesse cambiando, che la grande fiammata avesse già un tormento. Infatti il movimento sognato come non violento, pacifico, egualitario e rispettoso realizzato da Salvador Alllende (contraddistinto da un grande senso di tolleranza) determinò la reazione di due forze congiunte che ne decretarono la fine (USA e Vaticano);

·              in quegli anni abbiamo la scuola di Francoforte (Adorno, Marcuse,  Habermas), poi in campo cristiano  l’idea che bisogna cambiare il mondo, bisogna coltivare nei popoli, seminare nei ragazzi, nella classe operaia queste idee: le ingiustizie non sono un destino, non bisogna dire che il Faraone è l’ultima voce potente, bisogna instillare questa voglia di libertà, non bisogna guardare il presente adorandolo, il presente deve essere mobilizzato verso il futuro. Paolo Freire “La pedagogia degli oppressi”; era il momento di don Milani, non bisogna formalizzarsi in un processo a tappe verso la società nuova, ma bisogna coltivare nel cuore delle donne e degli uomini l’idea di un mondo da cambiare, ognuno di noi deve portare un pezzo al cambiamento. Dai giovani popoli dell’America Latina venne questo messaggio “qui vi siete ripiegati, avete razionalizzato il processo del cambiamento, la rivoluzione deve avere un’anima e l’anima è il cambiamento, i poveri che vengono alla ribalta”. Anche ora bisogna vedere questi popoli nuovi e queste nuove democrazie (Morales, …)

·              Tutto sommato potremmo dire: da una parte c’è stato chi si accontenta del presente e lo vive o perché non ha nemmeno le forze di sognare un’altra realtà, chi è in un’oppressione che schiavizza o in un dolore che non lascia pensare o progettare oppure chi deve difendere dei privilegi, allora è chiaro che è meglio stare nel “luogo” piuttosto che progettarne un altro.

Vediamo quali sono le posizioni oggi, ci sono:  

à i negatori totali dell’utopia I potenti della terra

à I rassegnati o impediti dal pensare un futuro

reduci dalle lotte (“tanto non cambierà mai nulla”)

marcati dalla preoccupazione quotidiana del sopravvivere, per cui devono intensificare lo sguardo tutto sul presente e non hanno cuore sul futuro

à Gli utopisti che ritengono che cambiare la storia è come cambiare pagina, invece i cambiamenti richiedono tempo, non si può educare un figlio in 6 mesi, occorre vigilare sulle nostre contraddizioni, fare i conti con la realtà, con le leggi del mercato

Oggi matura anche il concetto che l’utopia si può vivere anche a piccoli passi

 

Il messaggio biblico ha qualcosa da dirci su questo argomento?

Su questo punto è straordinariamente originale. Il pensiero dell’utopia nasce nel mondo greco, si sviluppa nel mondo ellenistico nella sequela del dopo Platone e poi nel mondo occidentale, ma il pensiero ebraico è completamente diverso nella partenza, si chiede che cosa bisogna fare: la terra non sarà mai il paradiso nel senso della perfezione, ma bisogna prendersene cura; la perfezione sarà solo l’ultimo dono al creato fatto da Dio, noi dobbiamo occuparcene nell’intervallo. Il vero problema è l’intermezzo, il senso della storia è  quello che conta.

L’ebraismo non ama la teorie: quando noi cristiani parliamo del perdono, abbiamo fatto tutte le teorie ed elaborazioni teologiche. Gli ebrei hanno una riflessione diversa e più profonda: intanto se uno ti ha fatto del male, il primo passo può essere che tu cominci a restituire solo quello; secondo passo: lui ti ha rubato qualcosa che ti serviva, tu non farlo se è qualcosa di fondamentale per la sua vita, perché lui ogni giorno con quello deve mangiare, lui ha fatto male  ma tu te lo devi proibire. Il perdono non è una teoria per l’ebreo, è compiere delle scelte che fanno in modo che tu lentamente vai verso il voler bene. Non si vuole subito bene, bisogna permettersi l’odio, un pezzetto di vendetta e poi vedi di continuare, forse un giorno potrai perdonare del tutto.

Il messaggio biblico ci dice che la perfezione totale è un’illusione, la perfezione è il termine d’arrivo cioè il regno di Dio.

La fede speranza spinge però verso ciò che non è ancora, a fare in modo che piccoli pezzi del  non luogo diventino luogo. E’ la teologia del regno: la giustizia, l’uguaglianza lentamente si insediano a pezzettini nella storia del regno. Chi ci dà senso di questo è Gesù, che si comporta in questo modo: sa bene cos’è la dominazione romana, ma non invita il popolo a ribellarsi contro Roma, non fa l’utopista ingenuo, ma comincia ad insegnare alle persone ad avere la propria dignità. Gesù colloca le persone nella sua prassi quotidiana, permette alle persone che sono un nulla di essere partecipi e soggetti della società.

 

Nella Bibbia ci sono tre grandi nemici della speranza:

1.   rassegnazione

colui che  rassegna la dimissione dal compito di trasformare la terra, il potere può tutto e si smette di lottare, lo vediamo nella vita di tutti i giorni. Non è difficile capire come si arriva alla rassegnazione: tanti hanno lottato, ma si possono avere anche risposte di sconforto

2.   idolatria del presente

l’idolatria del presente è presente anche nel Vangelo, è l’uomo che progetta solo per sé, non è la rinuncia a  vivere, ma è fare del proprio ambito (in modo egoistico ed egocentrico) il tutto della nostra vita; c’è una progettualità, ma interessa solo me

3.   non perseveranza

il vangelo denota una grande esperienza, peraltro antropologicamente visibile, così come è molto visibile la facile stanchezza. E’ presente nell’epistolario di Paolo: infatti mentre Gesù ha vissuto una vita breve (un breve ’68),  Paolo ha vissuto con le comunità per 30- 32 anni e ha dovuto fare i conti con la perseveranza. Capisco cos’è la perseveranza, bisogna essere capaci di dire la nostra umanità.  Effettivamente è un problema, quando non vedi dei risultati, tanti sogni rimangono frammentari …

 

La Bibbia rilancia continuamente, cancellando un po’ la parola Utopia che non è nell’universo ebraico né in quello cristiano; rilancia invece un vivere di speranza fiduciale, rilancia continuamente  l’orizzonte utopico con parole molto concrete (“Bisogna fare nuovi cieli e nuova la terra”, bisogna rinnovare e cercare di cambiare in ogni campo; se hai fatto un patto devi farne sempre uno nuovo per non farlo invecchiare e farlo diventare stantio: devi rinnovare). L’aggettivo che ricorre di più è “nuovo”. Cos’è la cosa bella: ognuno vivrà in pace sotto il fico.

Nella tradizione ebraica sotto il fico si conciliano tre cose:  il riposo del corpo, il poter alzare gli occhi al cielo e il poter parlare con la gente. Sotto il fico si realizza la felicità possibile: non sarà l’utopia, ma è già una bella anticamera, è una cosa possibile, quotidiana.
La Bibbia è sul concetto quotidiano; non si insegnerà più l’arte della guerra, addirittura il lupo pascolerà con l’agnello.

I vostri figli, le vostre figlie, le vostre serve, i vostri servi, tutti faranno dei sogni: c’è ancora il concetto antico della schiavitù, però tutti hanno dei sogni, ognuno può portare il suo sogno, è tutto dentro la realtà.

La Bibbia dice però che c’è lo scandalo della dilazione. La Bibbia parla di questi passi, di questi sentieri, di verità parziali.

Bisogna cambiare volto alla realtà, lentamente. Ma la Bibbia conosce lo scandalo della contraddizione, della disperazione. Ed ecco i Salmi: perché non operi un po’ di più, fino a quando noi dovremmo attendere (dilazione).

La Bibbia cristiana finisce con “Maranatha” (Vieni Signore Gesù), lo scandalo della dilazione. Le cose non stanno cambiando, c’è un eterno differimento, l’ebreo sente molto questo fatto e la Bibbia è piena di promesse, però tu manchi all’appuntamento.

C’è anche  lo scandalo della contraddizione, sovente sono i potenti che hanno la meglio.

La Bibbia è piena di verismo e lo applica specialmente con Dio, per la Bibbia il rispetto è dirsi la verità, quindi il credente dice a Dio la verità.

E’ la disperazione di Gesù sulla croce che gli fa dire “Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato?”.

La fine del Padre Nostro è “non lasciarci cadere nella disperazione”, nella situazione in cui perdiamo la fiducia in te, la speranza. Purtroppo nel Padre Nostro italiano si dice ancora “non ci indurre in tentazione”.

Da una parte si tiene aperto l’orizzonte, la pratica dei passi e dall’altra parte c’è questo grande turbinio.

La speranza allora diventa la fiducia in una promessa che deve fare i conti con lo scandalo dell’invisibilità.

In una società come la nostra in cui si crede solo in ciò che si tocca e si ha fiducia solo in questo, avere una fiducia senza visibilità storica, senza dimostrazione diventa un’operazione estremamente difficile. Se ci pensate e se vivete intensamente l’eucarestia, che cosa succede? Noi, nello spezzare il pane pronunciamo il desiderio che il  mondo capisca che la politica della felicità è quella della condivisione. Lo rinnoviamo e soffriamo dentro di noi la nostra personale contraddizione di non esser così disponibili a metterci in gioco e poi di vedere lo sconforto di un mondo basato più sull’accumulo che non sulla condivisione.

Ci immedesimiamo in Gesù e nel suo cammino, proclamando la speranza nella condivisione nel futuro del mondo: o è la morte o è la condivisione. La chiesa dovrebbe rimproverarsi la sua indisponibilità a mettersi in discussione, ma anche il rimprovero al mondo per la sua struttura dove non si spezza il pane della condivisione.

Nella lettera ai Romani  cap. 4, la guida per Paolo è Abramo. In Abramo c’è la benedizione di tutte le genti, Abramo è la dimostrazione che Dio non ha un popolo, non ha un popolo eletto, benedice tutti i popoli, è il Dio di tutte le nazioni.

Abramo credette contro ogni speranza, Abramo è il modello (bisogna far diventare le cose che non sono). Lettera ai Romani   5,1–5   e  8,18–25 (centro del pensiero di Paolo): Paolo dice che Dio ci dona di sperare dentro l’invisibilità, di non perdere la speranza anche se i nostri occhi non vedono.

Paolo enuncia una speranza totalmente gratuita, nessuno spera in ciò che già vede, lo sconforto della speranza è il dover sopportare lo scandalo delle cose che non vedi, è l’elemento che connota la fede. Paolo si scontra con la comunità, sperare è porre fiducia in qualcuno che te lo ha detto ma di cui tu non vedi e non hai la prova. La speranza è l’argomento delle cose che non si vedono.

La Bibbia non dà un connotato di utopia, ci insegna a vivere nella dimensione della libertà, nella fiducia radicale in Dio. La radice della fede è continuare a credere che queste speranze non sono illusioni, ma continuare a credere, vedendone le contraddizioni e le realizzazioni parziali.

E’ molto importante avere gli occhi sulle disperazioni, ma anche sulle speranze: se ci abituiamo a vedere il diluvio, vedremo solo e sempre il negativo, e allora come credenti con gli occhi della fede, dobbiamo vedere e cercare dove pulsa la speranza.

In questo momento la speranza pulsa dove  le persone si impegnano per il cambiamento:

·    i popoli giovani che hanno il senso di qualcosa che può cambiare

·    i movimenti delle donne nel mondo sono un’altra grande profezia, nel campo delle chiese cristiane le teologie sono oggi al centro dell’interpretazione anche ermeneutica

·    omosessuali, lesbiche, transessuali

 

La speranza nella mia vita è stata una fiducia radicale nel Dio che è fedele, ma la cerco anche nei piccoli sentieri. La speranza diventa anche fette di realtà, un’attesa ma c’è anche una speranza che vede piccoli segnali che effettivamente prendono corpo nella storia del mondo. Toccherebbe a noi saperli individuare e coinvolgerci in questa speranza.

Le nostre piccole speranze quotidiane sono da rispettare, se sono in viaggio con la grande speranza sono molto importanti ed interessanti.