La profezia
di Franco
Barbero*
Sbobinatura e adattamento non rivisti dall’autore, di un incontro al corso biblico di Torino
Quando parliamo di profezia
siamo diventate, diventati coscienti della complessità di questo fenomeno,
specialmente per mezzo di alcuni autorevolissimi studiosi che hanno scritto
libri come: ”Storia della profezia” di Joseph Blennkinsopp, un grandissimo testo
di un autore ancora vivente, sulla storia della profezia e su gli ultimi studi
critici, che ha il pregio di tenere insieme tutto l’itinerario storico.
La prima consapevolezza che affiora è che il fenomeno della profezia, per quanto
diverso, è rilevante e ben visibile in tutte le tradizioni religiose anche se
non tutte usano la stessa
terminologia, né si concentrano sulle stesse accentuazioni. E’ però presente
nella storia d’Israele, in quella del vicino Oriente, e in tantissime esperienze
dalle diverse sfumature e chiamate con nomi diversi.
Quando studiavo da giovane chierico, la storia del vicino Oriente era molto meno
conosciuta di oggi. L’archeologia ci ha dato un enorme contributo, specialmente
dagli anni ‘70 al 2000; le scoperte di Qumran e di Nag Hammadi hanno a loro
volta contribuito alla crescita degli studi delle tradizioni religiose di tutta
la regione.
Nonostante ci siano stati speculatori che su un coccio, su un manoscritto o su
una pergamena si sono fatti i soldi, abbiamo avuto in quegli anni grandi
scoperte e grandissimi studi, che ci hanno poi rese, resi consapevoli di come
fosse necessario rileggere la storia d’Israele all’interno di questo nuovo
contesto, che evidenziava come le varie tradizioni religiose si siano contagiate
ed arricchite a vicenda, pur conservando la propria originalità.
La profezia quindi non inizia con Israele, che però avrà in questo Paese
un’originalissima esperienza. Le studiose, gli studiosi si domandano se, al di
là dei singoli testi, sia possibile oggi rintracciare una tradizione profetica:
la trasmissione di un messaggio da un profeta all’altro, da un circolo profetico
ad un altro. Se voi leggete Isaia, vi troverete stati d’animo che sono anche di
Amos: evidentemente il singolo profeta aveva questa grande voglia di prolungare
una tradizione, non erano persone isolate ed il loro messaggio aveva avuto una
profonda eco in Israele. I profeti non saranno mai dei vincitori, usciranno
sempre male dalle vicende, ma nonostante tutto, il loro messaggio andrà avanti
in qualche modo. Scrive Walter Brueggemann, autore di poderosi volumi sulla
profezia: “Di fatto guardando la tradizione profetica possiamo credere che
senza l’opera irascibile, appassionata dei profeti che continuamente
aggrediscono, invitano, fanno ricordare e assicurano Israele, Israele avrebbe
smesso di essere Israele”.
Dentro i grandi libri storici della Bibbia, storici nella concezione della
letteratura ebraica, evidentemente: Giosuè, Giudici, Re 1 e 2, Samuele e
Cronache, troviamo gli antesignani dei profeti: Elia ed Eliseo, che saranno
vivissimi nella memoria del Secondo Testamento. Sono quelli che se la prendono
con il re, con gli idoli e lo fanno in maniera vigorosa attraverso sogni,
visioni, miracoli, ire, distruzioni. Sono veramente il “fuoco di Javhe”, sono
gli anticipatori di quella che sarà la grande tradizione. Nella loro esperienza
ci accorgiamo che il profeta non è solo un parlatore, ma attua e vive una
inscindibile unione tra ciò che è e che ciò che fa, infatti Eliseo ed Elia
guariscono, risuscitano, moltiplicano il pane, per dirla con il linguaggio
biblico: la vedova di Sarepta ha l’olio che cresce, la farina che non finisce.
Il profeta non è soltanto profétes, “uno che parla in luogo di”, è
uno che “agisce per mandato di”.
E’ l’inscindibilità di ciò che si dice con ciò che si fa, non nel senso che
sia sempre un uomo perfetto, ma nel senso che la direzione della sua vita e del
suo messaggio è la non separabilità del messaggio dall’azione.
Il profetismo ha un’espansione diversa anche secondo le differenti collocazioni
geografiche. Quando nel 721, o 731 secondo altre studiose, studiosi, avviene la
separazione del regno del Nord dal regno del Sud, ci sono profeti sia al Nord
che al Sud: la collocazione geografica conta.
Qual è un connotato che voi vedrete sempre in questa tradizione profetica? Al
profeta stanno a cuore gli oppressi e le oppresse, quelli che sono ai margini
della società. Questa solidarietà attiva nei riguardi degli “ultimi”, questo
assumere la loro causa, lo relegherà a sua volta ai margini della società del
suo tempo.
Il profeta ha spesso un
linguaggio sproporzionato, esuberante, fuori misura, un linguaggio chiaramente
provocatorio.
Certe volte è tragicamente irato, ne dice da vendere e da pendere, usa parole
violente che a leggerle ti sconcertano, altre volte è tenerissimo; lui non ha
una canzone da cantare in qualunque tempo, in qualunque modo, lui è un uomo
della storia, per lui Dio non ha un messaggio che discende dalle nubi, no, Dio
abita la vita, il cuore delle persone, la storia.
E’ consapevole che la profezia non è
tutto; ha una missione da Dio, ma non crede che la sua missione esaurisca tutto;
il suo è un compito particolare ma non diventerà mai narcisisticamente
prigioniero dell’ onnipotenza della profezia, innanzi tutto perché, come vedremo
nel libro di Giona, può anche lui ricevere un ordine ed avere difficoltà ad
adempierlo e, quando l’adempie, Dio cambia idea, rimane sempre Altro.
Il grande genio della fede
ebraica è quello di stare dentro la storia ed i profeti vi sono sempre immersi.
Non si tratta tanto di attraversare la storia con una carrozza della verità, di
distribuire pillole di verità dogmatiche, come nel cattolicesimo, ma occorre
interrogarci insieme su che cosa Dio ci fa capire dentro la nostra storia, di
essere umili cercatori, cercatrici di quella che noi chiamiamo la volontà di
Dio, perché non la possediamo.
Questa figura è talmente immersa nella storia che voi leggendo Giona, ma anche
Geremia, vi accorgete che qualche volta non vogliono
più fare i profeti. In quelle che sono
chiamate le confessioni di Geremia, ma sarebbe meglio dire “gli improperi” di
Geremia, si potrebbe quasi dire “le bestemmie”, afferma:
“Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e
hai prevalso. …Tu sei diventato per me un torrente infido, dalle acque
incostanti. … Maledetto il giorno in cui nacqui; il giorno in cui mia madre mi
diede alla luce non sia mai benedetto”.
Nel tempo si sono formate delle
raccolte dei profeti: certamente esistevano attorno a queste figure circoli
molto ristretti di amiche, amici, nella tradizione ebraica vengono a volte
chiamati “i figli dei profeti”, che raccoglievano del materiale, ma erano testi
parziali, alcuni scritti di pugno dallo stesso profeta. Per noi è difficile
ricostruire un ordine di un libro come, per esempio quello di Isaia, perché si
sono mescolate parti autografe, altre di commento o di leggenda, parti di
riflessioni nate là nel contesto. La raccolta degli scritti è avvenuta a
Babilonia o subito dopo, nel sesto
secolo, quando si è decisa la redazione. Una grande difficoltà per noi sta nel
fatto che loro, nella trasmissione di un testo, avevano una concezione diversa
dalla nostra: trasmettere non era prendere un messaggio e darlo da X a Y, per
loro era un’operazione diversa, voleva dire: io ricevo questo messaggio, me lo
rimastico e del frutto della mia rimasticazione te ne lascio un pezzo, quindi il
testo cresce con chi lo ama, con chi lo accoglie e con chi lo medita. Questa non
era ritenuta una grave manipolazione, perché la parola di Dio è viva ed efficace
e siccome Dio è più grande della sua parola, allora ciascuno, ciascuna di noi
come figlio, figlia di Dio deve continuare a rendere viva la parola: è quello
che l’ebreo intende per “completare la scrittura.” C’era questa libertà, che
peraltro era piena di rispetto, ma anche ricca di cambiamenti, di arricchimenti,
di adattamenti: non sempre l’adattamento è un male. Ogni libro profetico ha una
storia redazionale che va attentamente valutata, perché molti passi hanno delle
incertezze: non sempre si riesce a capire se sono stati scritti a Babilonia, o
prima, o invece dopo; di alcuni passi ci sono letture congetturali, qualche
versetto è dubbio.
La scienza è venuta in soccorso a tante nostre incertezze: in Egitto nel 1930
sono venute alla luce alcune parti d’Isaia, ed a Qumran è stato trovato il
rotolo dell’intero libro. Dagli scavi archeologici che stanno continuando noi
abbiamo avuto un ampliamento delle conoscenze.
Accennerò dopo al grande rilievo che ha avuto Isaia nel Secondo Testamento: non
si potrebbe leggerlo senza conoscere questo profeta, che viene citato
direttamente ed indirettamente moltissime volte; attorno a quest’uomo, che è
certamente un personaggio storico, l’ebraismo ha elaborato molte leggende: ne
abbiamo due o tre sulla sua morte.
Secondo la tradizione
ebraica vi sono stati 48 profeti maschi e 7 profetesse donne: noi abbiamo
difficoltà a trovarne così tanti nella Bibbia, ma essi dicono che la loro
tradizione spaziale è molto di più di ciò che è scritto; come la profezia ha
avuto un vissuto molto più largo, così i nomi, le persone, le storie dei
profeti, delle profetesse sono più numerosi di quelli che la tradizione ci
trasmette.
La parola “profeta” deriva dal greco pro-phemi: “parlare in nome di”; in ebraico abbiamo parole molto diverse: il “nabi” è il profeta classico, il veggente è chiamato “roèh”, le parentele sono confini, poi noi abbiamo fissato tutto in una sola parola, altre volte, in alcuni libri, i profeti si chiamano “i figli di Dio”.
Qualche volta noi abbiamo
l’idea che il profeta sia anti-culto, anti-potere, anti-istituzioni,
costantemente in conflitto con la monarchia, i giudici, le autorità. Leggendo la
Bibbia si scopre che Isaia è sempre a contatto con i re, che Ezechiele era un
sacerdote. Quindi la visione idealistica che noi abbiamo di loro è una visione
non realistica.
Il profeta non è né anti-culto, né anti-re, né anti-istituzioni per partito
preso, ha come scopo della sua vita quello di salvaguardare la fede del suo
popolo e l’esistenza dei più deboli, delle più deboli; non pensa mai
di eliminare la preghiera, il culto, ma deve constatare amaramente che questo è
ipocrita ed idolatrico e si ferma agli interessi della casta sacerdotale:
anziché adorare Dio si adorano gli idoli.
Il profeta non pensa nemmeno di eliminare la monarchia, né che un popolo si
autogoverni, ma punta il dito: ricordate la storia Natan, che si scaglia contro
il modo del re Davide di amministrare e di governare. Il profeta
non è una persona visionaria, è
molto legata alle istituzioni, ma è contro queste, quando si pervertono e fanno
i propri interessi e non quelli del popolo. Ed ecco allora il conflitto
insanabile con la monarchia: il profeta è sempre alla ricerca di un re buono ed
onesto, desidera dargli consigli. Cerca di suscitare la speranza nel popolo che
venga un principe onesto e poi deve constatare che a palazzo si fanno solo i
propri interessi.
Il profeta sovente attacca i giudici che sono un’istituzione santa in Israele,
sono un gruppo di anziani che devono
amministrare la giustizia, devono controllare i pesi, le bilance, le
istituzioni. Lui vuole giudici giusti ed allora ecco le invettive, le vere e
proprie maledizioni, perde le staffe, ne dice di tutti i colori, ma perché?
Perché la fedeltà a Jahvè e la fedeltà al popolo passano attraverso l’uso giusto
delle istituzioni. E’ l’uso iniquo di queste che egli condanna!
I profeti e la tradizione si
ispirano a Mosè perché non c’è
stato profeta più grande di lui, perché davvero è stato il servitore del popolo:
quando sta per morire vedrà la terra promessa, ma non la calpesterà: per
lui non era importante raggiungerla, era importante che il popolo entrasse nella
terra.
Dentro il profetismo nasce
l’esigenza di discernere quali sono i cattivi profeti, perché oltre i sacerdoti,
i giudici e la monarchia, anche la profezia purtroppo può pervertirsi ed essere
contro il progetto di Dio. La fedeltà non è garantita mai a nessuno, ma va
cercata, anche nelle più grandi missioni anzi, proprio quando vi è un compito,
un servizio da svolgere, la fedeltà non va mai presupposta. Ed allora noi
vediamo che con il libro di Giona il profeta contesta già se stesso.
Non possiamo credere di sapere tutto della vita dei profeti, delle profetesse, però questo loro collocarsi nella storia, fa del profeta un uomo di battaglia, uno che si appassiona, anche se molte volte viene sconfitto, ma soprattutto è uno che lavora per il popolo, ma questo mica lo segue tanto! Perciò anche con il popolo se la prende, perché è idolatrico, credulone ed allora vedrete le invettive contro di esso, contro Israele. Il profeta piange e si dispera per un popolo che è tardo di cuore, cieco, sordo agli appelli. Qui raggiunge uno dei momenti più alti del suo dolore. Quando leggiamo Geremia, Isaia, pensiamo al loro messaggio, a ciò che hanno detto, ma bisogna capire da dove sono uscite quelle parole, da quali ferite del cuore, da quali preghiere, da quali vissuti, da quali contraddizioni: non c’è nessuno che va avanti come un treno senza alcun problema.
Noi cristiani abbiamo una grande difficoltà quando leggiamo i profeti, perché ci hanno sempre insegnato che loro hanno preannunciato Gesù Cristo. Questo non è vero, è un’interpretazione deviante, il testo ebraico è valevole di per sé, non in funzione del nostro credo: Isaia ci è servito per individuare la profezia di Gesù, ma il libro di Isaia non parlava di Gesù. Le scritture ebraiche sono in primo luogo state scritte per testimoniare la fede di Israele ieri ed oggi. Queste non sono scritture finite, sono scritture che parlano anche al nostro tempo. La permanente validità dell’ebraismo è anche questo. L’ultimo Concilio con la dichiarazione Nostra aetate, questo un po’ lo riconoscerà.
*Animatore della CdB di Pinerolo di via Gap http://donfrancobarbero.blogspot.it/