Eden: il peccato originale, un malinteso

 

di Giovanni Franzoni

 

in “Confronti” del giugno 2017

 

Nella lettura ebraica la narrazione del libro biblico del Genesi riguarda una tentazione, una tentazione che porta alla salvezza. Invece la lettura cristiana – mi riferisco in particolare ad Aurelio Agostino che, in gioventù, aveva avuto un’esperienza di dualismo come manicheo – è profondamente diversa, ed oggi domina praticamente indiscussa: essa, infatti, commentando la narrazione scritturistica sull’ammonimento che Dio dà ad Adamo, insiste sulla proibizione, a lui, di non cogliere il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, e sul castigo a lui che ha osato farsi come Dio.

Ma nei commenti del mondo rabbinico non c’è assolutamente la denuncia che Adamo su suggerimento di Eva abbia offeso Dio con l’intenzione di detronizzarlo; al contrario, nei catechismi e in tutta la predicazione delle Chiese si parla di un peccato originale di disubbidienza e di superbia. Quindi tutti nascono in peccato, nel peccato “originale” (si eccettua, secondo i cattolici, Maria Vergine madre di Gesù) e perciò hanno bisogno del battesimo per avviare un cammino di fede e di grazia.

Ben diversa la narrazione ebraica, chiaramente orientata su una rappresentazione di Dio come tentatore.

Ma “quale” tentatore? Come ampiamente documentato nel primo libro del Talmud (Genesi Rabbà) – oggi disponibile anche in lingua italiana – la riflessione ebraica rappresenta Dio come un tentatore che, però, sollecita la consapevolezza dei progenitori.

Nella narrazione del Talmud si espone la discussione rabbinica e si evince che Dio ha dovuto chiudere le porte del giardino della conoscenza e del piacere perché, per consequenzialità, i progenitori non potevano ignorare ciò che la condizione di innocenti e nescienti aveva nascosto loro.

Tuttavia, nella narrazione talmudica, Dio non solo è rigoroso e consequenziale ma, anche, misericordioso: perciò il serpente, pur condannato a strisciare sul ventre, proprio strisciando riesce a nascondersi nelle crepe dei muri e così sfuggire ai cacciatori; e Adamo, seppur “condannato” a zappare la terra con il sudore della fronte, constaterà che il sudore, insieme allo starnuto, è segno di buona salute. E segno di buona salute è anche il sonno che, dopo il lavoro pesante e doloroso, consola Adamo della sua fatica. Un altro rabbino aggiunge che nel sonno ci può essere anche il sogno e la eiaculazione notturna. Infine anche una buona defecazione è segno di buona salute.

Ad Eva poi Dio dirà che partorirà con dolore perché – notano saggiamente i rabbini – è più facile far crescere mille ulivi in Galilea che un solo figlio in Israele. Perciò essa è detta madre dei viventi.

Una lettura anch’essa falsificante il testo biblico viene fatta da coloro che si sono fatti sulla terra l’immagine di un Eden che, senza approfondire alcuna conoscenza, offrirebbe a tutti un benessere totale. Se si volesse turbare questa falsa felicità di una piccola parte di umanità, piccola ma rilevante, si dovrebbe ricordare ad essa – cioè “farle conoscere” – che la vita umana ha un limite nel tempo.

Alcuni di costoro, rifiutando ogni vera conoscenza, si sono però creati un mito, quello della ibernazione: credono che, messi – defunti – in orbita con i loro miliardi su un satellite artificiale, potrebbero essere ricondotti alla vita dopo oltre un secolo. Essi si affidano alla speranza che, in quel tempo futuro, troveranno medici che hanno scoperto una cura per il loro cancro, e così rivivrebbero. Questo sì mi sembra un modo ingiusto di riferirsi all’umanità e un falso Eden.