UNDICI TESI E UNA CONCLUSIONE SUL VENEZUELA

 

Juan Carlos Monedero*

 

Tratto da: Adista Documenti n° 30 del 09/09/2017

 

1. Certamente, Nicolás Maduro non è Salvador Allende. E non è neanche Hugo Chávez. Ma coloro che hanno realizzato il golpe contro Allende e contro Chávez sono, e anche su questo non ci sono dubbi, gli stessi che ora stanno tentando il golpe in Venezuela.

2. I nemici dei tuoi nemici non sono tuoi amici. Si può anche non amare Maduro senza per questo dimenticare che nessun democratico si può schierare dal lato dei golpisti, di quelli che hanno inventato gli squadroni della morte, i voli della morte, il paramilitarismo, l’assassinio della cultura, l’Operazione Condor, i massacri di contadini e indigeni, il furto delle risorse pubbliche. È comprensibile che ci siano persone che non vogliono porsi dalla parte di Maduro, ma è opportuno riflettere sul fatto che, nello schieramento che appoggia i golpisti, in Europa, ci sono politici corrotti, giornalisti mercenari, nostalgici del franchismo, imprenditori senza scrupoli, mercanti di armi, sostenitori degli aggiustamenti economici, apologeti del neoliberismo. Non tutti quelli che criticano Maduro sono riconducibili a tali posizioni. Conosco persone oneste che non tollerano ciò che sta succedendo in Venezuela. Ma è evidente che, a fianco di quanti stanno tentando un golpe in questo Paese,  ci sono coloro che hanno sempre appoggiato i colpi di Stato in America Latina, o quelli che mettono i propri affari al di sopra del rispetto della democrazia. I mezzi di comunicazione che stanno alimentando la guerra civile in Venezuela sono gli stessi gruppi mediatici che hanno trasmesso l’informazione sulla presenza di armi di distruzione di massa in Iraq, che ci somministrano l’idea della necessità di salvare le banche con denaro pubblico o che sostengono che l’orgia dei milionari e dei corrotti debba essere pagata da tutti con tagli e privatizzazioni. Il fatto di condividere la trincea con questo genere di persone dovrebbe indurre alla riflessione. La violenza deve sempre restare la linea rossa da non oltrepassare. Non ha senso che l’odio nei confronti di Maduro spinga persone decenti dalla parte dei nemici dei popoli.

3. Maduro ha ereditato un compito assai difficile – amministrare il Venezuela nel momento del crollo dei prezzi del petrolio e della ripresa di interesse degli Stati Uniti nei confronti dell’America Latina, dopo la terribile avventura in Medio Oriente – e una missione impossibile – sostituire Chávez. La morte di Chávez ha privato il Venezuela e l’America Latina di un leader capace di mettere in campo politiche in grado di strappare alla povertà 70 milioni di persone nel continente. Consapevole che la democrazia in un solo Paese fosse impossibile, Chávez ha messo a disposizione le sue risorse, in una fase di prosperità dovuta al rilancio dell’OPEC, per l’avvio della fase più brillante degli ultimi decenni nel continente, guidata da Lula in Brasile, Correa in Ecuador, Morales in Bolivia, Kirchner in Argentina, Lugo in Paraguay, Mujica in Uruguay, Funes in El Salvador, Petro a Bogotá e anche Bachelet in Cile.   

I settori popolari hanno avuto accesso all’educazione e alla sanità, è stata completata l’alfabetizzazione, sono state costruite case pubbliche e nuove infrastrutture, sono stati creati trasporti pubblici (dopo le privatizzazioni e la disattivazione del trasporto ferroviario), è stato posto un freno alla dipendenza dal FMI, si sono indeboliti i vincoli con gli Stati Uniti attraverso la creazione dell'UNASUR e della CELAC. Vi sono anche ombre, determinate soprattutto dalla debolezza degli Stati e dalla corruzione. 

Ma ci vorrebbe un secolo perché il costo legato ai casi di corruzione dei governi progressisti dell’America Latina raggiunga le cifre spese per salvare le banche. La propaganda dei padroni della propaganda ha finito per indurre l’oppresso ad amare l’oppressore. Non era mai successo, dall’epoca della demonizzazione di Fidel Castro, che un leader latinoamericano fosse vilipeso come Chávez. Per distribuire risorse ai poveri ha dovuto dire ai ricchi dell’America e anche dell’Europa che dovevano guadagnare un po’ meno. Non lo hanno tollerato. (…). Da quando ha vinto le prime elezioni nel 1998, Chávez ha dovuto affrontare numerosi tentativi di colpo di Stato. (…).

4. Chávez non ha lasciato in eredità a Maduro gli equilibri nazionali e regionali, politici, economici e territoriali che aveva costruito. Si trattava di una costruzione personale in un Paese che, al momento dell'avvento di Chávez, presentava un tasso di povertà del 60% della popolazione. Ci sono cambiamenti che richiedono un’intera generazione. Ed è su questo terreno che l’opposizione vuole strangolare Maduro, quello di problemi irrisolti come le importazioni, il dollaro a tassi preferenziali o le difficoltà a frenare la corruzione che hanno prodotto la scarsità di prodotti di base. Tuttavia, Maduro ha saputo rilanciare l’accordo “civico-militare” che tanto fastidio dà agli amici del golpismo, e non a caso, avendo gli Stati Uniti sempre promosso i colpi di Stato con l’appoggio dei militari autoctoni, mercenari o disertori. L’esercito, in America Latina, può essere compreso solo in relazione agli USA. Gli eserciti dell’America Latina sono stati addestrati negli Stati Uniti, riguardo sia alle tattiche di tortura o alla “lotta controrivoluzionaria” che all’utilizzo delle armi vendute loro e al rispetto degli interessi nordamericani. In Venezuela, gli stessi che hanno formato gli assassini della Scuola di Meccanica della Marina (ESMA) argentina o che hanno sostenuto Pinochet si trovano in difficoltà (l’assalto di mercenari vestiti da militari alla caserma di Carabobo mirava a diffondere la sensazione di una divisione nell’esercito, che, al momento, non sembra esistere). Allo stesso modo in cui comprano i militari, gli Stati Uniti hanno sempre prezzolato giudici, giornalisti, professori, deputati, senatori, presidenti, assassini e chiunque fosse necessario a fare dell’America Latina il proprio “cortile di casa”. Il cartello mediatico internazionale ha sempre fornito loro la copertura necessaria. 

È l’esistenza degli USA come impero ad aver costruito l’esercito venezuelano. I nuovi ufficiali, tuttavia, si sono formati all’interno del discorso democratico, sovrano e anti-imperialista. E costituiscono la maggioranza. (…). Le carenze dello Stato venezuelano incidono anche sull’esercito, soprattutto in aree problematiche come le frontiere. Ma le caserme, in Venezuela, stanno con il presidente costituzionale. Per questo è ancora più patetico sentire il democratico Felipe González esortare i militari venezuelani a rovesciare il governo di Nicolás Maduro.

5. Alle difficoltà di mantenere gli equilibri e gli accordi nella regione (l’amicizia di Chávez con i Kirchner, Lula, Evo Morales, Correa e Lugo) bisogna aggiungere il fatto che la disputa dell’Arabia Saudita con il fracking e con la Russia ha portato a un drastico abbassamento dei prezzi del petrolio, la principale fonte di ricchezza del Venezuela. Il crollo del prezzo del greggio ha posto il governo Maduro in una situazione complicata (il problema di ogni “monocultura”. Pensiamo a cosa succederebbe in Spagna se il turismo crollasse dell’80% per cause estranee al governo: manterrebbe Rajoy sette o otto milioni di voti?). E così Maduro ha dovuto ricostruire gli equilibri di potere in un momento di brutale crisi economica.

6. L’opposizione in Venezuela tenta la via di un colpo di Stato dal giorno in cui Chávez ha vinto. Il Venezuela ha rappresentato l’avanguardia dei cambiamenti nel continente. Mettere fine a questa esperienza è aprire la valvola perché succedano cose analoghe nei Paesi in cui il neoliberismo non è ancora tornato al potere. Le oligarchie sono infastidite dai simboli che indeboliscono i suoi punti di vista. È successo in Spagna con la II Repubblica nel 1936 ed è successo anche in Cile con Allende nel 1973. Distruggere il Venezuela chavista significa tornare all’egemonia neoliberista e anche alle tentazioni dittatoriali degli anni '70.

7. Il Venezuela possiede, inoltre, le maggiori riserve di petrolio del mondo e grandi quantità di acqua, biodiversità, oro, coltan (forse la maggiore riserva di coltan a livello mondiale). Gli stessi che hanno provocato la distruzione della Siria, dell’Iraq e della Libia per impossessarsi del petrolio vogliono ora fare la stessa cosa in Venezuela. Ma hanno prima bisogno di conquistare l’opinione pubblica perché il furto non sia tanto evidente. Hanno bisogno di riprodurre in Venezuela la stessa strategia seguita nel momento della denuncia di armi di distruzione di massa in Iraq. Molta gente onesta non ha forse creduto che ci fossero davvero queste armi? Oggi quel Paese, un tempo prospero, è in rovina. Chi ha creduto alle menzogne del PP spagnolo, guardi oggi alla situazione di Mosul. Congratulazioni agli ingenui. Le bugie le sentiamo tutti i giorni. L’opposizione ha fatto esplodere una bomba al passaggio di  un gruppo di poliziotti a Caracas e tutti i giornali hanno pubblicato la foto come se la responsabilità fosse di Maduro. Un elicottero rubato ha lanciato granate sul Tribunale Supremo e i media hanno taciuto. Sono atti terroristici. Di quelli che riempiono le copertine dei giornali e che aprono i telegiornali. Salvo quando succedono in Venezuela. Un referendum illegale in Venezuela “è una forma di pressione sul regime”. Un referendum illegale in Catalogna è quasi un atto di ribellione.

8. Il cartello mediatico internazionale ha trovato un buon filone. Si tratta di una riedizione della paura di fronte alla Russia comunista, alla Cuba dittatoriale o al terrorismo internazionale (non direbbero mai che lo Stato Islamico è una costruzione occidentale, finanziata principalmente dal capitale nordamericano). Il Venezuela è diventato il nuovo demonio. Ciò consente di denunciare chi è “chavista” e di evitare di parlare della corruzione, dello svuotamento delle pensioni, della privatizzazione degli ospedali, delle scuole e delle università o dei soldi dati alle banche. Mélenchon, Corbyn, Sanders, Podemos o qualsiasi forza di cambiamento in America Latina vengono squalificati con l’accusa di chavismo, ora che l’accusa di essere comunisti o di appartenere all’ETA non va più di  moda. 

Il giornalismo mercenario ha adottato da anni questa strategia. Nessuno ha mai spiegato quale politica genuinamente bolivariana sia presente nei programmi dei partiti del cambiamento. Ma non importa. Ciò che conta è diffamare. Ed è così che persone di buona volontà finiscono per credere alle armi di distruzione di massa o al fatto che in Venezuela vi sia una dittatura. Una dittatura dove, stranamente, l’opposizione manifesta tutti i giorni (anche attaccando strutture militari), dove i mezzi di comunicazione criticano liberamente Maduro (non come in Arabia Saudita, in Marocco o negli Stati Uniti), dove l’opposizione governa nei comuni e nelle regioni. È la stessa tattica che, durante la guerra fredda, aveva costruito il “pericolo comunista”. È per questo che, in Spagna, (…) su 100 volte in cui si cita il “Venezuela”, 95 sono finalizzate a distrarre, nascondere o mentire.

9. Il Venezuela ha un problema storico irrisolto. (…). Lo Stato venezuelano è sempre stato dipendente dal petrolio, inefficiente, dissanguato dalla corruzione e ostaggio delle necessità economiche degli USA, secondo gli interessi delle oligarchie locali. Lo scontro tra l’Assemblea Nazionale e la presidenza avrebbe dovuto essere risolto giuridicamente. Segnali di inefficienza sono visibili da tempo. La dipendenza dello Stato dal petrolio non è stata superata. Il governo venezuelano ha redistribuito i profitti del petrolio tra i più umili, ma non si è lasciato alle spalle questa cultura politica, né ha migliorato il funzionamento dello Stato. Ma non inganniamoci. Il Brasile ha una struttura giuridica più solida, eppure il Parlamento e alcuni giudici hanno potuto rovesciare Dilma Rousseff.

 Donald Trump può sostituire il procuratore generale e non succede niente, ma, se lo fa Maduro, viene accusato di essere un dittatore. Una parte delle critiche rivolte a Maduro è particolarmente disonesta perché fa finta di ignorare il fatto che la Costituzione permette al presidente di convocare un’Assemblea Costituente. Che ci piaccia o no, l’articolo 348 della Costituzione vigente in Venezuela consente al presidente di farlo, esattamente come in Spagna il capo di Governo può sciogliere il Parlamento.

10. Zapatero e altri ex-presidenti, il papa e le Nazioni Unite stanno chiedendo a entrambe le parti di dialogare. L’opposizione ha ottenuto circa 7 milioni di voti (...). Maduro, in un contesto regionale estremamente complesso e malgrado le pesanti restrizioni economiche legate alla difficoltà di acquistare prodotti essenziali come le medicine, è riuscito a ottenere 8 milioni di voti (sarebbero tanti anche se fossero sette, secondo le dichiarazioni alquanto sospette del presidente della Smartmatic, che ha appena firmato un contratto milionario in Colombia). È chiaro che il Venezuela è diviso. L’opposizione, come in altre occasioni, ha scelto la strada della violenza e non si capacita di come Maduro possa ricevere tanti voti. Se in Spagna una forza politica appiccasse il fuoco ad ambulatori e scuole, attaccasse il Tribunale Supremo, assaltasse caserme, contrattasse emarginati per seminare il terrore, bloccasse le strade e perfino bruciasse persone vive per il semplice fatto che la pensano in modo diverso, qualcuno si sorprenderebbe se i cittadini votassero contro questi pazzi?  

11. Sconfitta la scelta della violenza, all’opposizione venezuelana restano solo due possibilità: proseguire sulla via dell’insurrezione, con l'incoraggiamento del Partito Popolare spagnolo, di Donald Trump e dell’estrema destra internazionale o tentare di vincere nelle urne. Gli Stati Uniti continuano a esercitare pressioni (a un settimanale uruguayano il presidente Tabaré Vázquez ha detto di aver votato per l’illegale espulsione del Venezuela dal MERCOSUL per paura delle rappresaglie dei grandi Paesi). 

Ma 57 Paesi delle Nazioni Unite hanno chiesto che la sovranità del Venezuela venga rispettata. (…). La destra mondiale vuole cancellare questo governo, indipendentemente dai costi per la popolazione di quel Paese. (...) Il Venezuela andrà a breve a elezioni comunali e regionali. È lo scenario in cui l’opposizione dovrà dimostrare di essere la maggioranza, come da essa rivendicato. Si tratta di un’eccellente opportunità per misurare elettoralmente le forze. Perché, in caso contrario, lo scontro a cui stiamo assistendo crescerebbe e si trasformerebbe in una terribile cancrena. Chi è interessato a una guerra civile in Venezuela? Non facciamoci prendere in giro. Né il PP né Trump hanno a cuore i diritti umani. Se così fosse, romperebbero i rapporti con l’Arabia Saudita (che decapita giovani manifestanti durante la Primavera Araba o frusta le donne che guidano la macchina), con la Colombia, dove 150 persone sono state assassinate dai paramilitari negli ultimi mesi, o con il Messico, dove ogni mese viene ucciso un giornalista e dove compaiono fosse comuni con decine di cadaveri. (…). Qualcuno ci dirà che questi governi si preoccupano dei diritti umani?

Conclusione

Non c’è bisogno di essere in sintonia con Maduro, e ancor meno con il suo modo di procedere, per denunciare il tentativo di colpo di Stato in Venezuela. Dobbiamo riflettere su come evitare di commettere gli errori già compiuti, dando credito alle menzogne divulgate dai mezzi di comunicazione. Il Venezuela deve risolvere i suoi problemi attraverso la via del dialogo. È evidente che i problemi ci sono. Ma due metà del Paese che si scontrano non vanno da nessuna parte facendo monologhi. Anche se una parte è appoggiata dai Paesi più potenti del campo neoliberista. Né il PP né la destra vogliono il dialogo. Vogliono che Maduro rinunci. 

Ma voi pensate che gli 8 milioni di elettori dell’Assemblea Costituente resterebbero a braccia conserte? Il nuovo governo seguirebbe la strada della repressione e dei massacri. I media affermerebbero che la democrazia venezuelana si sta difendendo dai nemici della democrazia. E di nuovo ci sarebbero persone ingenue pronte a credere loro. Al resto del mondo, in nome della democrazia, si richiedono solo due cose: esigere e sostenere il dialogo in Venezuela e impedire alle forze della destra internazionale, a cominciare da Donald Trump, di continuare a seminare sofferenze in altri luoghi del mondo per nascondere quelle che provocano nei propri Paesi. 

 

*Juan Carlos Monedero, docente universitario e dirigente di Podemos, pubblicata su Página/12 il 13 agosto scorso.