Più debito più povertà Questa catena va spezzata
di Francesco Gesualdi
“Avvenire” del 2 ottobre 2018
Povertà e disoccupazione sono due piaghe che vanno affrontate, ma pretendere di risolverle facendo altro debito è un inganno. Per la situazione in cui si trova l’Italia, l’unico modo per finanziare la spesa in deficit è affidarsi alle banche e agli investitori privati, il che significa condannarci a maggiore povertà e ingiustizia futura.
A generare preoccupazione non è tanto la restituzione del capitale, che in un modo o nell’altro si trova sempre il modo di rifinanziare, quanto il pagamento degli interessi, che rappresentano il vero meccanismo attraverso il quale il debitore si impoverisce a vantaggio del creditore.
Va ricordato, infatti, che a differenza del capitale che rappresenta ricchezza passata, cristallizzata e inoperosa, gli interessi rappresentano ricchezza fresca corrente che invece di essere goduta dalla collettività è goduta dai creditori. E al colmo del paradosso, come spiega la Banca d’Inghilterra nel suo dossier Money creation in the modern economy, nell’odierna ingegneria monetaria, le banche riescono a prestare denaro creato dal niente, attraverso delle semplici scritture contabili. In altre parole prestano carta, addirittura moneta creditizia elettronica e ottengono indietro ricchezza reale. E poi si continua a gridare allo scandalo perché la ricchezza risulta distribuita in maniera sempre più iniqua.
Il debito è uno dei meccanismi di fondo che genera iniquità.
Il dramma dell’Italia è che si procede per fanatismi e dopo un periodo in cui si pensava che l’unico obiettivo da perseguire fosse quello di rassicurare i creditori sulla nostra capacità di pagamento, ora si pensa che l’unica cosa da fare sia quella di lasciare più soldi nelle tasche dei cittadini per rilanciare i consumi e quindi la crescita. Ma appurato che la crescita deve essere selettiva per non peggiorare lo stato di salute dell’ambiente di vita, il rilancio dei consumi diventa un vero inganno quando si pretende di usarlo per abbassare le tasse anche ai ricchi. È dimostrato che i consumi decrescono al crescere della ricchezza, per cui nessuna politica di rilancio dei consumi può prescindere dall’equità e l’equità si realizza aumentando il carico fiscale non solo sugli alti redditi, ma anche sui consumi di lusso. È un vero assurdo che si debba pagare la stessa aliquota Iva su un carico di legna per scaldarsi e su un panfilo per solcare le acque dei Caraibi. In conclusione flat tax non fa rima né con crescita né con rilancio della domanda, ma solo con iniquità e fa veramente male vedere un Governo che si dice 'a favore del popolo' creare le premesse per più ingiustizia e povertà.
Abbassare le tasse sui redditi alti e nel contempo finanziare le spese sociali a debito è un doppio regalo che si fa ai più ricchi. Il primo quando si lasciano nelle loro tasche più soldi. Il secondo quando si fanno crescere ulteriormente i loro portafogli a causa degli interessi riscossi sui prestiti che lo Stato ha dovuto chiedere in prestito per i mancati incassi dovuti alla riduzione delle tasse. Pretendere di eliminare la povertà mettendo sempre più soldi nelle tasche dei ricchi è una farsa che si addice solo alla commedia di un comico. È l’apoteosi di chi dichiarandosi né di destra né di sinistra, invece di assumersi la responsabilità di risolvere le storture sociali ed economiche che affliggono l’Italia, cerca di fare un figurone con un festino organizzato a debito. Ma le bugie hanno le gambe corte e ce ne accorgeremo quando la montagna degli interessi sarà così alta da mangiarsi buona parte delle nostre entrate fiscali e non lasciarci più nessun margine di manovra sociale.
La storia del debito pubblico italiano è ancora molto da scrivere, ma in attesa che si appuri definitivamente il ruolo giocato dalla corruzione, dalle spese inutili e dannose, dagli interessi usurai pagati negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, è ormai certo che se ci troviamo con un debito così mostruoso è anche a causa all’evasione e di una pessima gestione fiscale. Le fonti ufficiali collocano l’evasione a 110 miliardi di euro all’anno, mentre l’economia sommersa è pari al 27% del Pil. Per non parlare delle controriforme fiscali che dal 1974 hanno ridotto sempre gli scaglioni fiscali con grande gioia degli alti redditi che ora aspettano a gloria la flat tax. La lotta alla povertà e alla disoccupazione è un dovere morale prima che politico e non solo per rimettere l’economia sulla strada di una crescita sana, ma per dare dignità a chi l’ha persa, senza distinzioni di nazionalità, di sesso e di età. Ma va perseguita senza compromettere il futuro, ossia senza fare altro debito, soprattutto per noi che ormai siamo oltre il 132% del Pil. Le possibilità ci sono, ma bisogna avere il coraggio di schierarsi e di porre questioni di fondo non per difendere l’individualismo nazionale, ma per costruire un’Europa più sociale e più giusta.
Dico la mia, indicando i tre possibili cardini di una terapia d’urto. La prima: il ritorno a una seria tassazione progressiva per prendere i soldi (specie quelli frutto di rendita e non di lavoro) dove si trovano e non sono neanche utilizzati per fini produttivi, ma speculativi. La seconda: lanciare un serio programma di moneta complementare per il rilancio dell’occupazione in ambito pubblico. La terza: un’azione forte per mettere all’ordine del giorno la riforma della Banca centrale europea e l’avvio di una ristrutturazione del debito pubblico di tutti i Paesi europei a partire dal congelamento degli interessi. Si può obiettare e controbattere, ma non si può negare che sarebbe un messaggio chiaro: la dimostrazione che si vuole eliminare la povertà e non con misure assistenzialiste, ma attraverso l’eliminazione delle iniquità di cui il debito è la peggiore espressione.
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