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Un universo permeato di mistero: il contributo della cosmologia e della biologia alla visione di un Dio creatore

Claudia Fanti  

Tratto da: Adista Documenti n° 16 del 29/04/2017

doc-2847. MADRID-ADISTA. Che la cosmologia sia una grande fonte di ispirazione per la ricerca teologica è stato evidenziato più volte: se le conoscenze relative all'universo – ponendosi scienza e fede su piani totalmente distinti - non possono, come è ovvio, avere implicazioni riguardo all’esistenza o meno di Dio, né per affermarla né per negarla, sono però in grado di offrire ai credenti un prezioso contributo a una concezione, rinnovata e purificata, dell'azione creatrice di Dio in un universo dinamico ed evolutivo. Un'azione compatibile con qualsiasi spiegazione scientifica delle origini del cosmo, sia pure quella della creazione dell’universo dal nulla (dove per nulla si intende però il vuoto quantistico, «un utero infinito – lo descrive non a caso Leonardo Boff – in cui sono ospitate tutte le possibilità e le virtualità dell’essere»: un equilibrio dinamico di particelle di materia e di antimateria in continuo annichilimento, dalle cui fluttuazioni, secondo le più recenti teorie, dovrebbe essere nato il nostro universo), benché sia proprio in base a questa teoria che, per esempio, il matematico e astrofisico britannico Stephen Hawking è giunto a negare la necessità di Dio per spiegare l’origine del cosmo. 

Al contrario, come afferma Juan Jesús Cañete Olmedo, collaboratore della Cattedra di Scienza, Tecnologia e Religione dell'Università Comillas di Madrid, in un articolo apparso sulla rivista Tendencias 21 (28/2), nella sua sezione “Tendencias de las religiones” (www.tendencias21.net), sono proprio le attuali conoscenze relative alla fisica dell'universo – con il suo unico e calibratissimo sistema di leggi fisiche – ad ammettere «la visione di Dio come un'interpretazione coerente». A essere chiamata in causa, ancora una volta, è la questione della “regolazione fine” (fine tuning, in inglese, concetto in base a cui il parametro di un modello deve trovarsi all’interno di un intervallo molto ristretto di valori, senza che esista nessuna ragione plausibile a priori, ndt): il fatto, cioè, che la struttura fisica del nostro universo debba essere racchiusa entro limiti molto stretti per rendere possibile la sua «straordinaria fecondità». Così, solo per fare un esempio tra innumerevoli altri, se il ritmo di espansione fosse stato più lento solo di un milionesimo dell’1%, l’universo sarebbe nuovamente collassato su se stesso e, se fosse stato più veloce, appena - di nuovo - di un milionesimo dell’1%, l'universo non sarebbe stato in grado di generare strutture in grado di produrre la vita. E non serve neppure appellarsi «al caso e al tempo», trasformati «in una specie di Deus ex machina in grado di spiegare tutto», se è vero che, in base ad alcuni calcoli, non sarebbe trascorso abbastanza tempo neppure per far sì che una collisione casuale di atomi desse forma a un singolo aminoacido. Non per niente, è stato proprio per spiegare la “regolazione fine” del cosmo senza dover ricorrere all'esistenza di un “Regolatore divino” che è stata avanzata la teoria del multiverso, in base a cui esisterebbe un numero sterminato di universi, ciascuno con le proprie leggi e le proprie costanti fisiche. Una teoria che, secondo alcuni, ridimensionerebbe con forza il mistero dell'esistenza di leggi fisiche apparentemente fatte su misura per noi, in quanto, secondo tale modello, queste leggi riguarderebbero appena la nostra piccola bolla all'interno di un paesaggio cosmico tale da ammettere uno spettro di possibilità oltre ogni immaginazione. «Qualcosa di analogo – come hanno scritto Leonardo Boff e Mark Hathaway (v. Adista Documenti n. 13/14) – all'idea secondo cui, dato un infinito numero di scimmie che picchiano a casaccio sui tasti di una macchina per scrivere, almeno una di esse creerà per caso l'opera completa di Shakespeare». Anche se, secondo Cañete Olmedo, neppure la teoria del multiverso, da un punto di vista filosofico, escluderebbe il ricorso a Dio: «Basterebbe credere che Dio abbia creato il multiverso come mezzo per generare il nostro universo». 

Di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, ampi stralci dell'intervento di Juan Jesús Cañete Olmedo.
 

Big Bang cosmologico e Big Bang biologico
 

Juan Jesus Cañete Olmedo
 

(…). Credere in Dio, diceva recentemente Alister E. McGrath, ci aiuta a vedere la realtà in un modo nuovo e a comprendere le cose meglio che l'ateismo. Tuttavia, nella letteratura scientifico-filosofica, possiamo imbatterci in affermazioni come quella che segue: «L'universo che osserviamo possiede esattamente le proprietà che ci si potrebbe aspettare se, nel fondo, non ci fosse alcun disegno, alcuno scopo, alcun bene, alcun male, nient'altro che indifferenza cieca e spietata» (Richard Dawkins). 

O in affermazioni totalmente contrarie, come questa: «Un universo retto da leggi calibrate fisicamente per la vita e non date deterministicamente e un meccanismo di generazione di specie in grado di sfruttare queste caratteristiche del mondo fisico è proprio quello che bisognerebbe aspettarsi da un mondo creato da Dio per il dispiegarsi della vita e il sorgere di esseri liberi, capaci di azione morale» (Francisco J. Soler Gil). 

Partendo dagli stessi dati scientifici, Dawkins e Soler Gil giungono a conclusioni diametralmente opposte. Holmes Rolston III utilizza la metafora dei tre Big Bang per indicare come nella storia dell'universo si siano verificati tre eventi singolari portatori di una novità radicale: quello che ha dato origine al nostro universo 13.600 milioni di anni fa, quello che ha dato luogo alla vita 3.500 milioni di anni fa e quello che ha condotto all'apparizione dell'homo sapiens (…). 

IL BIG BANG COSMOLOGICO 

Secondo il modello standard della cosmologia, l'inizio del nostro universo è stato caratterizzato da una singolarità, cioè uno stato fisico in cui una o più grandezze assumono valori infiniti e per questo sfuggono alla descrizione fisica. Non possiamo andare oltre il tempo di Planck (10-43 secondi): possiamo solo sapere cosa è avvenuto dopo. 

Creazione o inizio? 

Se distinguere, definire e chiarire i concetti è un compito fondamentale, dobbiamo evidenzare, per evitare qualsiasi ambiguità, come inizio e creazione non siano sinonimi. Il mancato chiarimento di questo aspetto ha provocato molta confusione. Il Big Bang non equivale alla creazione, i due concetti si pongono a livelli epistemologici distinti: parlando di inizio o principio ci collochiamo a un livello empirico, mentre parlando di creazione ci poniamo a un livello metafisico. Ecco cosa lo stesso George Lemaître, uno dei padri della teoria del Big Bang, affermava al riguardo: «Possiamo parlare di questo evento (intendiamo il Big Bang) come di un inizio. Non parlo di creazione… se si sia trattato realmente di un inizio o di una creazione, di qualcosa che comincia dal nulla, è una questione filosofica che non può essere risolta da considerazioni fisiche o astronomiche». 

In questo senso, non si deve confondere (…) inizio con creazione. La presenza del creatore è occulta, non può essere colta da alcun metodo scientifico, né tematizzata da alcuna teoria scientifica. (…). Parlare di creazione significa dare una risposta concreta alla grande questione della metafisica posta da Leibniz e ripresa da Heidegger: «Perché in generale l'essere e non piuttosto il nulla?» (…).  

Parlare di creazione significa che (…) tutta la realtà esiste nella sua dipendenza da Dio, tanto nel passato quanto nel presente e nel futuro. Che l'universo ha la sua origine, il suo radicale fondamento, la sua consistenza e il suo destino fuori da se stesso. Non si parla, allora, di inizio temporale, ma di fonte della sua esistenza e di dipendenza radicale del suo essere. (…).

Normalmente i cosmologi atei parlano di universo autocontenuto o autocreato e non è raro imbattersi nelle loro opere in paragrafi simili a questo, carenti solitamente di supporto empirico e di rigore filosofico: «Poiché esiste una legge come quella della gravità, l'universo ha potuto crearsi da sé – e di fatto così è avvenuto – dal nulla. La creazione spontanea è la ragione del fatto che esista qualcosa, che esista l'universo, che esistiamo noi. Non è necessario invocare dio come colui che ha acceso la miccia e creato l'universo» (Hawking e Mlodinov, Il grande disegno). (...)

Questo non ha nulla a che vedere con l'azione creatrice. Mettiamo un po' di ordine filosofico in questa confusione. Il nulla di cui parlano i fisici è anch'esso un'entità fisica, a cui essi danno il nome di vuoto quantistico, ma, dal punto di vista filosofico, il nulla è l'assenza di ogni ente, è il nulla assoluto, puro. Se, rispetto all'origine del cosmo, si parla di Big Bang o della teoria del multiverso o di qualsiasi altra ipotesi, nell'ottica della filosofia non si può affrontare la questione del nulla, perché, per definizione, bisogna sempre partire da qualcosa. 

Se la nostra cosmovisione è atea, possiamo arrivare tutt'al più a sposare il detto che si attribuisce a Edward Tryon, il quale pare che abbia affermato che «il nostro universo è semplicemente una di quelle cose che accadono di tanto in tanto». 

Abbiamo operato una distinzione tra creazione e inizio, tra scienza e metafisica, ma ora è il momento di offrire alcuni spunti sull'azione di Dio nel mondo, un tema che ha anch'esso creato confusione nel dialogo tra la religione e la scienza. Oggi gli sviluppi della fisica quantistica e della teoria del caos hanno alimentato molte proposte sul modo in cui potrebbe svolgersi l'intervento di Dio nell'universo, ma noi pensiamo che grosso modo la visione classica sia perfettamente accettabile. Secondo il teologo australiano Denis Edwards, «Tommaso d'Aquino ha chiarito già da molto tempo che il modo di agire di Dio nel mondo (che può definirsi come causalità prima) non si oppone all'intera rete di cause e di effetti esistenti nella natura (causalità seconda). L'opera di Dio si realizza in e attraverso le cause e gli effetti creati. Non è in rivalità con questi. Tommaso non poteva conoscere la teoria dell'evoluzione, ma non avrebbe avuto alcun problema a intenderla come il modo in cui Dio crea». 

(…). Dio non opera come causa seconda, oggetto delle scienze, ma come Causa prima, oggetto della metafisica. È inutile cercare Dio come causa seconda come fanno Dawkins e Hawking, perché non lo troveremo.

La questione della regolazione fine (fine-tuning) 

La fede nel Creatore non è una spiegazione di come funzionano le cose, ma qualcosa che rimanda al significato ultimo dell'universo. Tuttavia, c'è qualcosa all'inizio del cosmo evolutivo che può essere visto com un indizio della presenza del Dio Creatore e Provvidente di cui parla la tradizione cristiana. La fisica dell'universo è massimamente speciale: per sviluppare la complessità feconda che osserviamo, si richiedono leggi adeguate, componenti adeguate, forze adeguate e circostanze adeguate. Queste leggi e queste costanti così sottilmente calibrate causano una tale meraviglia da indurre Freeman Dyson a esclamare che «(questo) universo in qualche modo doveva aver saputo che venivamo» e da spingere l'agnostico Fred Hoyle, ostile alla teoria del Big Bang, a parlare di un universo intelligente. 

Il tema a cui ci riferiamo è noto come fine-tuning. Il concetto di regolazione fine ci dice che le leggi, le costanti e le forze che hanno avuto origine all'inizio dell'universo sono così sottilmente calibrate che anche una loro piccola variazione renderebbe impossibile la vita. In definitiva, la regolazione fine ci dice che il nostro universo è estremamente improbabile, al punto da sembrare oggetto di un disegno. Un tema che ha acquisito una tale rilevanza che alcuni filosofi sono arrivati a proporlo come base per una nuova teologia naturale. 

Secondo il modello standard della cosmologia (Big Bang), tutta la storia dell'universo può essere ricostruita a partire da alcune equazioni e da alcuni parametri indipendenti: la densità della materia ordinaria, quella della materia oscura, quella dell'energia oscura e l'ampiezza delle fluttuazioni quantistiche. Il valore delle costanti si trova all'interno di uno stretto intervallo di valori, in modo che cambiamenti anche minimi farebbero sì che l'universo che conosciamo non esisterebbe e, pertanto, non si sarebbe potuta sviluppare la vita né, è naturale, la mente. 

Esistono numerosi esempi di regolazione fine. Se la costante cosmologica ? (…), che descrive l'espansione accelerata dell'universo (...), fosse stata appena un pochino più grande o più piccola, non si sarebbero formate le stelle e le galassie. 

Ancora, se l'interazione nucleare forte (quella che mantiene uniti i protoni e i neutroni all'interno del nucleo dell'atomo) fosse stata leggermente minore, l'idrogeno sarebbe l'unico elemento presente nell'universo, cosicché la vita come la conosciamo, che dipende dalle proprietà chimiche del carbonio, non si sarebbe potuta sviluppare; e, se fosse stata leggermente maggiore, l'idrogeno si sarebbe trasformato in elio, impedendo la formazione di stelle di lunga durata e quindi, di nuovo, rendendo impossibile la vita che conosciamo. 

Se l'interazione nucleare debole (responsabile di fenomeni naturali come il decadimento radioattivo) fosse stata leggermente inferiore, non si sarebbe formato l'idrogeno e, di conseguenza, non ci sarebbero state le stelle e non si sarebbe sviluppata la vita; se, al contrario, fosse stata leggermente superiore, le supernove non avrebbero potuto espellere gli elementi pesanti necessari alla vita. Se l'interazione elettromagnetica (quella tra le particelle di carica elettrica) fosse stata un pochino più forte, le stelle non sarebbero state sufficientemente calde (…), se fosse stata un pochino più debole, si sarebbero consumate troppo rapidamente per dare alla vita il tempo di evolvere. 

Questi e molti altri esempi indicano che, se i valori di certe costanti fondamentali fossero stati leggermente diversi, la vita non sarebbe stata possibile e, ovviamente, neppure sarebbe apparso un essere cosciente e libero come l'essere umano. 

La ricerca (…) relativa al valore delle costanti favorevoli alla vita viene chiamato ragionamento antropico, da cui deriva il cosiddetto principio antropico. Il quale, nella sua versione debole, indica solo che il valore delle leggi e delle costanti è tale da permettere l'apparizione della vita e dell'essere umano, mentre, nella sua versione forte, giunge ad affermare che questi valori sono tali proprio per consentire il sorgere della vita e di un essere come l'essere umano. Un tema da cui sorgono due importanti questioni filosofiche: il perché di questo universo tanto speciale e, unito a ciò, il fondamentale interrogativo se la vita e il pensiero siano fenomeni marginali o riferimenti centrali nell'universo. 

La regolazione fine è un fatto: la maggior parte delle variazioni delle leggi e delle costanti della natura darebbero luogo a universi in cui la vita sarebbe impossibile. Ancor di più, renderebbero impraticabile qualunque forma di complessità. (…). 

Questo tema della regolazione fine è stato considerato da alcuni come una mera curiosità filosofica e da altri come il chiaro indizio di un disegno. 

Tuttavia, la rilevanza che tale questione è giunta ad avere nell'ambiente dei cosmologi e, soprattutto, il fatto che alcuni, invocando il principio antropico forte, abbiano postulato l'azione di un agente esterno hanno fatto sì che iniziasse a svilupparsi la tesi del multiverso, una congettura senza alcun avallo empirico motivata dalla volontà di spiegare la regolazione fine senza dover ricorrere ad argomenti tali da evocare una teleologia nell'universo. Hawking lo esprime chiaramente: «Così come Darwin o Wallace hanno spiegato come il disegno apparentemente miracoloso delle forme possa prescindere dall'intervento di un essere supremo, allo stesso modo il concetto di multiverso può giustificare la regolazione fine delle leggi senza la necessità di un creatore benevolo impegnato a dar vita a un universo a nostro favore». 

Hawking mette il dito sulla piaga nell'indicare che, se il modello del Big Bang fosse corretto, lo stato iniziale risulterebbe scelto con grande meticolosità e ciò implicherebbe il riferimento all'atto di un Dio deciso a creare questo universo. Se l'universo fosse autocontenuto, senza frontiere né margini, semplicemente esisterebbe e allora non ci sarebbe spazio per un creatore. (…). 

Il problema è che, come indica lo stesso Hawking, a molti non piace l'idea di un indizio di una presenza divina, ma questa non è scienza, bensì pura ideologia, rispettabile, è chiaro, ma pur sempre ideologia. Di più, la stessa teoria del multiverso, da un punto di vista filosofico, non escluderebbe il ricorso a Dio: basterebbe credere che Dio abbia creato il multiverso come mezzo per generare il nostro universo. Alla luce di queste riflessioni, quello che appare chiaro è che, con lo sviluppo della scienza, la base empirica della teleologia si è rafforzata in maniera straordinaria. 

 

Implicazioni filosofiche e teologiche della cosmologia attuale 

(…). La scienza attuale parla della dinamicità intrinseca dell'universo che si esprime nella seguente struttura: spazialità-temporalità-materialità-dinamicità, che costituiscono un tutto unico. Tale visione contrasta in maniera radicale con l'universo statico e compiuto della tradizione classica. È un universo aperto alla novità, in cui le strutture tendono alla complessità, cioè a un'auto-organizzazione progressiva. E (…) se, al livello dell'universo nel suo complesso, parliamo di aumento dell'entropia (disordine), localmente si osserva una negentropia (aumento della complessità e pertanto dell’ordine), un'auto-organizzazione delle strutture che consente l'emergere di novità. L'auto-organizzazione, la correlazione e la direzionalità si incastrano assai bene con una visione teleologica dell'universo. 

L'immagine del mondo della fisica classica da Newton a Einstein ci presentava un universo con un comportamento regolare, controllabile e prevedibile, come se si trattasse di una macchina. La fisica attuale ci parla di indeterminismo, considerato dalla maggior parte dei fisici come qualcosa di intrinseco, nel senso che la natura probabilistica della realtà evidenziata dalla meccanica quantistica costituisce una proprietà intrinseca della materia, qualcosa di ontologicamente reale. Ancora, la teoria del caos ha liberato i processi macroscopici dall'influenza meccanicista. I processi nel cosmo non sono così prevedibili come presupponeva il meccanicismo classico. 

In questo primo Big Bang già possiamo evidenziare alcune questioni importanti per il tema di cui ci stiamo occupando. (…). L'universo è dotato di razionalità: avrebbe potuto essere un caos disordinato, ma non lo è. Alcuni potrebbero argomentare (…) che l'ordine lo poniamo noi, ma ciò non spiegherebbe la straordinaria precisione con cui le attuali teorie fisiche spiegano il comportamento della materia. Non è la nostra conoscenza che si impone alla realtà, ma il contrario. In secondo luogo, il nostro universo è dinamico, presentando una tendenza alla complessità in cui le strutture si vanno auto-organizzando in maniera da consentire il sorgere di novità.   

Oggi ci troviamo di fronte a problemi di fisica irrisolti, come per esempio quelli relativi all'energia oscura, alla materia oscura e alla continuità dello spazio-tempo. Si delineano anche questioni filosofiche, come quella della potenzialità impressa nella materia, con le novità che questa genera. Infine, esistono questioni religiose, che rimandano all'origine e al destino dell'universo e all'azione di Dio nel cosmo. 

(…). L'universo non sembra necessario, non sembra che abbia in sé la sua ragione d'essere, avrebbe potuto non essere: per questo si presenta come un grande enigma metafisico. E questo, insieme alla sua singolarità così specifica, ammette la visione di Dio come un'interpretazione coerente. (…).

 

IL BIG BANG BIOLOGICO 

Quando parliamo della vita, ci viene subito in mente la teoria dell'evoluzione: l'evoluzione, tuttavia, può offrire un'interpretazione del modo in cui si dispiega la complessità biologica, ma non un principio generale del perché è sorta. 

La novità della vita: emergentismo versus riduzionismo 

Esistono molteplici teorie sul modo in cui è potuta sorgere la vita, ma la realtà è che non lo sappiamo. Secondo i calcoli scientifici, la vita sulla terra è sorta 3.470 milioni di anni fa. (…). La sequenza del processo sarebbe questa: dominio dell'evoluzione chimica prebiologica (…) – Ultimo Antenato Comune Universale (LUCA) – dominio degli archei (microorganismi unicellulari procarioti, ossia senza nucleo) – dominio degli eubatteri – dominio degli eucarioti (regno delle piante, degli animali, dei funghi e dei protisti). È a partire dall'Ultimo Antenato Comune Universale, l'antenato comune di tutti gli esseri viventi che esistono sulla terra, che disponiamo di una conoscenza più precisa. 

(…). È un processo in cui una complessità crescente in determinate strutture materiali ha portato all'apparizione di una novità nel cosmo che ha dato luogo a un nuovo livello di realtà: la vita (…). 

La prospettiva dell'emergentismo richiama un paradigma di comprensione più coerente con il principio di auto-organizzazione. (…).

Il riduzionismo sostiene che la chiave esplicativa delle cose è più negli elementi che compongono un sistema che nelle relazioni che si stabiliscono nel sistema stesso (...). L'emergentismo, invece, sostiene che esistono proprietà che dipendono dal comportamiento del sistema e che non possono essere spiegate dagli elementi che lo compongono. Quando i sistemi diventano più complessi, sorgono queste proprietà emergenti. (…).

Dire che nell'evoluzione cosmica si verificano processi emergenti in cui vanno sorgendo distinti livelli di realtà (fisico-chimico-biologico-psichico) è una pura descrizione di quanto accade. (…). Filosoficamente sorge immediatamente la questione: quella di quale sia la ragione di questa complessità crescente che, in un determinato momento, porta all'apparizione di una novità come la vita, novità che presuppone l'emergere di un nuovo livello di realtà, quello biologico. Considerando che la scienza moderna ha sradicato la teleologia dalla pratica scientifica (...), il caso si è andato trasformando in una specie di Deus ex machina in grado di spiegare tutto. 

Al caso e al tempo si è attribuito il ruolo di demiurghi generatori di novità, ma il problema è che, se ci limitiamo al caso e al tempo di cui disponiamo a partire dal Big Bang, non si sarebbe potuta formare neppure la più semplice delle cellule. (…). 

L'evoluzione, un processo di straordinaria creatività 

Comparsa la vita sul nostro pianeta, la teoria dell'evoluzione ne spiegherebbe la straordinaria fecondità. Possiamo dire che l'essenziale della teoria dell'evoluzione è stato chiarito, ma che essa stessa evolve, come mostrano, per esempio, gli ultimi studi sull'epigenetica (branca della biologia molecolare che studia le mutazioni genetiche e la trasmissione di caratteri ereditari non attribuibili direttamente alla sequenza del DNA, ndt) e lo sviluppo embrionale asimmetrico. Se ci atteniamo agli aspetti fondamentali della teoria dell'evoluzione, osserveremo che essa dipende da tre fattori: due aleatori, la variabilità genetica degli esseri viventi e la variabile ambientale, e uno necessario, la selezione naturale. (…). 

Rispetto alla selezione naturale, non ci sono dubbi che essa rappresenti un importante fattore del meccanismo evolutivo, ma non emerge in alcun modo che sia l'unico processo implicato (…). Rispetto al caso, ci richiamiamo a quanto affermava il Premio Nobel Christian de Duve: «L'evoluzione, pur dipendendo da avvenimenti casuali, parte da un certo numero di limiti esterni e interni che, se le circostanze lo permettono, obbligano a muoversi verso una maggiore complessità. Se le circostanze fossero state diverse, l'evoluzione avrebbe potuto essere differente, avrebbe potuto seguire un distinto percorso nel tempo, e avrebbero potuto prodursi organismi diversi da quelli che conosciamo e persino essere pensanti distinti dagli umani». 

E questo ci permette di sostenere che i meccanismi dell'evoluzione operano in maniera tale da sfruttare le opportunità e le potenzialità che la realtà è in grado di offrire, vale a dire che funzionano come straordinari canali di creatività che consentono di occupare le distinte nicchie ecologiche. E non c'è motivo per non pensare che siano in grado di occupare anche la nicchia ecologica riservata agli esseri con coscienza e libertà. Lungi dall'essere un processo puramente cieco, come indica Dawkins, l'evoluzione si presenta come un processo di meravigliosa creatività.

La creazione, intesa come l'opera di un Dio che crea dal nulla e mantiene in essere, non è incompatibile con l'evoluzione. Le due tesi si collocano su piani distinti. (…). Come segnala Martin Ruse, quando il darwinismo e il cristianismo vengono esaminati in profondità, i punti che sembrano controversi sono proprio quelli che consentono di avanzare e di realizzare una migliore comprensione. 

Tre sono stati i temi emersi dalla teoria di Darwin che hanno provocato tensioni con la religione cristiana: la possibilità di fornire un'interpretazione materialista della natura umana; il fatto che l'essere umano non risulterebbe più come meta dell'evoluzione; il rischio, infine, che possa essere cancellato l’intervento di Dio nel mondo. Apparentemente, questi elementi avrebbero potuto costituire un problema, ma la realtà è che il cristianesimo ha potuto liberarsi dalla difettosa concezione meccanicista e deista diffusa da William Paley (teologo anglicano autore, nel 1802, dell'opera Natural Theology, or Evidences of the Existence and Attributes of the Deity collected from the Appearances of Nature, in cui intendeva dimostrare l'esistenza di Dio a partire dall'ordine presente in natura, presentando la famosa analogia di Dio con la figura di un grande orologiaio: la natura, cioè, si presentava come un grande meccanismo che richiamava la figura di questo Grande Ingegnere). 

Materialisti atei e laicisti hanno visto nelle tesi darwiniste una via per espellere Dio dallo spazio pubblico. Uno dei problemi di questo laicismo di orientamento scientista è che conosce ben poco della religione e nulla della teologia. Così, per esempio, Dawkins, nel suo libro L'orologiaio cieco, ha contestato l'approccio della teologia naturale di Paley come se questi fosse rappresentativo del cristianesimo nel suo complesso, malgrado ciò sia totalmente estraneo alla realtà, in quanto nessun cristiano con una certa formazione sottoscriverebbe la tesi di Paley. 

La compatibilità tra le tesi darwiniane e il cristianesimo era sostenuta dallo stesso Darwin, il quale, in una lettera del 1874, affermava quanto segue: «Mi pare assurdo dubitare che si possa essere al tempo stesso ferventi teisti ed evoluzionisti». Il tema delle relazioni tra il darwinismo e il cristianesimo è stato oggetto di una totale manipolazione. Di fatto, il grande riformatore sociale Charles Kingsley, a cui lo stesso Darwin aveva inviato anticipatamente un esemplare de L'origine delle specie, arrivò a sostenere: «Sappiamo da sempre che Dio è così saggio da aver potuto creare tutte le cose, ma, pensate, è anche più saggio, in quanto è stato capace di far sì che tutte le cose si facessero da sé». 

Conclusione: una nuova comprensione del mondo 

Dal punto di vista filosofico e culturale, possiamo affermare che con Darwin si sia realizzata una rivoluzione copernicana. Se, dagli albori della filosofia in Grecia, si era imposta una concezione statica e fissista del mondo, a partire dalla metà del XIX secolo il pensiero sarebbe stato interamente segnato dall'idea dell'evoluzione. L'evoluzionismo sarebbe diventato un aspetto fondamentale dello spirito del nostro tempo. 

La natura non era più una realtà che stava semplicemente lì, un mondo fisso e compiuto come quello che proponeva Aristotele. La realtà era dinamica: il mondo si presentava come una realtà autonoma che evolveva seguendo le proprie leggi (...). 

Queste idee, insieme a quelle offerte dalla nuova fisica relativista e quantistica, sono andate infine sostituendo il paradigma meccanicista con paradigmi sistemici, olistici e complessi. Modificandosi la comprensione della storia naturale dell'universo e della Terra, si modificava anche la comprensione del Creatore. L'opera di Darwin ha introdotto un modo di pensare che ha trasformato tutto, conoscenza, morale e religione. Il cambiamento (…) è diventato fondamentale in tutto ciò che esiste. Tutto il cosmo è apparso con una dinamicità evolutiva che conduce alla vita, dalla quale emerge, in maniera sorprendente, il mondo del pensiero. l