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DISCUSSIONE SUL PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO

 

Il coordinatore nazionale di “Noi Siamo Chiesa” accusa MicroMega di un "pregiudizio ideologico-culturale", "conseguenza di un laicismo sterile” nei confronti di papa Francesco, al quale la rivista ha dedicato il volume attualmente in edicola. Alle osservazioni critiche di Bellavite risponde Marco Marzano, uno degli autori che ha contribuito al numero.

 

da  www.micromega.net del 19 giugno 2018

Uno sterile pregiudizio ideologico ha ispirato il numero di MicroMega sulla “finta rivoluzione di papa Bergoglio”

 

di Vittorio Bellavite*

 

“MicroMega” si è impegnata, nel numero ora in edicola, in un compito ormai consueto per tutti gli editori importanti, quello dell’analisi del pontificato di Francesco. Nel nostro paese il fatto assume un rilievo notevole per la particolare collocazione culturale e politica di tale rivista che si definisce “per una sinistra illuminista”. Una sua lettura integrale mi permette di fare alcune considerazioni, a partire dal punto di vista di chi segue dall’interno la vita della Chiesa e questo pontificato, con molta partecipazione da una parte e con indipendenza di giudizio dall’altra.

I contenuti del fascicolo

Il materiale del fascicolo è disomogeneo e ciò potrebbe non essere un difetto. Molti dei testi raccontano i problemi della Chiesa descrivendo situazioni ben note (da libri e testi di vario tipo) sulle quali la cultura laica e anche quella cattolico-democratica hanno scritto e riflettuto, facendo emergere realtà consolidate e discutibili che dovrebbero essere profondamente modificate . Ciò vale , per esempio, per le risorse di cui gode oggi in Italia la Chiesa nel nostro paese (ottopermille ecc…), per il sistema concordatario dell’insegnamento della religione nelle scuole, per la enorme quantità dei beni materiali che fanno capo a strutture ecclesiastiche, per la gestione molto problematica di quanto fa capo al Vaticano (IOR e dintorni). Altri testi trattano della pedofilia del clero e della condizione della donna nella Chiesa alla luce degli interventi di Francesco; se ne descrivono le difficoltà e le debolezze. Marie Collins imputa al papa una insufficiente determinazione sulla prima questione ma manca la descrizione di quanto sta facendo Francesco ultimamente nei confronti della Chiesa cilena. Sulla donna nella Chiesa Mary McAleese si occupa di un elemento di oggettiva carenza del pontificato. La riforma della Curia viene considerata debole o inesistente. In effetti la struttura del C9 (i cardinali che collaborano alla riforma ) non è all’altezza del compito che dovrebbe svolgere. Sono d’accordo che tre dei nove cardinali dovrebbero essere licenziati (Pell, Maradiaga, Erràzuriz); la logica di questo team non è quello di decentrare competenze alle conferenze episcopali e di ridurre l’elefantiasi della struttura romana ma è soprattutto quella di accorpare e razionalizzare l’esistente. Quanto alla gestione della comunicazione l’analisi di Micromega è esplicita. Si tratterebbe di una grande operazione di immagine, che sarebbe “il cuore del pontificato e il motivo stesso della elezione” di Francesco (Cecilia Calamani); altrettanto pesante è Marco Marzano, che deplora l’enfasi dei media su papa Francesco e il tacere sui suoi insuccessi . Forse bisognerebbe chiedersi, anche o soprattutto, in questa crisi all’inizio del nuovo millennio di punti di riferimento etico-politici, di ripresa di domande di senso e di eclissi della sconfitta della religione, il “perché” di questa popolarità di papa Bergoglio che i media non creano ma inseguono . Altri testi sono interessanti ma del tutto diversi dal resto del fascicolo, ciò si dica per le due biografie di Selene Zorzi e di Vitaliano della Sala che raccontano la loro vicenda in convento e in seminario, e ciò si dica anche per la descrizione che Claudia Fanti fa della situazione attuale della Teologia della Liberazione.

I quattro punti di Marco Marzano

Il fascicolo di Micromega non ha un editoriale di presentazione del suo significato e del suo eventuale messaggio. Debbo allora pensare che il testo che dà senso al tutto è quello iniziale e importante di Marco Marzano “La costruzione della star ‘Francesco’ ” (insieme a quello, almeno in parte, di Emiliano Fittipaldi). Primo punto del suo intervento: non c’è vera opposizione in Vaticano, papa Francesco andrebbe bene a tutti perché, in fondo, non cambia niente ma dà vernice verso l’esterno al Vaticano in una situazione molto compromessa dopo gli scandali . Non replico, chi conosce le cose resta meravigliato di una simile sbrigativa affermazione. Secondo punto: è un’operazione dei media che hanno bisogno di “star”. Non giudico, non giustifico episodi di “papolatria” che vengono da lontano e che abbiamo sempre criticato ma mi sembra, come ho detto, che le cose siano un po’ più complicate. Terzo punto: i cattolici progressisti con papa Francesco superano una “enorme mole di frustrazioni”; dopo che il Concilio è stato dimenticato per decenni si vogliono prendere la rivincita senza vedere la realtà , dovrebbero pentirsi per il loro “acritico entusiasmo”, “non hanno compreso la natura del sistema di cui fanno parte”. Grazie della predica. Quarto punto: si parla dei “compagni folgorati da Francesco”, cioè di “quell’ampia parte della sinistra politica e sociale che in questi anni si è più volte genuflessa dinanzi all’ex gesuita argentino”. La conclusione di Marzano, che percorre gran parte del fascicolo, è questa: “Il trionfo di Bergoglio è il risultato dunque di un’opera corale innescata da una scelta geniale delle gerarchie cattoliche e poi rinforzata dal lavoro congiunto di media e sinistra, politica ed ecclesiale”.

Le cinque cose che mancano

Lascio alla sinistra politica e sociale, se qualcuno ne avrà voglia, di replicare sull’ultimo punto . Quanto a quello che ci riguarda, cioè la posizione dei cattolici di sinistra (non pretendo di rappresentarli tutti, ma una buona parte sì) voglio solo elencare le questioni sulle quali “Micromega” non dice una sola parola e che sono soprattutto alla base dall’ atteggiamento nostro sul pontificato, ben diverso da quello che abbiamo avuto durante i 35 anni dei due papi che hanno preceduto Francesco:

- la collocazione internazionale del Vaticano e del papato. Si è rotta la centralità europea, c’è oggettiva discontinuità. Non interesserà alla bottega della politica italiana ma interessa a una vasta opinione pubblica nel mondo un’autorità morale che interviene, anche se con mediocre ascolto da parte dei poteri della finanza e della politica, sulle grandi questioni della pace e della guerra e che ha firmato per prima il Trattato di proibizione delle armi nucleari del luglio scorso contro la dura ostilità della Nato e di tutte le potenze nucleari. Prima papa Ratzinger andava alla festa di compleanno di Bush sui prati della Casa Bianca. Ora quando il papa parla non viene più ascoltato come una voce rappresentativa soprattutto dell’Occidente.

– il rapporto tra le religioni , e in particolare quello con l’Islam, viene vissuto da parte cristiana in modo positivo, raccogliendo il senso dell’incontro di Assisi dell’ottobre 1987. Papa Francesco dice e fa il possibile in questa direzione. Le emarginazioni e le persecuzioni che cristiani subiscono in vaste aree del mondo non danno vita a scontri identitari. Il percorso è quello di proporre sempre il dialogo e di non organizzare campagne “contro”. La destra cattolica fondamentalista è tenuta ai margini.

- gli interventi di Francesco  che parlano delle periferie, dei poveri, degli emarginati non sono immagine, manipolazione mediatica ecc... sono invece espressione di quello che la Chiesa è già ora in vaste aree dell’universo cattolico. Non guardiamo soprattutto il dito (il potere romano, i grandi movimenti organizzati, i tanti beni materiali, la burocrazia autoreferenziale) ma osserviamo invece la luna, quella  dei credenti nell’Evangelo, organizzati o dispersi, che cercano di unire una religiosità, magari molto semplice e popolare, alla vita di comunità, alla solidarietà, alla paziente accettazione della propria umile partecipazione alla vita di fede, alla distanza da valori solo mondani (denaro, successo). Francesco vuole dare voce, in nome dell’Evangelo, a questo protagonismo dei credenti dal “basso” perché esso lo diventi di tutti negli scenari della gestione della vita collettiva in ogni villaggio, in ogni città, in ogni paese e poi sullo scenario del mondo ormai globalizzato.

- Francesco sta dando un contributo importante al rilancio del movimento ecumenico, che era ormai fermo. La partecipazione all’anno luterano, le aperture all’ebraismo, i rapporti con gli ortodossi fondati sulla rinuncia alla “conquista” dei paesi dove essi sono storicamente radicati  non sono fatti scontati. Essi sono poco conosciuti dall’opinione laica, hanno tempi lenti ma hanno e avranno ricadute nell’evolversi del rapporto tra le culture e nelle società. Questa accelerazione di papa Francesco è ben conosciuta da chi partecipa alla vita delle Chiese.

- Francesco, con l’enciclica Laudato SI’, ha raccolto le analisi e le proposte del migliore ambientalismo nel mondo e le ha intrecciate con il messaggio evangelico sulla creazione. Dovrebbe essere una svolta per la Chiesa ed è fatto inedito. Tutti i credenti si trovano ora di fronte a una nuova categoria del bene e del male, del tutto lontana da quella tradizionale, prioritaria e quasi esclusiva della morale sessuale. Il rispetto e l’amore per la Natura diventano parte integrante del modo con cui si deve credere e sono la conseguenza della Parola di Dio sulla creazione che contribuisce in tal modo alla storia stessa dell’umanità.

Cinque anni di pontificato

La repressione all’interno della Chiesa è ora sostanzialmente terminata, “la teologia della liberazione esce finalmente dalle catacombe” (Claudia Fanti). Il prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede Muller è stato licenziato. Certamente manca da parte di Francesco un nuovo esplicito rapporto con l’area di chi per quarant’anni ha continuato a rifarsi al Concilio e ad elaborare teologia e pastorale in relazione al rinnovarsi dei segni dei tempi. Una novità di papa Francesco, per quanto riguarda la situazione interna alla Chiesa (e anche motivo della lentezza nei cambiamenti) è quella di proporre la strada della sinodalità, cioè del coinvolgimento maggiore delle strutture ecclesiastiche in alcune grandi questioni. Ciò gli ha impedito “per la contraddizion che nol consente” prese di posizione più dirette sulla questione degli omosessuali (che hanno trovato la strada sbarrata nel sinodo dei vescovi del 2015) e meno complicate e incerte sui divorziati risposati. Su tante altre questioni, pedofilia, povertà della Chiesa, gestione dei beni ecc…, la linea del pontificato è a volte energica, a volte faticosa, a volte impotente, a volte poco comprensibile, come nell’inerzia nel facilitare i ruoli femminili. Detto questo, il magistero di Francesco non dottrinale ma pastorale, attento al vissuto del credente (le sue sofferenze, le sue gioie, i suoi dubbi, il suo rapporto difficile con certe norme morali) ha costituito un grande passo in avanti. Tanti binari obbligati non lo sono più o potrebbero non esserlo più a breve. Papa Francesco ha « riscoperto » il Vangelo, quello della libertà, quello che si occupa della « vedova e dell’orfano » e del samaritano, il Vangelo che non accetta i tanti « sabati » accumulatisi nel sistema ecclesiastico, il Vangelo della misericordia, il Vangelo del primato della coscienza. C’è chi dice che è l’idea stessa di Dio che viene cambiata (Raniero La Valle). Di tutto ciò è consapevole la maggioranza del Popolo cristiano, il cui consenso non è la conseguenza dei media. Semmai sono i media che percepiscono il consenso.

La complessità e i tempi lunghi

Il conoscere e cercare di capire questo pontificato esige una conoscenza non a senso unico della Chiesa , della sua complessità, della sua storia , delle enormi potenzialità che essa comunque ha, anche in tempi di secolarizzazione. Chi ne vuole la riforma sa che deve ragionare per i tempi lunghi, cosa non facile in periodi in cui tutto si crea e si consuma nel presente. Da questo punto di vista di medio-lungo periodo il raffronto con la storia recente della Chiesa è indispensabile e anche da ciò nasce l’atteggiamento positivo, nelle sue linee generali, dei cattolici progressisti nei confronti di Francesco. E’ una posizione che ha sempre ragionato sulla complessità della situazione, su una fase storica anche difficile da capire e che non ha mai mancato di esprimere riserve, proposte, anche graffianti contestazioni (come quella sulla recente santificazione dei due papi). Essa è quella di credenti che si organizzano “dal basso”, che non sono debitori nei confronti di qualche sponsor e che non hanno suggeritori di alcun tipo, se non la lettura e l’interpretazione delle Scritture. “Noi Siamo Chiesa” ha esposto il proprio punto di vista nel documento diffuso a metà di marzo in occasione dei cinque anni del pontificato di Francesco. Esso potrebbe essere preso in maggiore considerazione invece di circolare sempre underground.


Per concludere

Concludendo, mi pare che la “finta rivoluzione di papa Bergoglio” di cui parla Micromega sia analizzata e valutata in modo discutibile , ma soprattutto sia priva di conoscenza complessiva del percorso quinquennale . Mi sembra che abbia giocato, nella preparazione del fascicolo, un pregiudizio ideologico-culturale di fondo che è la conseguenza di un laicismo sterile che viene da lontano. La cultura illuminista, credo, potrebbe dire di meglio per capire lo scorrere della storia che ha strappi che bisogna sapere cogliere anche se intervengono in strutture rigide e millenarie che però hanno la potenzialità di influenzare universi di comportamenti e di culture a dimensione planetaria.

* coordinatore nazionale di “Noi Siamo Chiesa”   

 


 

 

Una scomoda verità

 

di Marco Marzano

 

Vittorio Bellavite, il coordinatore nazionale di Noi Siamo Chiesa, una delle principali organizzazioni del progressismo cattolico, ha pubblicato una lunga nota critica a proposito dell’ultimo numero di MicroMega dedicato al Vaticano e alla “falsa rivoluzione” di Francesco. Bellavite imputa a Micromega, e in particolare al sottoscritto, di nutrire uno “sterile pregiudizio ideologico” nei confronti del pontefice romano e dell’organizzazione che lui dirige.


In verità, Bellavite non nega la validità di moltissime delle argomentazioni avanzate nel numero della rivista da lui messo sotto accusa. Non nega ad esempio, il coordinatore di Noi Siamo Chiesa, che la tanto attesa riforma della curia che avrebbe dovuto dar vita alla chiesa sinodale e rilanciare il potere delle periferie ecclesiali si sia rivelata un clamoroso flop, così come non nega che il presunto rivoluzionario argentino non abbia fatto nulla per mutare il carattere maschilista e clericale della Chiesa Cattolica o che la sua “tolleranza zero” nei confronti della pedofilia si sia rivelata poco più di un vuoto bla bla. Non contesta tutto questo Bellavite. E del resto come potrebbe? Il clamoroso fallimento di tutte le ambizioni riformatrici di Bergoglio è semplicemente incontestabile, è un dato empirico oggettivo sotto gli occhi di tutti, anche se nessuno lo dice mai esplicitamente. Per questo motivo, Bellavite dovrebbe se non altro riconoscere a Micromega di aver avuto il coraggio di compiere un’opera di parresia, di aver affermato una verità scomoda da pronunciare nel clima ottuso da “culto della personalità” costruito intorno a Bergoglio. In definitiva, in questo, e non certo in un pregiudizio ideologico verso il papa, consiste la laicità illuminista della rivista: nel continuare ad usare imperterriti la ragione e la scienza quando tutti intorno ricorrono solo alla retorica mielosa e alla propaganda più o meno interessata.

Quel che invece Bellavite ci rimprovera è di non aver tenuto nella giusta considerazione, accanto agli enormi limiti, quelli che a lui appaiono i grandi meriti del papa argentino. A giudizio di Bellavite, questi riguardano almeno cinque aree: la collocazione internazionale del Vaticano, il rapporto con l’Islam, la questione della povertà, l’ecumenismo e l’ambientalismo. Per ragioni di spazio non posso entrare nel merito di ciascuno di questi aspetti dell’azione e della predicazione di Francesco (sui quali mi permetto di rinviare al mio “La chiesa immobile Francesco e la rivoluzione mancata”). Mi limito ad osservare che, anche nel caso in cui fosse vero (e nella maggior parte dei casi non lo è) che il pontificato di Francesco ha prodotto qualche significativo cambiamento sui terreni citati da Bellavite, si tratterebbe di mutamenti nelle “retoriche” papali che non riguardano, nel modo più assoluto, i rapporti strutturali di potere all’interno dell’organizzazione, e cioè che non scalfiscono la superiorità degli uomini sulle donne, del clero sui laici e di Roma imperiale su tutta la vasta periferia globale.

In altre parole, se il papa inserisce qui e là nei suoi discorsi qualche accenno in più alla condizione dei poveri questo non significa che sia un uomo di sinistra (parlano di poveri anche i fascisti o i peronisti di destra), né soprattutto che la Chiesa stia davvero agendo in modo diverso verso il proletariato, che ad esempio i gerarchi abbiano iniziato a pensare di rinunciare a parte del loro immenso patrimonio mobiliare e immobiliare o che abbiano deciso di interrompere i tanti ottimi rapporti con i dittatori del Terzo Mondo e i leader populisti del Primo o che invitino le masse diseredate alla lotta di classe e alla mobilitazione sindacale. La stragrande maggioranza delle parole pronunciate dal papa, dai gerarchi e dal clero sono semplicemente del tutto prive di conseguenze concrete, come dovrebbe sapere un uomo maturo come Vittorio Bellavite. Immaginare che i regimi politici cambino perché chi li guida innova un po’ il linguaggio della propaganda equivale davvero a vivere nel mondo dei sogni, dove basta chiudere gli occhi perché gli orrori scompaiano e la virtù trionfi. Un’ingenuità analoga porta Bellavite a credere che l’amore per Francesco sia un prodotto spontaneo dei sentimenti del popolo, che i media si limiterebbero a riflettere ed amplificare. Come se la nauseabonda e quotidiana esaltazione populistica del leader "che ama il suo popolo" perché indossa i mocassini usati o si mette in coda col vassoio nella mensa vaticana non fosse parte di una realtà mediatica ormai analoga, nei toni, a quella delle peggiori dittature, dove scompaiono il senso critico e l’indipendenza dell'informazione.

Quel che in realtà a Bellavite e a molta parte della sinistra ecclesiale sembra sfuggire, o che forse non vogliono ammettere, è che papa Francesco, contrariamente a tutte le ingiustificate aspettative alimentate dal roboante avvio del suo pontificato, non è, come del resto i suoi predecessori, né di destra né di sinistra, ma è semplicemente il capo dei cattolici, il principale custode dell’istituzione e il protettore numero uno degli interessi della sua classe dirigente. Questo è del resto da sempre il compito di un papa: tutelare i principi immutabili sui quali l’organizzazione del cattolicesimo si è costituita nel tempo, difenderne il carattere autoritario e monarchico, il maschilismo radicale e la superiorità della casta sacerdotale rispetto alla massa dei fedeli. Francesco si sta dimostrando pienamente all’altezza del compito, anche in virtù della sua capacità di eliminare ogni traccia di vera opposizione dentro l’organizzazione e di riassorbire, a destra come a sinistra, quelle frange dissidenti che furono così fastidiose per chi lo ha preceduto sul soglio di Pietro. Il plauso entusiastico di quel poco che rimane della vecchia sinistra ecclesiale è una delle ricompense più belle per il sacerdote militante in gioventù nella peronista Guardia di ferro, il segnale che la belva aggressiva e sinistrorsa di un tempo è diventato oggi un tenero agnellino smarrito, pronto a rientrare a capo chino e senza condizioni nel vecchio ovile clericale da cui era uscito tanti anni fa. Non si capisce perché noi altri dovremmo seguirlo.

 

 

(19 giugno 2018)