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La grande utopia di una terra senza mali. Una lettura dei “miracoli” di Gesù


Claudia Fanti


Tratto da: Adista Documenti n° 12 del 25/03/2017


doc. 2845 BELO HORIZONTE-ADISTA
. Se c'è un ambito che non può sfuggire al tentativo di demitizzazione del messaggio cristiano (v. documento precedente), è senz'altro quello dei miracoli, a cui si riconducono  anche le guarigioni e gli esorcismi descritti nei Vangeli. Miracoli che – secondo, per esempio, il vescovo episcopaliano John Shelby Spong – non possono più essere interpretati come avvenimenti soprannaturali provocati da una divinità incarnata, ma come «tentativi per tradurre in parole abbastanza grandi la potente esperienza interiore vissuta dai discepoli, la loro scoperta della presenza di Dio nell’uomo Gesù» (v. Adista Documenti n. 28/12). Non a caso, sottolinea Spong, i miracoli che gli vengono attribuiti, introdotti nella tradizione cristiana con Marco, agli inizi dell'ottava decade del I secolo (da notare che Paolo sembra non aver saputo assolutamente nulla al riguardo), possono essere spiegati come versioni estese di storie di Mosè, di Elia e di Eliseo, o come applicazioni alla vita di Gesù, in senso messianico, dei segnali del regno di Dio in Isaia. Cosicché, afferma, i miracoli «dicono una gran quantità di cose sul potere che la gente attribuiva a Gesù, ma non dicono nulla su ciò che è accaduto letteralmente» (v. Adista Documenti n. 94/10). 

Come interpretare allora tali racconti? Secondo il teologo spagnolo José Arregi, Gesù è stato senza dubbio un guaritore, uno sciamano. I suoi, afferma, «non erano miracoli nel senso della rottura delle leggi naturali, perché questi miracoli non esistono. Ma la guarigione, invece, esiste. E Gesù guariva. Gli spiriti tormentati si avvicinavano a lui e si sentivano consolati. I corpi colpiti da mali che erano, e continuano a essere sempre, fisici e psichici allo stesso tempo si sentivano alleggeriti. Cosa c’era in Gesù che guariva? Gesù guariva “toccando e raccontando”, avvicinandosi ai proscritti e dicendo loro belle parabole liberatrici. Gesù curava con il suo sguardo, con la sua parola, con la sua accoglienza cordiale. Gesù curava infondendo coraggio, restituendo la fiducia, trasmettendo pace, restaurando l’autostima di coloro che erano disprezzati dagli altri e da se stessi» (v. Adista Documenti n. 89/10). 

Ed è proprio sui racconti delle guarigioni e degli esorcismi compiuti da Gesù che si sofferma – sul numero della rivista di teologia Horizonte pubblicata dalla Pontificia Università Cattolica di Minas Gerais (n. 42/2016) – il teologo brasiliano João Luiz Correia Júnior, sottolineando come tali racconti – riscontrabili nel corso dei secoli in tutte le culture, in quanto riconducibili all'universale linguaggio dell'homo religiosus nella sua millenaria aspirazione a una “terra senza mali” – esprimano, «nel linguaggio religioso proveniente dalla cultura giudaica, la fede nella persona di Gesù come Messia».

Di seguito, in una nostra traduzione dal portoghese, il contributo di João Luiz Correia Júnior al numero della rivista Horizonte dedicato al tema “Racconti sacri e linguaggi religiosi” (http://periodicos.pucminas.br/index.php/horizonte/issue/view/782/showToc). 

Guarigioni ed esorcismi nei Vangeli

João Luiz Correia Júnior
 

Considerazioni iniziali

Tra gli innumerevoli racconti intorno alla persona di Gesù, i Vangeli danno un rilievo speciale alle guarigioni e agli esorcismi da lui realizzati. La pratica di questo taumaturgo, secondo quanto sta scritto, suscita ammirazione in molti, diffondendo la sua fama per tutta la Galilea, e provoca irritazione nei leader di quel contesto socio-religioso.

La ricerca relativa a questi racconti divide l'opinione di molti studiosi. Da un lato, essi sono attestati in molti strati antichi della tradizione, cosicché non è possibile dubitare che non ci sia un qualche fondamento storico. Dall'altro lato, tali racconti presentano il chiaro obiettivo di rafforzare la fede nella persona di Gesù, come il Cristo dei tempi messianici tanto attesi dal popolo ebraico.

In ogni caso, essi esprimono il linguaggio religioso di quell'epoca. Nel contesto palestinese della prima metà del I secolo, in mezzo alle aspettative messianiche ebraiche, le narrative orali della prima generazione dei discepoli e delle discepole di Gesù lo descrivono come un uomo di Dio, un taumaturgo con il potere di curare malati fisici e mentali, persone possedute da spiriti malefici. (…).

1. RACCONTI DI CURE ED ESORCISMI DI GESÙ 

DELLE ORIGINI

Narrare non è solamente trasmettere un fatto, ma raccontare un'esperienza umana. E ciò lo rende complesso, in quanto l'esperienza umana oscilla costantemente tra il soggettivo e l'intersoggettivo, il relazionale. La sfera soggettiva è la dimensione individuale dei desideri, dei progetti, delle realizzazioni o delle frustrazioni di qualunque persona. Ogni essere umano costruisce (e, in parte, porta in sé registrato) un progetto di vita che mira a realizzare durante la propria esistenza. La sfera intersoggettiva è un'esperienza relazionale: a) con il mondo (la natura, la vita e ciò che viene offerto dalla realtà); b) con l'altro individuo (relazioni di prossimità); c) con il gruppo umano (ogni essere umano vive la socializzazione, in un modo o nell'altro, a diversi livelli: famiglia, comunità, lavoro, religione, etnia, nazione, ecc.). (...).

I racconti di guarigioni ed esorcismi, come qualunque altra narrativa, sono avvolti in questa complessa rete di relazioni che permeano le soggettività e le intersoggettività umane. (...). 

In questa prospettiva, le guarigioni e gli esercismi di Gesù sorgono da narrazioni orali, all'interno di un contesto socio-religioso del mondo antico in cui a determinate persone (uomini e donne di Dio) vengono attribuiti poteri di cura. Il contenuto di tali narrazioni presenta, probabilmente, un punto di partenza storico. Per John Dominic Crossan (1994, p. 369), «Gesù era un esorcista e un guaritore». Questa è la conclusione a cui è giunto anche Giuseppe Barbaglio, nella sua ricerca storica su Gesù, nell'affermare che «bisogna ammettere che Gesù abbia realizzato alcune guarigioni, perché in caso contrario si metterebbe in discussione un dato corroborato da tanti e consideravoli testimoni, quello della sua azione come guaritore ed esorcista» (2011, p. 247).

Guaritori ed esorcisti erano comuni nell'ambiente palestinese dell'epoca, ma anche in tutto il mondo antico. (...). In questo contesto, afferma Barbaglio (2011, p. 222), Gesù taumaturgo non è stato un caso a parte, un fenomeno unico ed esclusivo, ma si inserisce, giustamente e pienamente, nel suo ambiente culturale e sociale, rivelando chiare analogie, ma anche peculiarità innegabili. (...).

La richiesta di guaritori ed esorcisti è un fenomeno che cresce nettamente in alcune epoche e cala in altre. Al tempo di Gesù siamo al vertice di tale fenomeno, per diversi fattori interconnessi: tensioni socio-economiche tra la cultura rurale e quella urbana; crescente impoverimento di una parte consistente della popolazione; tensioni socio-religiose tra giudei e non giudei; tensioni tra culture tradizionali e nuove modalità culturali in virtù della dominazione greco-romana.

In questo contesto di crisi e di caos, sorgono movimenti di protesta e di rinnovamento sotto la leadership di figure carismatiche, legittimate da persone delle fasce escluse che si sentono accolte e ascoltate nelle proprie necessità immediate e persino curate dalle proprie malattie, per mezzo di pratiche miracolose carismatiche. (...).

Così, secondo il teologo João Batista Libânio (1990, p. 35), l'esperienza religiosa è, nella sua estrema radicalità, una protesta contro il senso minaccioso del reale, di ciò che sta lì, della realtà stabilita, affermando l'esistenza di un Significato, anticipato nella speranza, giacché non viene percepito nel presente. In questa linea, conclude l'autore: «K. Marx ha un'intuizione corretta, benché ne tragga conseguenze sbagliate, quando afferma che la religione è "il sospiro della creatura oppressa" (...). La religione proietta – cioè lancia fuori – dal cuore dell'essere umano una realtà di senso, una patria dell'identità, un regno di fraternità e di pace, che contraddice l'evidenza di una società caotica, alienata, priva di senso di fraternità e in guerra».

L'essere umano si costituisce come umano proprio esprimendo desideri, necessità e sogni di una terra senza mali, per mezzo del linguaggio religioso. (...). La ricerca del sacro religioso è frutto del desiderio di impossessarsi della forza, dell'energia vitale (in greco, dynamis), del dinamico potere divino, al fine di trasformare la situazione esistenziale e i fatti circostanziali in una realtà nuova, in una società – oggi diremmo inclusiva – in cui tutti possano avere una vita con dignità, una vita «in abbondanza» (Gv 10,10).

L'aspettativa dell'abbondanza, nella tradizione culturale del popolo di Gesù, viene espressa in un linguaggio religioso. Simboleggia la felicità escatologica, quando arriverà la pienezza dei tempi, in cui Dio stenderà la sua protezione su tutti i popoli, come leggiamo nel Libro dell'Apocalisse (7,16-17): «Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l'Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi». (...). In Osea (2,20), leggiamo che, alla fine, giungerà un tempo di pace e di sicurezza: «In quel tempo farò per loro un'alleanza con gli animali selvatici e gli uccelli del cielo e i rettili del suolo; arco e spada e guerra eliminerò dal paese, e li farò riposare tranquilli». In Isaia (11,4), è scritto che, in questo tempo escatologico, ci sarà un leader animato dallo spirito di Dio che «giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra». 

(...). Questa aspettativa dei tempi messianici si estende dal profetismo di Israele alla letteratura apocalittica e, senza dubbio, permea il contesto socio-religioso di Gesù. Il popolo sofferente, sotto la dominazione degli imperi che si succedono, come Egitto, Babilonia, Persia, Grecia, e ora Roma, in permanente crisi, aspira a tempi di pace, di sicurezza e di giustizia sociale, di abbondanza di beni materiali per tutti, affinché – finalmente – si possa vivere un'esistenza sana, libera dalle malattie provocate dalla miseria. 

Come  si vede, questo linguaggio religioso non ha nessun carattere alienante, ma, al contrario, esprime un desiderio profondo di assunzione di forza divina, per mezzo della fede. Come giustamente affermato da Libânio (1990, p. 36), «non si tratta di alcuna funzione compensatoria, disperata e alienata, ma di un'affermazione chiara dell'essere umano».

All'epoca di Gesù, l'aspettativa dei tempi messianici era piuttosto forte. In clima apocalittico, si attendeva ansiosamente che, in un qualunque momento, Dio si rivelasse nella sua divina misericordia, per mezzo del suo volto amorevole, liberatore, salvatore. In questo nuovo tempo, finalmente, sarebbe apparso il Regno. I Vangeli attestano come dato inoppugnabile che Gesù non si limitò a parlare del Regno di Dio, ma ne fece il suo tema centrale, il cuore della sua predicazione (Barbaglio, 2011, p. 261). Certamente, Gesù non è stato il primo né l'unico a occuparsi del Regno di Dio nel suo ambiente culturale e religioso. Ma, secondo Barbaglio (2011, p. 264), egli è stato l'unico ebreo dell'antichità di cui siamo a conoscenza a proclamare non solo l'imminenza del tempo della liberazione finale, ma l'inizio di questo tempo di salvezza già nel presente, per mezzo della sua azione.

Le parole e, soprattutto, le azioni taumaturgiche di Gesù sono comprese dai narratori come segnali evidenti dell'avvento definitivo del Regno di Dio. Un fatto storico, in quanto carico di ripercussioni sociali, al punto da provocare la morte di Gesù. Secondo il biblista Rinaldo Fabris, «I gesti potenti di Gesù, quale che sia l'interpretazione che ne venga data, suscitano il problema della sua autorità religiosa, riconosciuta o contestata negli ambienti giudaici. Gesù di Nazareth, ridotto alla sua funzione di predicatore religioso della morale o di narratore di parabole, non avrebbe prodotto nelle masse un impatto tale da mettere in allarme le autorità religiose e politiche responsabili delle istituzioni religiose tradizionali e dell'ordine pubblico in Palestina. È anche a causa di questi gesti potenti e pericolosamente significativi nel contesto religioso e politico palestinese degli anni 30 che Gesù venne sospettato di eterodossia religiosa e finì per essere condannato come presunto “re dei giudei”. Per questo i gesti taumaturgici di Gesù rimangono indissolubilmente legati sia al suo progetto storico concepito sotto il segno della signoria di Dio sia alla conclusione tragica della sua attività pubblica» (1988, 154).

Senza dubbio, al centro del messaggio di Gesù c'era la fede giudaica nei tempi messianici, in cui Dio si sarebbe rivelato definitivamente a favore del sofferente popolo di Israele. Gesù annunciava come buona novella l'avvento del tanto atteso Regno di Dio, in cui sarebbero stati accolti, in primo luogo, i poveri, i deboli, i malati e i peccatori convertiti (...). Allo stesso tempo, Gesù operava come taumaturgo carismatico, che curava ed espelleva demoni. (...). Queste guarigioni passarono a essere interpretate come segnali evidenti dell'avvento del Regno di Dio. (...). 

2. GUARIGIONI ED ESORCISMI NEI VANGELI

Il genere letterario “vangelo”, che traduce il latino evangelium, dal greco euangelion, “buona novella”, si riferisce a quanto Gesù fece e insegnò. La buona novella è, pertanto, lo stesso Gesù. I testi che compongono i Vangeli sono sorti a partire dai racconti orali delle persone che avevano conosciuto Gesù da vicino. Ciò si applica, soprattutto, al Vangelo di Marco, il testo che ha dato origine a questo genere letterario ed è servito da base per gli altri.

I racconti di guarigioni ed esorcismi di Gesù fanno parte di questo contenuto che per convenzione viene chiamato “tradizione orale”. Queste narrative sono state collocate per iscritto a partire da un certo schema letterario che segue i modelli della letteratura religiosa giudaica, dal momento che le prime comunità cristiane erano formate da persone provenienti dal giudaismo. (...). 

2.1 Racconti di guarigioni

Nei Vangeli, come attesta Giuseppe Barbaglio (2011, p. 239-240), sono quindici i racconti di guarigioni attribuite a Gesù. Di questi quindici, otto sono nel Vangelo di Marco, una delle fonti utilizzate da Matteo e Luca (...): 

1. la suocera di Pietro (1,29-31);

2. un lebbroso (1,40-45);

3. un paralitico (2,1-12);

4. l'uomo dalla mano inaridita (3,1-6);

5. la donna affetta da emorragia cronica (5,25-34);

6. un sordomuto (7,31-36);

7. un cieco di Betsaida (8,22-26);

8. il cieco Bartimeo (10,46-52).

In Luca e Matteo abbiamo solo un racconto di guarigione che non appare in Marco (...): il servo del centurione di Cafarnao (Lc 7,1-10; Mt 8,5-13).

In Giovanni (...), abbiamo tre racconti di guarigione:

1. il paralitico della piscina di Betsaida (Gv 5,1-9);

2. il cieco dalla nascita (Gv 9);

3. il figlio del funzionario del re a Cafarnao (Gv 4,46-54).

Nella Fonte L (propria di Luca), abbiamo altri tre racconti:

1. la donna curva (Lc 13,10-17);

2.i dieci lebbrosi (Lc 17,11-19);

3. l'idropico (Lc 14,1-6). (...).

A questa lista va aggiunta la risposta di Gesù agli inviati del Battista, così come la leggiamo in Mt 11,4-6 (parallelo a Lc 7,22-23): «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Secondo  Barbaglio (2011, p. 240), questo brano del Vangelo «ci sono grandi probabilità che risalga allo stesso Gesù».

In generale, i racconti di guarigioni raccolti nei Vangeli seguono, più o meno, il seguente schema:

«Un'introduzione in cui si espone il caso dell'infermo, una persona che ha ormai perso la speranza di salvarsi con i mezzi terapeutici normali.

- L'incontro con il taumaturgo, in cui, alla richiesta di guarigione, corrispondono il gesto e la parola efficaci.

- L'epilogo in cui si registra la guarigione effettuata, come pure la reazione della persona guarita e dei testimoni» (Fabris, 1988, p. 146). (…).

2.2 Racconti di esorcismi

I racconti di esorcismi praticati da Gesù secondo i Vangeli hanno per base il Vangelo di Marco, per quanto Matteo e Luca presentino anche contenuti ripresi dalle proprie fonti. Nel Vangelo di Giovanni non ci sono racconti di esorcismi (…).

Le caratteristiche di tali racconti seguono, in generale, il seguente schema:

«Resa dell'individuo al demonio, il quale prende il posto del soggetto umano.

- Lotta tra demonio ed esorcista, in cui entrambe le parti usano la stessa arma (per esempio, un sapere miracoloso, una lingua straniera, la violenza). (...).

- Distruzione del demonio anche al di fuori della persona (...), come indica la morte del branco di porci in Mc 5,1ss.» (Theissen; Merz, 2002, pp. 316-317).

Occorre evidenziare come i racconti di esorcismi presentino una struttura simile a quelli delle guarigioni, con la differenza che l'incontro con il taumaturgo si trasforma in una specie di duello tra il terapeuta (l'esorcista) e lo spirito di possessione (il demonio) che, infine, viene vinto ed espulso dal corpo del posseduto. Tuttavia, la distinzione tra guarigioni ed esorcismi, in certi casi, non è ben definita, in quanto ora si utilizza l'espressione “spirito di infermità” (Lc 13,10), ora l'espressione “indemoniato cieco e muto” (Mt 12,22; cfr. 9,32-34; 17,15.18 par.). Anche un gesto potente di liberazione, come quello di sedare la tempesta sul lago, viene descritto come una specie di esorcismo, in base a Mc 1,25; 4,39 (Fabris, 1988, pp. 146-147).

3. RACCONTI DI GUARIGIONI ED ESORCISMI 

COME ESPRESSIONI DEL LINGUAGGIO RELIGIOSO

I racconti dei Vangeli riguardo a guarigioni ed esorcismi rimandano a un linguaggio proprio del mondo di Gesù e delle prime comunità cristiane. I personaggi di questi racconti, così come gli stessi narratori, sono tutti immersi in un'atmosfera religiosa condizionata dall'immaginario della cultura giudaica, orale e scritta, nel quale è inclusa tutta l'aspettativa messianica di quel contesto escatologico e apocalittico.

Luigi Schiavo, nell'articolo “Jesus taumaturgo – Elementos interpretativos”, pubblicato dalla Ribla (Rivista di interpretazione biblica latinoamericana, ndt), n. 47, traccia un'eccellente sintesi di quel contesto storico, presentato secondo tre prospettive: quella apocalittica, quella escatologica e quella messianica. Nella prospettiva apocalittica, si evidenzia come il giudaismo dell'epoca fosse segnato dall'aspettativa dell'imminente rivelazione di Dio nella storia, che avrebbe posto fine alle forze del male che operavano per mezzo dei suoi agenti, i demoni. L'attività taumaturgica di Gesù, con i suoi miracoli ed esorcismi, deve essere letta all'interno di questo clima di conflitto finale. Dal punto di vista escatologico, si coglie la coscienza di vivere in tempi prossimi alla fine, la quale ha dato origine a vari soggetti radicali in Palestina: taumaturghi giudaici, profeti escatologici, il movimento zelota, la comunità monastica degli esseni, ecc. Nella prospettiva messianica, soprattutto fino alla prima metà del I secolo, si osserva una forte aspettativa riguardo all'arrivo del Messia: l'agente escatologico della salvezza che, attraverso la sua attività, manifesterà l'intervento definitivo di Dio a favore del suo popolo (2004, p. 83-86). (…).

Le azioni terapeutiche di Gesù, per mezzo delle sue guarigioni e dei suoi esorcismi, acquistano, allora, una rilevanza speciale all'interno di questo contesto di significati della cultura giudaica. Il Regno di Dio è venuto e si instaura nelle nuove relazioni sociali realizzate nella prassi di Gesù: corpi malati vengono guariti; menti stravolte sono sanate... Il Regno di Dio è venuto e si instaura in pieno contesto di anti-Regno. In questo consisterebbe, anzi, l'autocoscienza di Gesù rispetto alla propria missione. Quando gli viene chiesto dai discepoli di Giovanni se fosse lui stesso «colui che deve venire», il Messia, Gesù risponde in  maniera categorica, narrando le proprie azioni: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (Mt 11,4-5; Lc 7,22-23). Dove il riferimento è a passaggi del libro del profeta Isaia (26,19; 29,18s; 35,5s; 61,1). Si tratta di un linguaggio religioso diretto ad affermare che i tempi dell'attesa profetica sono arrivati al termine: la prassi taumaturgica di Gesù è il segnale della liberazione escatologica. (…). 

I segnali del Regno emergono dai racconti di guarigioni ed esorcismi come evidenti e visibili. La speranza, finalmente, è diventata realtà. Ma, allo stesso tempo, tutti hanno la sensazione che stia appena cominciando, che ancora non si sia realizzato nella sua pienezza. Si tratta di un Regno che è già presente, ma non ancora pienamente. (…).

In questa prospettiva, la speranza cristiana irradia l'attesa della pienezza dei tempi, basandosi su ciò che già si osserva e si sperimenta nella storia, per mezzo di ciò che Gesù ha fatto e insegnato. (…). Come afferma Cássio Murilo Dias da Silva (2003, p. 295), «la parola di Gesù non è solo piena di saggezza, ma anche piena di potere e di efficacia... capace di soggiogare le forze demoniache e di stabilire una realtà nuova e liberata».

Questa comprensione di fede in Gesù era già presente nel linguaggio religioso dei racconti delle guarigioni e degli esorcismi. Egli è stato compreso dai redattori dei Vangeli come il compimento delle Sacre Scritture... «e, ancor di più, in lui le aspettative escatologiche mitiche sono state presentate come storia: egli personifica la signoria di Dio, “storicizza” questo mito escatologico.... Gesù, nel più breve tempo possibile seguito alla sua morte, è stato elevato alla condizione di divinità, venerato come Figlio di Dio, Signore e Salvatore. Il tempo della sua venuta è stato avvolto dal fulgore mistico di un nuovo tempo di giudizio e la sua storia è stata drammatizzata come uno scontro tra il Signore e le potenze spirituali mitiche da lui soggiogate» (Theissen, 2009, p. 32).

I racconti di guarigioni e di esorcismi della tradizione dei Vangeli esprimono, pertanto, nel linguaggio religioso proveniente dalla cultura giudaica, la fede nella persona di Gesù come Messia. I Vangeli e, in modo particolare, il Vangelo di Marco, pongono questi racconti al servizio della cristologia (Gnilka, 1992, p. 260).

Osservazioni finali

Racconti di guarigioni ed esorcismi praticati da uomini e donne carismatici non sono circoscritti appena alla cultura dei popoli del mondo antico, come il popolo di Gesù. Tali racconti possono essere individuati nel corso dei secoli in tutte le culture, fino ad oggi, perché appartengono all'universale linguaggio religioso dell'homo religiosus.

Il linguaggio con cui sono narrati guarigioni ed esorcismi deve essere inteso come un'espressione dell'esperienza umana di autosuperamento dei limiti provocati dalle vulnerabilità della vita. Attraverso questo linguaggio risultano evidenti, perlomeno, tre elementi interconnessi: 1) il crollo finale delle forze malefiche per mezzo di un'energia rivitalizzante, dynamis, che proviene direttamente da Dio; 2) il ruolo del taumaturgo che, imbevuto del potere dinamico di Dio, serve da collegamento tra l'umano sofferente e il divino generoso; 3) la fede, parola che (…) evoca l'esperienza di “fiducia” della persona bisognosa nei confronti della persona del taumaturgo.

In tal modo, racconti di guarigioni ed esorcismi proclamano la realizzazione del millenario desiderio umano di una “terra senza mali”, (…) dell'utopia di una nuova società, giusta ed egualitaria, in cui tutti possano vivere nella salute e nella pienezza delle proprie potenzialità. Nel linguaggio religioso, si tratta del “Regno di Dio”, in cui saranno incluse (…) anche le persone povere, malate nel corpo e nella mente, umiliate nella propria dignità umana per non poter neppure lavorare per assicurarsi il proprio sostentamento: schiacciate nel più profondo di se stesse, cancellate nel loro spirito, alito di vita, essenza vitale, queste persone sono i “poveri in spirito” della prima beatitudine di Mt 5,3.

Concludendo, si può cogliere, nel linguaggio religioso dei racconti di guarigioni ed esorcismi, una denuncia profetica e un annuncio escatologico, come due facce della stessa moneta. Da un lato, tali racconti denunciano l'anti-Regno, cioè gli imperi disumani che si succedono nel corso della storia, causando impoverimento, miseria, sofferenza e la morte prematura di una “grande moltitudine”, di migliaia di persone emarginate nella propria terra, o costrette a emigrare da una parte all'altra, “come pecore senza pastore” (espressioni usate nel racconto di Mc 6,34). Dall'altro lato, annunciano una Buona Novella: l'avvento della tanto attesa fine dei tempi, della pienezza dei tempi in cui Dio, finalmente, interviene a favore della “grande moltitudine” esclusa, per mezzo dell'Unto (il Cristo) e dei suoi discepoli (i cristiani e le cristiane).

Si tratta di una pratica che interpella ogni essere umano affinché promuova la vita con dignità per tutti, re-incontrando, in questo modo, la vocazione a collaborare con Dio a favore dell'opera della creazione, perché la vita affiori in abbondanza per tutti gli esseri viventi del pianeta, la nostra casa comune. E questa può essere interpretata come la grande utopia presente nel linguaggio religioso dei racconti di guarigioni e di esorcismi di Gesù.